Austriaco
infelix
Scrittori /
Intervista con Thomas Bernhard.
Intervista a cura di Rita
Cirio
L'Espresso, 7 Novembre 1982
Siamo riusciti a
incontrare l'inavvicinabile autore di "Perturbamento".
Lo chiamano il "Beckett delle Alpi", odia Brecht, ama
Genet e giudica Canetti uno "Schopenhauer di provincia"
Ohlsdorf (Austria). Si
attraversano quei paesaggi tutti boschi laghi mucche che
si ritrovano poi, con il loro romanticismo ragionevole,
alla Residenzgalerie di Salisburgo nei quadri di
Friederich Philipp Reinhold, di Friederich Gauerrnann,
di Ferdinand Georg Waldmüller, Ernile Jacob Schlinder,
Johann Fiscbach, Thomas Ender. E persino il paesaggio
sull’Attersee dipinto da Klimt ha un aspetto assai
riconoscibile e casereccio. Solo Ohlsdorf, dove dal '66
Thomas Bernhard ha scelto di abitare qui in Austria.
Superiore, sernbra voler star fuori dai quadri e dalle
cartoline, con quelle sue cartiere fetide e inquinanti.
"Doktor Bernhard abita in quel gruppo di case davanti al
bosco. La sua è l’unica con le persiane nere". E’ anche
la più bella, una fattoria del '400 con i muri di
pietra; un restauro colto, quasi grafico con le cornici
nere dipinte intorno alle finestre a campire la pietra
antica e i muri bianchi, la rende subito riconoscibile
come la casa di un intellettuale malgrado le balle di
fieno lì intorno. Difficile confondere con i vicini
anche Bernhard, in tinta con la casa e il bosco,
pantaloni neri scarpe inglesi nere cachemire verde
brughiera foulard di seta nero a dadini verdi da cui
esce la faccia di John Gielgud.
L'editore Surkamp aveva sconsigliato persino il
tentativo di avvicinare questo appartato e scontroso
”Alpen Beckett", un Beckett delle Alpi che comunica solo
per telegrarnmi e che rifiuta le interviste. Invece: si
inchina in un accenno di baciamano quasi battendo i
tacchi, si lascia fotografare accomodante per un’ora,
prepara il te, mostra la casa - "l’ho comprata con i
soldi di un prernio soffiandola al mio vicino che non
rni ha piu salutato per 15 anni" - ordinatissima,
bianca, rari mobili antichi, grandi stufe di cerarnica,
parquet nitidi, neanche un libro, chissa dove li
nasconde. "Quando c'è la neve qui per otto settirnane
non vedi nessuno, credi che siano tutti morti". Ride
spesso soprattutto quando racconta aneddoti macabri.
"Sono venuto via da Vienna perché era troppo
affollata. E poi tutti i miei arnici erano morti.
L’ultimo, lo scrittore Gerard Fritsch, durante una cena
a casa sua tra arnici si è assentato per un po’. Lo
abbiamo trovato in un’altra stanza. Impiccato. Si era
truccato da donna, aveva indosso i vestiti della moglie.
Aveva scelto il costume tipico austriaco, quello col
corpetto scollato". Del suo primo testo rappresentato a
teatro ricorda volentieri le catastrofi, gli infortuni
delle attrici, una fu colta da collasso ancor prima
della "prima", la sostituta cadde, si ruppe le garnbe,
fu costretta a recitare con le stampelle.
A Ohlsdorf, Bernhard si è trasferito anche per l'aria
buona, "sono malato, ho la tubercolosi, sto per morire.
Ho scritto la mia autobiografia prima che lo faccia -
dopo - qualcun altro dicendo cose sbagliate; ho
cominciato quasi per scherzo: ne son venuti fuori
quattro volumi". In paese si è integrato benissimo,
nell'osteria ruspante frequentata da ruvidi e fin troppo
espansivi pescatori di lucci e di trote da cinque chili,
lo chiamano "doktor" e "professor" come se gli dicessero
"fischman" pescatore. Arriva un operaio della cartiera,
si siede al nostro tavolo, osserva da intenditore il suo
ultimo libro "Beton", tasta e approva la qualità della
carta. Sotto lo sguardo compiaciuto dello scrittore
cataloga gli incidenti sul lavoro nella cartiera, chi
perde un braccio, chi una mano, chi un pollice. Bernhard
racconta che ogni tanto va a mangiare il gulasch con i
compaesani, "mi ubriaco e quando torno a casa, finisco
con la mia Mercedes nel concime. E poi vomito".
Si passa a parlare - sotto lo sguardo compiaciuto
dell'operaio - di una fine polemica tra letterati.
L'anno scorso dopo aver vinto il premio Brema, entrato
in giuria, Bernhard ha proposto la candidatura di
Canetti, ma la giuria ha obiettato: "Eh no, un altro
ebreo!?!". Ingrato, Canetti nel discorso di accettazione
della laurea honoris causa a Monaco ha accusato l’opera
di Bernhard di una visione del mondo troppo negativa. In
risposta, il nostro ha definito l’autore di "Autodafé"
uno "Schopenhauer di provincia". Degli scrittori
italiani conosce bene solo Pavese. E di un viaggio a
Roma ricorda il letto che lo doveva ospitare: "Pensi, mi
dissero, in questo letto ha rantolato ed è morto lo
scrittore praghese Johannes Urzidil. Sono scappato via".
Viaggia quasi sempre, Svezia, Iugoslavia, Palma di
Maiorca.
E l’Austria felix che dall’ltalia ci appare come
un'utopia realizzata? "E’ un grosso errore credere che
sia così. Qui si cerca di nascondere tutto; gli stessi
scandali e intrallazzi che in Italia saltano fuori
apertamente, qui vengono insabbiati. In Austria tutto è
indifferente: se si tagliasse la testa alla gente
dicendo che così hanno ordinato dall'alto, nessuno se ne
accorgerebbe". Allora è vero quello che ha scritto: "il
nostro è un popolo senza immaginazione, senza
ispirazione, senza carattere. L'intelligenza, la
fantasia, sono concetti che non conosce..."? "Sono tutte
qualità ormai morte, queste. Dopo la fine della
monarchia lo spirito austriaco, a lungo soffocato, era
rinato, ma per poco. Al contrario dei francesi, degli
italiani, dei polacchi o degli sloveni, il nostro è un
popolo che ha perso ogni interesse per le attività
intellettuali. La presenza di qualche scrittore è
irrilevante. La mente degli austriaci è, da secoli,
annebbiata dalla musica; non è abituata ad esprimersi
con le parole, non è in grado di capire concetti
elevati. Gli Asburgo sono stati mecenati della musica a
discapito delle attività del pensiero. Perché permettere
di pensare puo essere pericoloso. In Austria si sono
occupati di poesia solo monaci e vecchi baroni. Non c'è
mai stata poesia. Chi ha cercato di esprimere il suo
pensiero in poesia è finito in prigione. L’unico periodo
di splendore, di superiorità intellettuale sulla
Germania è nato alla fine del secolo ma è morto,
soffocato dal nazismo e dalla fuga degli intellettuali
ebrei che sono poi rimasti all'estero".
Allora gli intellettuali austriaci di oggi si
devono considerare dei sopravvissuti? "Più che altro
sono dei piccolo-borghesi, come i vecchi baroni di una
volta". Anche gli scrittori impegnati politicamente
della fine degli anni Sessanta, come Wolf Grüber e Franz
Hinnerhofer? "Non ce l'hanno fatta a resistere. Per
avere un senso avrebbero dovuto sostenere le loro idee
per almeno 20 o 30 anni. Invece, appena vengono presi in
considerazione, si credono dei geni, appaiono in
televisione e dopo un po’ dimenticano le loro idee
rivoluzionarie". Alcuni critici hanno parlato
dell'influenza di Wittgenstein sulla sua opera: "Ho
letto solo il "Tractatus". Se proprio si vogliono
trovare punti in comune, ci sono solo nel mio
”Correzione”, storia di un architetto che progetta una
casa per la sorella, come fece Wittgenstein. E poi
anch’io ho vissuto in Inghilterra come lui. Tutto qui. O
meglio, a dire il vero l'ultimo libro che ho scritto è
"Il nipote di Wittgenstein", una biografia di questo
nipote che ho conosciuto a Vienna. E' morto pazzo
qualche anno fa".
L’unico rifiuto che Bernhard oppone durante questo
incontro è quando il fotografo gli chiede di lasciarsi
ritrarre nello studio mentre scrive: "Il mio studio è
dovunque, scrivo sempre a rnacchina. Scrivere per me è
sempre difficile ma è anche una necessità, come il
calzolaio che sente il bisogno di creare sempre nuove
scarpe. Certo le scarpe prodotte dall'industria sono più
perfezionate di quelle cucite dall'artigiano, che hanno
sempre qualche difetto. Forse qualcosa del genere
capiterà anche in letteratura...". E mentre si parla
dell’mpossibilità di rendere con la traduzione la sua
sintassi, il suo virtuosismo linguistico - "ciò che è
tradotto è sempre stomachevole" dice il protagonista del
suo testo teatrale "Il rifondatore del mondo" - vien
fuori la sua poetica: E' più importante come si scrive
di cosa si scrive. Il problerna non sta tanto nella
traduzione quanto nel fatto che si è traditi anche
quando si è letti nella propria lingua.
Le interpretazioni sono tante quante le persone
che leggono un libro. Due lettori diversi è come se
leggessero due libri diversi. Sono state vendute
diecimila copie di "Beton", dunque ci sono diecimila
lettori, ognuno con il "suo" "Beton”". E a teatro dove
tra chi scrive e chi "legge" si intromette un filtro
ulteriore, attore e regista? "Gli attori e il regista
fanno del testo ciò che vogliono, il prodotto che arriva
allo spettatore è sempre diverso da quello di partenza,
comunque diverso da quello che l'autore aveva in rnente.
Io ho sempre affidato i miei testi ai rnigliori attori,
ho addirittura cercato di scegliere io stesso chi doveva
interpretare i miei personaggi, ma non per questo mi
sono poi riconosciuto nelle loro interpretazioni. Gli
attori diventano sempre piu perfetti sulla scena e
sempre piu insopportabili nella vita. Io stesso da
ragazzo volevo diventare attore, ho anche preso il
diploma, più che altro perché a Salisburgo frequentare
la scuola di recitazione era 1'unico modo per stare
insieme ai miei coetanei, a quelli più intelligenti, non
stupidi come gli studenti di musica". Tra i registi,
qual è quello che l'ha tradito di meno? "Claus Peymann,
è l'unico che abbia fatto centro".
Qualcuno l'ha accostata a Beckett, lei serebbe il
"Beckett delle Alpi": "Per me Beckett è morto da dieci
anni, manda solo dei brevi messaggi dall’aldila". E
Brecht? "Anche Brecht non è un grande drammaturgo
nonostante l’amore di Strehler. Ha fatto il suo tempo;
ha dato il massimo della sua produzione negli anni
Trenta. I suoi personaggi sono marionette impolverate.
E’ un Goldoni di legno". E Pirandello? "Pirandello è
molto meglio". E Genet? "L’ho sempre amato. Lo incontrai
quando avevo vent'anni, passeggiando per le strade di
Vienna. Nessuno ha mai sospettato un'influenza di Genet
sulla mia opera, ma "Les bonnes", che è un testo
bellissimo, ha ispirato direttamente la prima versione
della mia prima opera teatrale "Una festa per Boris” che
nella sua prima stesura si intitolava "La (padrona)
inventata" e raccontava di un servo che si inventa i
comportamenti della padrona". E tra i classici, chi è
1’autore di teatro preferito? "Kleist. Mi piace più di
Brecht. Brecht è un nano in confronto a lui. Anche se
Brecht, di persona, mi era molto simpatico".
Se Bernhard come un personaggio di Borges -
Pierre Menard che rifà tale e quale ma senza copiarlo il
"Don Chisciotte" - dovesse riscrivere un classico del
teatro, cosa sceglierebbe ""La brocca rotta" di Kleist,
non ho un rnornento di esitazione. E’ uno dei miei testi
preferiti, è stato anche oggetto di una mia tesi per un
esame. Da allora non ho smesso di arnarlo". Quale
romanzo? "”Un eroe del nostro tempo" di Lermontov".
Ouale poesia? ""La pantera" di Rilke (una pantera guarda
attraverso le sbarre della sua gabbia e ha l'impressione
che non esistano più)".
A Ohlsdorf viene notte molto presto. "A quest’ora si
sente di nuovo la puzza della cartiera", fa notare il
nostro ospite. Prima di infilarsi nella sua Mercedes
verde brughiera e sparire nella notte, saluta di nuovo
accostando i tacchi. "Non sono stato impossibile,
vero?".
|
Bel buio
di una cella
di Eugenio
Bernardi
L'Espresso, 7 Novembre 1982
Kulterer,
il protagonista di uno dei primissimi racconti di Thomas
Bernhard (ora nel volume "L'italiano” pubblicato da
Guanda) anticipa il comportamento di tutti i successivi
protagonisti della narrativa di questo scrittore
austriaco, nato a Heerlen, in Olanda, nel 1931. Kulterer è
in carcere per un motivo non precisato, ma proprio nel
buio della cella riscopre il senso della vita umana, il
valore del pensiero e le risorse della fantasia. Tutti i
personaggi di Bernhard scelgono una situazione analoga, ma
l’esito della segregazione volontaria diventa ben presto
assolutamente negativo. Chi si isola con l’intenzione di
creare nell'assoluta solitudine e nella massirna
concentrazione un progetto del rnondo da opporre alla
stupidità imperante, è destinato a fallire, vittima del
proprio rnasochismo e soprattutto delle insidie della
scrittura a cui il progetto va inevitabilmente affidato.
Poiché i luoghi dell'autosegregazione hanno connotati
riferibili al paesaggio storico-geografico dell’Austria
(con toponimi veri o genialmente inventati, come la torre
di Ambras nel romanzo ornonimo del 1964, o il castello di
Hochgobernitz in "Perturbamento", 1967, pubblicato in
Italia da Adelphi) Bernhard è stato inserito nella lista
orrnai piuttosto lunga degli scrittori traumatizzati dalla
fine dell’Impero. Tanto più che alcuni di questi
personaggi (Konrad nel "Calcificio", 1970, Roithamer in
"Correzione", 1975, il principe Saurau in "Perurbamento")
prima di condannarsi alla segregazione si disfanno, o
sognano di disfarsi del patrimonio di cui sono eredi.
In verità Bernhard mira soprattutto a colpire il gesto
dell'intellettuale che pretende di realizzare una visione
totale del mondo, in cui scienza e poesia collirnino come
ai tempi di Novalis. L’ambizione di realizzare un dominio
totale poetico-intellettuale (e naturalmente econonico)
della realtà, ambizione di ogni progetto creativo, viene
smascherata come "malattia mortale". Se sopravvivono al
fallimento, a questi artisti, scienziati, filosofi non
resta che chiudersi nelle spire di un monologo maniacale
con cui cercano di scongiurare una fine ineluttabile.
La spregiudicatezza con cui l'intellettuale pretende di
dominare il mondo, e anche il terna dei numerosi lavori
teatrali di Bernhard, in cui all'inizio si avvertono
suggestioni del teatro di Artaud, Genet e del Teatro
dell’Assurdo, soprattutto per la presenza di personaggi
deforrni o menornati (”Una festa per Boris” 1970,
”L’ignorante e folle" 1972, ”La forza dell’abitudine”
1974). Ma la tragicommedia di Bernhard non di rado si
conclude con la morte, di cui questi lavori, anche quando
toccano temi politici (”Il presidente” 1975, "Prima del
pensionamento" 1979) celebrano lo strapotere.
Con la stessa foga (di matrice esistenzialista ma sempre
attenta alle trappole del linguaggio segnalate
dall’avanguardia storica soprattutto viennese) Bernhard ha
scandagliato recentemente in quattro volumi (il primo dei
quali, ”L’origine”, sta per essere pubblicato da Adelphi)
la propria biografia applicando ad essa lo stesso processo
di srnascheramento e la stessa ansia di autenticità che
aveva finora riservato ai personaggi della finzione
narrativa. Anche se l’oggetto di questa foga implacabile
(che nei toni ricorda l'orrore con cui Kraus, secondo
Canetti, investiva l’avversario) è lo sviluppo
sociale-intellettuale dell'Austria del dopoguerra, la
denuncia coinvolge sempre più le disfatte della cultura
moderna e si presenta insistentemente come un’ultima sfida
ad una fine avvertita come imminente. |