Vince chi
cade
Trent'anni
fa moriva Thomas Bernhard, uno scrittore che come pochi
ha raccontato la solitudine e l'arte di soccombere.
Omaggio d'autore.
di Giuseppe Culicchia
"L'Espresso", settimanale, Domenica 27 gennaio 2019
DISPREZZO QUELLI CHE FOTOGRAFANO di
continuo e girano tutto il tempo con la macchina
fotograflea appesa al collo. Sono di continuo alla
ricerca di un soggetto e fotografano tutto, anche le
cose più insensate... fotografare è una mania meschina
da cui è contagiato a poco a poco l'intero genere
umano... una passione abietta... una malattia da cui è
colpita l'intera umanità e da cui non potrà mai più
essere guarita”: così Thomas Bernhard tra le pagine di
"Estinzione", in una delle sue insuperabili invettive
scritta assai prima dell’avvento di Instagram e dei
selfie. Era il 1996 quando l’ultimo romanzo pubblicato
in vita da Bernhard uscì in Italia, e lavoravo ancora in
libreria la mattina in cui un corriere consegnò le
novità di Adelphi e da uno scatolone estrassi quella che
sarebbe diventata la mia (oggi assai malconcia, viste le
tante riletture) copia. Colpevolmente, non mi ero ancora
mai addentrato nella prosa ipnotica dello scrittore nato
a Heerlen in Olanda il 9 febbraio 1931 e morto
trent’anni fa a Gmunden in Austria il 12 febbraio 1989.
Aprii il libro e mi accorsi con sgornento che su 493
fittissime pagine non c’era un punto e a capo. Poi,
controllando rneglio, scoprii che in realtà uno c’era,
uno soltanto: a pagina 237. Decisi subito che dovevo
assolutamente leggere quel romanzo. E nella mia vita di
lettore fu una delle decisioni più felici, se non la più
felice.
Perché grazie a quella storia ambientata tra Roma e
Wolfsegg, mirabilmente tradotta da Andreina Lavagetto e
suddivisa in due parti - la prima, in cui il
protagonista, professore di Tedesco stabilitosi nella
nostra capitale con un unico allievo di nome Gambetti,
riceve dalle sorelle Caecilia e Amalia il telegramma che
annuncia la morte del fratello e dei genitori in un
incidente d'auto in Austria, e camminando avanti e
indietro per il suo appartamento in piazza della Minerva
nei pressi del Pantheon deve decidere se recarsi o no al
funerale; la seconda, in cui infine torna nell’odiata
patria per partecipare alla cerimonia - m'imbattei in
uno dei più straordinari scrittori che ho avuto la
fortuna di leggere, e senza dubbio nel massimo autore di
monologhi della letteratura non solo austriaca o europea
ma mondiale, capace di coniugare come forse nessuno ai
suoi eccezionali livelli crudeltà e comicità. Me ne
rendo conto: sembrano, queste, iperboli alla Thomas
Bernhard. Ma è la pura verità. Per Thomas Bernhard, che
Harold Bloom inserì nel celebre "Canone Occidentale" e
che in Italia è stato magistralmente tradotto anche (ma
non solo) da Renata Colorni e Magda Olivetti,
"Estinzione" fu una sorta di summa e senz'altro lo zenit
di un’opera che dall’esordio con il componimento "In
terra e all’inferno", pubblicato a Salisburgo nel 1957,
seppe spaziare dalla poesia alla narrativa al teatro,
per cui Bernhard scrisse moltissimo eleggendo a suo
attore ideale il grandissimo Bernhard Minetti, avendo
altresì intimamente a che fare con la musica. Perché
lette ad alta voce le pagine di Thomas Bernhard davvero
suonano, grazie a quel suo stile caratterizzato
dall’iterazione e dall'inanellarsi di singole parole e
frasi che ricorda da vicino il crescendo del Preludio
all’"Oro del Reno" di Wagner, in cui l’unica tonalità in
Mi bemolle maggiore si ripete inalterata per 136
battute.
Non a caso è ambientato nel rnondo della musica uno dei
romanzi più famosi di Bernhard, "Il soccombente",
parabola incentrata sul genio e sul fallimento, in cui
il narratore/ alter ego dello scrittore e il suo amico
Wertheimer studiano al Mozarteum di Salisburgo assieme a
Glenn Gould, la cui bravura inarrivabile li sconvolge al
punto da far loro abbandonare la scuola (Wertheimer
finirà suicida, l’altro si ritirerà a vita privata).
Bernhard, che da ragazzino studiò davvero musica
(violino), ha dedicato agli anni assai difficili
dell'infanzia cinque testi autobiografici, di cui
quattro con tanto di sottotitolo: "L’origine. Un
accenno", "La Cantina. Una via di scampo", "Il respiro.
Una decisione", "Il freddo. Una segregazione", e infine
"Un bambino". Sono, questi, romanzi/memoir di una
bellezza a tratti straziante, che narrano sempre nella
forma del monologo - per Bernhard com’è noto un vero e
proprio marchio di fabbrica - le vicissitudini del
piccolo Thomas, un bambino segnato dalla precoce
consapevolezza della solitudine e da altrettanto precoci
progetti di suicidio. Messo al mondo dalla madre Herta
dopo essere stato concepito da questa con un falegname
salisburghese che emigrato in Germania vi muore nel 1940
senza aver mai conosciuto il flglio, Thomas viene
partorito in Olanda, dove la ventisettenne si guadagna
da vivere come semplice donna delle pulizie. Il padre di
Herta e nonno di Thomas, Johannes Freumbichler, è uno
scrittore, e quando pochi mesi dopo il parto madre e
figlio fanno ritorno in Austria si stabiliscono a Vienna
presso di lui. Thomas viene così cresciuto innanzitutto
proprio dal nonno: è lui che vuole farne un musicista o
comunque un artista, e che dunque lo iscrive a scuola
già nel 1935. E la figura del nonno, unico vero affetto
nel Corso di quei primi anni di vita di Bernhard, si
staglia indimenticabile nelle pagine di questa sua
produzione più strettamente autobiografica, in pagine
piene d’affetto e di riconoscenza. Al breve periodo
viennese ne segue uno in provincia di Salisburgo, e poi
a Traustein in Baviera. Nel frattempo la Germania ha
visto l’ascesa di Hitler, e malgrado l'Anschluss il
piccolo Thomas viene discriminato dai compagni bavaresi
in quanto austriaco. Anche questo contribuisce ad
accrescere quella solitudine che con la morte sarà poi
tra i temi ricorrenti di tutte le sue opere, assieme al
suicidio, al fallimento e alla malattia: perché dopo gli
anni trascorsi nel collegio Nazional-socialista a cui lo
ha voluto iscrivere la madre, esasperata dal suo
temperamento conflittuale, finita la guerra Bernhard si
ammala di tubercolosi polmonare in seguito a un
raffreddamento trascurato, cosa che poi lo costringerà
al ricovero nel sanatorio di Grafenhof in cui conoscerà
Hedwig Stavianicek, donna di 36 anni più anziana che
fino alla morte, avvenuta nel 1984, saprà stargli
accanto.
Poco o punto amato in patria dalla maggior parte dei
suoi connazionali, Bernhard con la sua prosa tellurica
spara ad alzo zero contro un Paese che disprezza,
lanciandosi in tirate a un tempo ferocissime ed
esilaranti contro l’ottusità e la grettezza della
borghesia austriaca, la Chiesa cattolica, il passato
(che ai suoi occhi è passato fino a un certo punto)
nazionalsocialista, e contro gli usi e costumi della
modernità. Maestro insuperabile nell’arte del grottesco,
non fa prigionieri: in "A colpi d'ascia", romanzo che
all'uscita provocò enorme scalpore, demolisce col suo
sarcasmo attraverso il racconto di una “cosiddetta cena
artistica” il mondo intellettuale viennese che ruota
intorno alla scena teatrale. In "Antichi maestri",
invece, arriva a scrivere una sentenza lapidaria e
inappellabile: "Il genio e l'Austria non sono
compatibili".
Eppure tra le righe rabbiose di Thomas Bernhard spuntano
la pietà e la compassione, e sarebbe sbagliato ridurre
la sua complessità attribuendogli un’adesione pressoché
totale ai vari alter/ego protagonisti dei suoi romanzi.
In un libro ormai fuori Catalogo, "Thomas Bernhard
Häuser", pubblicato dalla Residenz Verlag nel 1995,
Thomas Bernhard è ritratto dalla fotografa Erika Schmied
nelle sue abitazioni: il plurale è dovuto al fatto che,
per costringersi a scrivere quei suoi libri implacabili
e meravigliosi che gli richiedevano in genere tre
stesure, lo scrittore acquistava case. E scarpe, visto
che ne possedeva cento paia. Ebbene: in certe foto della
Schmied colpisce il fatto di vedere ritratto Bernhard
mentre indossa i Lederhosen con la giacca in loden dai
bottoni di corno, proprio come quei cacciatori contro
cui si scaglia in "Estinzione". E del resto il villaggio
di montagna in cui viveva dal 1965 era in tutto e per
tutto simile a quelli da lui spietatamente messi alla
berlina nelle sue opere. Viene così da pensare che
l’insofferenza se non l’odio di Bernhard nei confronti
del suo Paese scaturisse in realtà dal suo grande amore
per esso. Come ebbe a dichiarare in un'intervista poco
prima della morte: "Amo l'Austria, non posso negarlo. Ma
la commistione di Stato e Chiesa è così mostruosa che la
si può solo odiare". L'ultimo suo lavoro teatrale,
"Heldenplatz", ennesimo atto d’accusa nei confronti dei
suoi compatrioti per l'accoglienza trionfale e piena di
gratitudine che riservarono a Hitler nel 1938,
immortalata al di là di ogni dubbio o abiura nei
cinegiornali dell’epoca, venne rappresentato al
Burgtheater tre mesi prima della sua morte, e si trattò
come sempre di uno scandalo. Con la perfidia di cui era
capace, Bernhard decise di proseguire la rivolta contro
quella sua patria tanto amata e altrettanto odiata anche
post-mortem, stabilendo nel testamento che nessuna delle
sue opere teatrali doveva più essere rappresentata in
Austria. Gli eredi, poi, decisero diversamente, e
trasformarono la sua abitazione principale in un museo.
A trent’anni dalla morte, avvenuta il 12 febbraio 1989,
dovuta alla recidiva di un cancro ai polmoni e resa nota
per volontà dello scrittore solo quattro giorni più
tardi dopo le esequie, Thomas Bernhard resta senza
dubbio il maggiore scrittore austriaco del dopoguerra e
tra i Mostri Sacri della letteratura europea e mondiale.
"Fino a oggi, ho desiderato uccidermi in ogni momento",
disse poco prima di andarsene. "Ma poiché non l’ho
fatto, la vita per me deve avere più valore di qualsiasi
altra cosa". Impossibile dimenticare la sua voce, che
ancora oggi ci parla dalle pagine di libri destinati a
restare, come "Perturbamento" o "Il soccombente".
Thomas Bernhard, se hai la fortuna di incontrarlo, ti
entra dentro per non abbandonarti più. E alla sua opera,
influenzata dalla filosofia di quello Schopenhauer tanto
amato peraltro anche da chi era stato accolto con
l'entusiasmo a cui si è accennato nella viennese Piazza
degli Eroi, noi orfani del suo genio (compatibile con
l’Austria) e della sua umanità torniamo e torneremo con
gratitudine.
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