La sua carriera è
cominciata tardi e porta il segno di una ostinata
opposizione. Nikolaus Harnoncourt aveva già passato
la quarantina quando, negli anni Settanta, fece
furore con le sue interpretazioni di Claudio
Monteverdi, quando le sue nuove ed eccitanti
interpretazioni di Johann Sebastian Bach e Georg
Friedrich Händel suscitarono discussioni, capaci a
volte di trasformare le sale da concerto in campi di
battaglia. Nel frattempo Harnoncourt è stato
riconosciuto universalmente come specialista della
musica antica, come strenuo difensore del discorso
sonoro e maestro del dialogo musicale. Ma il fatto
che egli non si voglia ancora accontentare produce
sempre nuove controversie. Soprattutto nella sua
terra natale, l’Austria, non gli si perdona di aver
"violato" con interpretazioni fuori dagli schemi il
sacrario nazionale, Mozart. Stupore e scetticismo
sono la moneta con cui lo si ripaga del fatto che,
dopo aver conquistato il classicismo viennese,
esteso a Schumann e Mendelssohn, Brahms e Bruckner,
Weber e Johann Strauss, Harnoncourt ora si presenti
al pubblico addirittura con Verdi, Wagner e Alban
Berg.
In materia di musica antica
Nikolaus Harnoncourt è senza dubbio non solo
assolutamente competente, ma ha avuto un ruolo
determinante nella seconda metà del nostro
secolo. Oltre alla sua attività di interprete,
per più di vent’anni ha formata un’intera
generazione di giovani musicisti, insegnando
"pratica dell’esecuzione storica" al Mozarteum
di Salisburgo e pubblicando due libri su questo
argomento, capisaldi imprescindibili della
letteratura scientifica relativa.
Riposare
sugli allori dello specialista sarebbe stato
assolutamente contrario alla sua natura. In
fondo Harnoncourt si è dedicato così
intensamente alla storia unicamente perché,
essendo un esecutore, voleva farsi una immagine
personale dell’evoluzione della musica
occidentale; perché quello che aveva sentito
come violoncellista in un’orchestra viennese di
primo rango lo aveva annoiato e frustrato;
perché sin da quando era bambino era importante
per lui trovare la sua strada al sapere,
piuttosto che riprendere le opinioni altrui.
Essendo nato in una vecchia famiglia dell’alta
nobiltà austriaca, probabilmente questo era
l’unico modo per ottenere l’indipendenza
spirituale.
Johann
Nikolaus de la Fontaine e
d’Harnoncourt-Unverzagt, nato il 6 dicembre 1929
per circostanze particolari a Berlino, dove il
padre era riuscito a trovare un posto nella
crisi successiva alla prima guerra mondiale, ha
assorbito la tradizione centenaria nella quale
la sua famiglia affonda le proprie radici. Un
gigantesco sistema di valori incorruttibili ai
quali Harnoncourt si sente strettamente legato
nella stessa misura in cui prova il bisogno
impellente di ribellarvisi.
L’impulso
ad opporsi è per Harnoncourt un fattore
elementare, la premessa imprescindibile di ogni
espressione veramente artistica. Come musicista
Harnoncourt non ama annoverarsi tra gli artisti,
tuttavia nel suo discorso inaugurale al Festival
di Salisburgo 1995 ha rivelato il suo credo
personale, ha definito i propri parametri,
caratterizzando l’artista come un tipo
permanentemente scomodo, fondamentalmente
sovversivo, che si trova a vivere la sua
esistenza sotto il segno di una ricerca
infaticabile, che non può e non deve mai
accontentarsi dei risultati raggiunti né
lasciarsi influenzare da nulla e da nessuno.
Le
massime di Harnoncourt sono il frutto delle
profonde impressioni della sua giovinezza,
vissuta all’ombra della seconda guerra mondiale;
l’insicurezza economica e il bisogno materiale,
ai quali nella sua famiglia si reagiva con un
accentuato disprezzo delle cose materiali; la
barbarie politica e le minacce concrete, ai
quali venivano opposti i pilastri spirituali
della religione e dell’arte, unici garanti di
una vita dotata di un senso, indipendentemente
dalle circostanze esterne.
La filosofia della sopravvivenza
cosi conquistata si è dimostrata da quel
momento in poi quanto mai praticabile, non
soltanto negli anni di povertà, quando era
studente a Vienna o durante i più che modesti
esordi, ma anche quando fondò una famiglia con
la compagna dei suoi sogni, Alice, dotata
della sua stessa musicalità e animata dallo
stesso idealismo, pronta a condividere con lui
ogni rischio.
Nel
loro matrimonio, che dura ormai da oltre quattro
decenni e che si è trasformato in una simbiosi
quasi inconcepibile per chi li osserva dal di
fuori, Alice Harnoncourt, violinista di prima
classe, nel frattempo ha allevato quattro figli
come se nulla fosse, procurando che a casa
regnasse la stabilità anche in situazioni spesso
avventurose. Come primo violino del Concentus
Musicus, ruolo che ha ricoperto per molti anni,
Alice ha contribuito in maniera essenziale a
delineare il profilo dell’ensemble. Che poi la
sua fondazione nel 1953 sia coincisa con le
nozze degli Harnoncourt, fa quasi l’impressione
di un segnale sonoro di questa unione inusuale.
Costante accompagnatrice e accorta manager del
marito, musicista autonoma e critica, Alice è
l’interlocutrice irrinunciabile in tutte le
questioni artistiche, l’unica persona a cui
Nikolaus Harnoncourt chieda sempre un parere e
del cui giudizio si fidi ciecamente. Grazie a
questo rapporto il violoncellista ostinato si è
trasformato in un direttore stimato
internazionalmente. Negli ultimi tempi lo si è
chiamato addirittura Maestro, una definizione
odiata da Harnoncourt, perché implica tutto ciò
contro cui egli si ribella: il terrore,
l’effetto esteriore, l’autorappresentazione.
Harnoncourt non ha bisogno
della bacchetta; la musica parla attraverso
tutto il suo corpo. Lui è il mezzo, non il
messaggio. Ma Harnoncourt un messaggio da
darci lo ha e questo, ai giorni nostri, è una
vera rarità.
Monika Mertl
(L'autrice
è giornalista culturale a Vienna e segue
da anni il lavoro di Nikolaus Harnoncourt)