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Columbia
- 1 LP - 33QCX 10113 - (p) 05/1955
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Columbia
- 1 LP - 33CX 1244 - (p) 05/1955 |
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Warner
Classics
14 CDs - 0190296739200 - (p) & (c)
2021 |
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Johannes Brahms
(1833-1897) |
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Quartetto
in si bemolle maggiore, Op. 67 |
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37' 46" |
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Vivace
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8' 23" |
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Andante |
8' 49" |
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-
Agitato (Allegretto non
troppo) - Trio - Coda
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9' 01" |
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-
Poco allegretto con
variazioni - Doppio movimento |
11' 31" |
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QUARTETTO
ITALIANO
- Paolo Borciani, Elisa Pegreffi, violino
- Piero Farulli,, viola
- Franco Rossi, violoncello
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Luogo e data
di registrazione |
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Milano (Italia) -
1/7 luglio 1954 |
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Registrazione: live
/ studio |
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studio |
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Producer / Engineer |
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Prima Edizione LP |
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Columbia | 33QCX 10113 - (Italy) |
1 LP | (p) 05/1954 | Mono
Columbia
| 33CX 1244 -
(England)
| 1 LP | (p) 05/1954 | Mono
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Prima Edizione CD |
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Warner Classics
| 0190296739200 | 14 CDs
[CD5] - 37'
46" | (p) &
(c) 2021 |
Mono |
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Note |
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Le
profonde
trasformazioni
sociali
sopravvenute
in seguito
alla
Rivoluzione
francese e al
predominio
napoleonico,
presero
aspetti assai
diversi nei
diversi paesi
d'Europa. Il
fulcro
Direttivo e
operativo si
spostò, quasi
ovunque, dalla
vecchia
aristocrazia
alla nuova
borghesia; da
una élite che
ancora viveva
sugli avanzi
di antiche
glorie
belliche a una
élite che
andava
acquistando il
suo diritto
d'esser tale
per l'energia
e
l'intelligenza
spiegate nel
campo
dell'industria,
del commercio,
del libero
professionismo
e
dell'insegnamento
universitario.
Impoveriti e
diminuiti nei
loro
previlegi, i
nobili di una
volta si
cofondevano,
sempre più
strettamente,
con il fior
fiore della
gente
borghese. Ogni
residuo della
Corte feudale,
sia pur minima
e ridotta
quasi ad un
simbolo, era
scomparso. Un
conte o un
duca, che
tenesse un suo
teatro
privato, una
sua "cappella
musicale"
privata,
diventava
ormai
inconcepibile.
L'opera e il
concerto
sinfonico
assumevano
ormai il
carattere di
un pubblico
servizio, a
tutti aperto e
a tutti
ospitale. Che
il melodramma
attraesse una
forte
maggioranza di
gente è cosa
naturale;
naturale,
sovratutto,
nei paesi
latini, più
portati
all'espressione
reciproca che
non alla
meditazione
isolata, alla
discussione
che non alla
contemplazione.
La vastità
sempre più
grande dei
pubblici
influiva anche
sulla
struttura
dell'opera
lirica; ne
dilatava le
forme, ne
moltiplicava
gli elementi,
ne ingrossava,
persino, la
sonorità
totale.
L'amore per il
melodramma,
sul principio,
non fu men
forte in
Germania che
nelle altre
nazioni.
Rossini
affascinò
anche i
tedeschi e,
non meno di
Rossini,
affascinarono
Weber con il
suo intento
"nazionale",
Wagner, più
tardi, con il
suo intento
"universale".
Ma, secondo
quanto abbiamo
detto
all'inizio, la
nuova forza
inserita
nell'ordine
sociale
europeo, come
non reagì in
egual modo e
dovunque a
molti altri
problemi e a
molte altre
sollecitazioni,
così non reagì
in egual modo
davanti al
fatto
dell'opera. In
Italia e in
Francia le
nuove
meraviglie del
teatro in
musica fecero
non soltanto
dimenticare un
passato
gloriosissimo,
speso in
tutt'altre
direzioni, ma
si
impadronirono
così
violentemente
delle
coscienze da
far ritenere
che ogni
musica non
destinata alle
scene
nascondesse in
se stessa una
fondamentale
freddezza di
cuore, una
nostalgia
fuori posto
dell'ancient
régime e un
che di
accademico, di
sorpassato, di
inutile. Al
contrario in
Germania, dove
fin dall'epoca
di Lutero e
del suo
"corale"
destinato al
popolo, s'era
radicato un
senso profondo
dell'armonia,
della
polifonia,
della musica
scritta per
esser sentita
e non per
assere vista,
la borghesia
si riscoprì,
ben presto, un
affetto
secolare, non
mai distrutto
ma soltanto
sopito durante
i primi tempi
dell'ingordigia
operistica. In
Germania, alle
"cappelle"
aristocratiche
succedettero
ben presto i
circoli di
dilettanti, i
salotti, non
sfarzosi, ma
comodi e ben
riscaldati,
dove era un
piacere il
riunirsi a far
musica
insieme. In
tal maniera,
se Schubert,
Mendelsshon e
Schumann
ebbero tutti
la loro
chimera
teatrale, è
ben logico
ch'essi si
dedicassero
con molto
ardore alla
composizione
"da camera".
Una "camera"
che non era
più il
vastissimo
salone di un
principe bensì
spesse volte,
la modesta
stanza di un
professionista
o di un
industriale. A
poco a poco,
si andò così
creando un
pubblico non
mai prima
veduto: un
pubblico che,
appreso a
domicilio il
gusto di un
certo tipo di
musica, si
sentiva poi
disposto a
pagare per
ascoltare
quella musica
eseguita da
eccellenti
interpreti.
Da un'altra
parte, però,
l'immenso
sviluppo delle
tecniche
istrumentali,
dell'armonia,
della
concezione
tematica,
degli impasti
timbrici
(sviluppo
originato dal
sinfoniamo di
Beethoven e
dallo sforzo
rappresentativo
dell'opera)
metteva i
compositori
innanzi ad
ardui quesiti.
Un Trio, un
Quartetto, un
Quintetto
dovevano
trovare una
loro
fisionomia
indipendente,
ma non
potevano più
prescindere
dalle
complessità di
una Sinfonia
beethoveniana
o di un
Guglielmo
Tell, di un
Freischütz, di
un "poema"
berlioziano.
Aggiungasi a
questo che,
tranne
Schubert,
Mendelssohn,
Schumann e
l'ultimo
arrivato
Brahms erano
pianisti e non
conoscevan
certo i
segreti
dell'arco come
i segreti
della
tastiera. Non
eran stati
buoni
violinisti od
educati in
gioventù anche
al violino
come Haydn,
Mozart,
Beethoven.
Così stando le
cose, non è da
stupire se
l'ultimo
nominato, il
quale tuttavia
era il più
lontano di
tutti
dall'idea di
scrivere pel
teatro e
considerava il
passo verso
l'opera
altrettanto
periglioso che
il passo verso
il matrimonio,
concepisse ben
presto il
desiderio di
creare un
Quartetto per
archi, si
mettesse per
tempo a
schizzarne
abbozzi, ma
non si
decidesse che
molti anni
dopo a
pubblicarne un
primo
dichiarandosi
più o meno
soddisfatto
del proprio
lavoro.
Infatti, se i
più lontani
accenni di
Brahms alla
composizione
in corso di un
Quartetto per
archi
risalgono al
1851 (vivente
ancor
Schumann), la
prima
esecuzione dei
due Quartetti
suoi opera 51
non ebbe luogo
che il 21
novembre del
1873 in casa
del suo grande
amico e
celebre
chirurgo
Teodoro
Billroth. Due
anni dopo,
ossia nel
1876, Brahms
diede fuori un
terzo
Quartetto,
ch'è appunto
quello in si
bemolle
maggiore opera
67. Ora, se
noi
consideriamo
la mentalità
speciale del
maestro di
Amburgo, la
sua tendenza
all'intimismo
e
all'epressione
dialogica,
ottenuta
mediante una
forte
snodatura
delle parti in
giuoco,
dobbiamo
concludere che
Brahms vedesse
nella
composizione
dei Quartetti
per archi una
méta da
raggiungere,
un cómpito da
assolvere per
naturale
destino. Gli
anni dal 1851
al 1873 furono
dunque spesi
in accaniti
studi, studi
personali e
studi condotti
sotto
rispirazione
di Joseph
Joachim,
grande
violinista e
fondatore di
un celebre
complesso a
quattro. Per
prudenza o per
scrupolo,
Brahms non si
decise ad
affrontare
questa musica
per soli
archi, se non
dopo essersi
provato sotto
la difesa del
pianoforte col
Trio in si
maggiore del
1859, quello
del 1862, i
due Quartetti
per violino
viola
violoncello e
pianoforte del
1863, e dopo
aver misurato
le sue forze
con gli
organici più
vasti (quindi
meno scoperti)
dei Sestetti
op.18 (1862) e
op.36 (1866).
Il Quartetto
in si bemolle
maggiore op.67
porta la
dedica "al suo
amico
Professor Th.
W. Engelmann,
Utrecht".
Engelmann,
professore di
fisiologia
nella antica
Università
olandese, era
un ottimo
dilettante di
violoncello e
di viola. Le
opinioni dei
critici
intorno al
Quartetto in
si bemolle
maggiore sono
alquanto
disperate.
Taluno lo
giudica
inferiore ai
due dell'opera
51 e vi trova
un"intenzione
fin troppo
spinta di
ricongiungersi
con lo spirito
di Haydn.
Talaltro lo
ritiene invece
indicativo
della
personalità
brahmsiana,
fatta, sì,
anche di
nostalgia pel
passato, ma
estesa verso
un mondo di
interiorità
sottili, di
incontri fra
entusiasmo e
sfiducia, tra
pace
agitazione,
tra pura
poesia e
poesia
riflessa dal
paesaggio ,
tra
individualismo
e
interpretazione
di sentimenti
collettivi che
recano il
segno dell'età
moderna e del
più autentico
romanticismo
"seconda o
terza
maniera". Noi
siamo
piuttosto
dell'ultimo
parere. Il
tema in 6/8
che apre il
primo "tempo"
(vivace) può
benissimo
richiamare una
fanfara di
caccia nello
stile
haydniano; ma,
non appena
esso si
scioglie
dall'andamento
"unissono" e
si accoppia a
una
figurazione
che sposta il
movimento in
3/4, ecco che
noi evadiamo
in tutt'altre
zone musicali.
Anche la
seconda idea
(la maggiore)
può ricordare
i soprassalti
popolari di
Haydn, ma la
sua
impostazione
in 2/4, che
frattura
all'improvviso
l'imposto del
pezzo e che
ancora la
fratturerà nel
corso degli
svolgimenti, è
un tratto
assolutamente
lontano dalle
concezioni
settecentesche.
Lo stesso può
dirsi di un
terzo tema,
più melodico,
disposto a
doppie "terze"
distanti dei
due violini,
della viola e
del cello, che
compare
all'inizio
della seconda
parte e
ritorna più
avanti.
L'Andante (la
maggiore 4/4)
si apre con un
canto che par
quasi dedicato
alla memoria
di Schumann.
Vi si sente
un'eco delle
Kinderszenen,
un'eco di
quella
affettuosità
stupefatta e
non esente da
interrogativa
tristezza. Ma,
in seguito,
sia quando
Brahmis ha una
mollata
violenta e
lancia una
drammatica
apostrofe in
minore, sia
quando si
inoltra in
morbide
modulazioni,
legate da un
disegno piano
e tranquillo
del violino
primo, tutto
il discorso
prende un
colorito e un
contenuto
originali. Il
terzo
"movimento"
non è lo
Scherzo
classico, il
rude e
gagliardo
Scherzo di
tanti altri
lavori
brahmsiani. E'
un patetico
brano, dove la
viola espone
un motivo di
intensa
espressione
mentre gli
altri tre
istrumenti, in
sordina,
accompagnano
con incisi
quasi
singhiozzanti
e, ogni tanto,
insinuano pure
essi brevi
frasi
melodiche. La
frase della
viola si
ingrandisce
nel registro
alto del primo
violino, sfuma
attraverso un
ricamo di
tutti i
quattro
personaggi,
ritorna e si
placa per dar
luogo al Trio.
Il qual Trio,
a deroga delle
norme
tradizionali,
pur iniziando
con un tema
nuovo, sembra
riattratto dal
clima
fondamentale e
vien tutto
intersecato da
incisi che
richiamano il
primo disegno
della viola.
Il Finale
(poco
allegretto con
variazioni)
muove da un
tema semplice,
pacato e
conciso, ma
ricco di
possibilità
ulteriori. Le
variazioni,
pur addensando
colori
armonici e
contrappuntistici
d'intensità
sempre
crescente, non
si allontanano
molto
dall'atmosfera
espressiva del
tema; ma alla
fine, quando
il disegno di
"caccia" del
primo "tempo"
riappare e si
unisce al tema
delle
Variazioni,
ora preso
nella sua
forma
originaria ed
ora spaziato
da intervalli,
la temperatura
si riscalda e
un che di
gioioso, di
soddisfatto,
si accende e
illumina la
chiusa.
Giuglio
Confalonieri
(Columbia
33QCX 10113)
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