QUARTETTO ITALIANO


Columbia - 1 LP - 33QCX 10209 - (p) 11/1956
Columbia - 1 LP - 33CX 1396 - (p) 11/1956
Tahra - 2 CD - Tah 647-648 - (c) & (p) 2008
Warner Classics
14 CDs - 0190296739200 - (p) & (c) 2021

Ludwig van Beethoven (1770-1827)






Quartetto n. 10 in mi bemolle maggiore "delle Arpe", Op. 74
35' 27"
- Poco adagio - Allegro 10' 29"

- Adagio ma non troppo
11' 41"

- Presto - Più presto quasi prestissimo 6' 12"

- Allegretto con variazioni 7' 05"





 
QUARTETTO ITALIANO
- Paolo Borciani, Elisa Pegreffi, violino
- Piero Farulli, viola
- Franco Rossi, violoncello

 






Luogo e data di registrazione
Basilica Sant'Eufemia, Milano (Italia) - 30 gennaio 1956


Registrazione: live / studio
studio

Producer / Engineer
-

Prima Edizione LP
Columbia | 33QCX 10209 - (Italy) | 1 LP | (p) 11/1956 | Mono
Columbia | 33CX 1396 - (England) | 1 LP | (p) 11/1956 | Mono


Prima Edizione CD
Tahra | Tah 647-648 | 2 CDs - 63' 21" - 58' 42" - (2°, 5-8) | (c) & (p) 2008 | ADD | Mono
Warner Classics | 0190296739200 | 14 CDs [CD10] - 35' 41" | (p) & (c) 2021 | Mono


Note
-












Ludwig van Beethoven (1770-1827) affrontò la forma quartettistica quando già aveva alle spalle una sinfonia, dei concerti, delle sonate, dei trii ed anche musica di chiesa e di teatro: in realtà Beethoven aveva esitato parecchi anni prima di provarsi nella composizione di un quartetto, una forma strumentale di cui conosceva bene le estreme difficoltà, l'esigenza di un'assoluta padronanza del contrappunto onde potersi muovere nello scarno tessuto determinato dai quattro archi con la capacità di attribuire a ciascuno di essi una precisa e autonoma personalità nell'rticolazione del dialogo polifonico. "Con esso (il quartetto) non sono ancora in grado di cimentarmi", aveva scritto senza falsi pudori all'amico Amanda, e quando nel 1795 il conte Apponyi gliene aveva ordinato uno, assolse senz'altro la commissione... scrivendo un trio! Beethoven. lo ripeterà più volte nei primi anni della sua attività, voleva essere ben certo di non avere più nulla dell'allievo prima di affrontare la forma quartettistica. E non a caso il timore e il rispetto che per tanto tempo rivolse ad essa, gli varrà in vecchiaia, e pensiamo agli anni prodigiosi dal 1824 al 1826 rischiarati dalla luce dei cinque ultimi quartetti, di affidare ad essa le più alte, intime, profonde e sofferte confessioni della sua grande anima. Beethoven pubblicò nel 1801 i Sei Quartetti op.18 che aveva composto nei due anni precedenti. Siamo, con essi, nello stile haydniano e in quello mozartiano, formalisticamente assunti come guida nella nuova esperienza. "Freschi e giovani, spensierati e sorridenti", sono stati detti: questa prima prova beethoveniana è però caratterizzata da un'ancora incerta osmosi fra il trattamento della forma e l'espressione attraverso essa delle proprie interne alternative. In effetti già allora pesavano su Beethoven le istanze romantiche, e ben diversi erano i fattori storici, ideali, culturali - rispetto a quelli, poniamo, di un Haydn - entro i quali veniva maturando la sua personalità. Ma era comprensibile che accingendosi alla composizione in generale, egli, giovane ancora, si trovasse indotto soprattutto a mutuare dai maestri l'evidenza di superficie delle loro opere, prima di trasformare la materia musicale ad immagine del proprio spirito, delle proprie idee e sentimenti. Così per il Beethoven dell'op.18, l'oramai raggiunta coscienza dei mezzi strumentali (il trattamento del complesso quartettistico), non significa ancora andare oltre un convenzionalismo senza grande pretese di significati. semmai tralucere in rapide impennate la presenza di un nuovo mondo poetico.
Ben diversa si presenta, a distanza di appena otto anni, la situazione in cui nasce il Quartetto in mi bomolle maggiore op.74, detto "delle arpe". Beethoven, nel 1809 ha oramai vissuto la stagione artistica dell'"espressione eroica", una stagione feconda di capolavori eccelsi in ogni genere musicale. Durante quegli otto anni, la piena coscienza e adesione ad una nuova epoca che entrava nella storia sulla punta della spada napoleonica, aveva significato per l'artista la scoperta di nuovi rapporti umani e artistici e musicali: che la delusione degli ideali non farà rinnegare, bensì priverà soltanto dell'erompente bisogno di estroversione, volgendo il musicista ai processi di interiorizzazione che domineranno nella sua "terza maniera". Nel genere quartettistico, la "espressone eroica" aveva significato la volontà di dilatare le possibilità sonore dello strumentale cameristico fino alla vigoria e alla pienezza dell'orchestra. Il Quartetto in do magg. op.59, chiamato anche l'"eroico", che precede immediatamente l'op.74, costituisce il punto limite raggiunto in questa direzione: ciò che gli è specifico, dice infatti il Chantavoin, "è l'imitazione dell'orchestra e la potenza sonora alla quale pervengono le quattro voci, di solito così deboli, del quartetto ». "Dopo di ciò - aggiunge il Mila - non rimaneva che l'approfondimento individuale della vita interiore"; e prosegue: "I due Quartetti che seguono (op.74 e op.75), benchè scritti ancora alla cosidetta seconda maniera, sono da considerarsi soprattutto come una preparazione all'ultima trascendente espressione beethoveniana. La straordinaria plasticità formale, l'oggettivazione evidente del pensiero musicale e le aspirazioni sinfoniche a una sonorità orchestrale, cedono il posto a un'esatta corrispondenza del pensiero musicale, fatto più intimo e capillare alla sonorità propria dei quattro archi ".
Detto "delle arpe" per i passaggi di pizzicati che ricorrono nel primo movimento e che ricordano quegli strumenti, il Quartetto in mi bemolle maggiore op.74 si apre con una "Introduzione" (segnata "Poco adagio"), pensosa e vigorosamente contenuta in un'intensa emozione. Essa conduce dopo 19 battute, attraverso un'espressiva progressione cromatica, all"Allegro" caratterizzato da una bella vivacità di ideee melodiche e di figurazioni ritmiche che gli imprimono una dinamica non di superficiale compiacenza discorsiva, ma palesemente partecipe di un preciso retroscena ideale e sentimentale, quale del resto a poco a poco si svela nel corso della composizione. E' durante lo sviluppo, che interviene per la prima volta il singolare passaggio di arpeggi pizzicati, dal violoncello alla viola al secondo violino su lunghe note tenute dal primo violino, che dà il nome a questo Quartetto.
L'"Adagio ma non troppo" seguente, è in forma di lied, ed è una pagina di altezza degna degli ultimi Quartetti beethoveniani. L'intensità meditativa di due temi che intervengono per primi, è soltanto attenuata dalla dolcezza della terza idea che viene a dare a questo movimento una continua sensazione di produzione melodica nel disegno di un approfondimento sentimentale condotto alla scoperta di intime e dolorose verità. Subito dopo, il "Presto" è un tipico Scherzo beethoveniano, ricco di vivacità, di idee, di ispirazione, e condotto naturalmente con estrema perizia: l'atmosfera è qui ben diversa da quella dell'"Adagio", però non tale da far parlare di convenzione e di formalismo. Vi è pur sempre una dialettica musicale tutt'altro che fine a se stessa. L'ultimo movimento, un "Allegretto con variazioni", è una pagina di strepitosa grandezza. Su un tema a carattere interrogativo di efficace suggestione, si svolgono sei variazioni ciascuna conchiusa in una specifica fisionomia e significato, che poliedricamente svelano e danno una risposta alla sospensione, alla domanda, contenuta nel dato tematico. E' il finale degno di un grande artista che non si accontentò mai di una visione univoca della realtà, ma sempre ne cercò la totalità attraverso la conoscenza dei suoi diversi aspetti. In un musicista come Beethoven, in cui il dato musicale è sempre un dato di pensiero, di idee, la scelta della forma variazione - a lui del resto così cara -, non va certo intesa come una scelta determinata soltanto da opportunismi formali, ma evidentemente nata da un atteggiamento mentale e sentimentale legato al crescente bisogno di ricercare in se stesso, nelle cose degli uomini e della natura, senza mai arrestarsi alle prime conclusioni raggiunte.
Luigi Pestalozza
(Columbia 33QCX 10209)