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Columbia
- 1 LP - 33QCX 10381 - (p) 12/1960
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Columbia
- 1 LP - 33CX 1727 - (p) 12/1960 |
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EMI
Références - 1 CD - 5 74792-2 - (p)
2001 |
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Testament
- 1 CD - SBT 1125 - (p) 1998 |
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Warner
Classics
14 CDs - 0190296739200 - (p) & (c)
2021 |
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Maurice Ravel
(1875-1937) |
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Quartetto
in fa maggiore |
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30' 51" |
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-
Allegro moderato. Très doux |
9' 09" |
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-
Assez vif. Très rythmé |
6' 51" |
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-
Très lent |
9' 09" |
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-
Vif et agité |
5' 52" |
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Wolfgang Amadeus
Mozart (1756-1791) |
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Quartetto n. 3 in sol
maggiore, KV 156 (KV 134/b) |
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15' 07" |
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-
Presto |
3' 22" |
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-
Adagio |
7' 20" |
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-
Tempo di Menuetto |
4' 25" |
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QUARTETTO
ITALIANO
- Paolo Borciani, Elisa Pegreffi, violino
- Piero Farulli, viola
- Franco Rossi, violoncello |
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Luogo e data
di registrazione |
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Milano (Italia) -
1959
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Registrazione: live
/ studio |
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studio |
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Producer / Engineer |
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Prima Edizione LP |
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Columbia | 33QCX 10381 - (Italy) |
1 LP |
(p) 12/1960
Columbia | 33CX 1727 - (England)
| 1 LP | (p) 12/1960
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Prima Edizione CD |
|
EMI
Réfèrences | 5
74792-2
| 1
CD - 74'
02"
| (p)
2001
| ADD
| (Ravel)
Testament
| SBT 1125 | 1
CD - 79' 24" |
(p) 1998 | ADD
| (Mozart)
Warner
Classics |
0190296739200
| 14 CDs
[CD14] -
46' 13" | (p)
& (c) 2021
| Stereo
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Note |
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-
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Il
Presente
Quartetto fa
parte di una
collana di
sei, composti
da Mozart
durante il suo
terzo viaggio
in Italia;
viaggio che lo
condusse a
Milano per
musicare e
mettere in
iscena l'opera
Lucio Silla,
commessagli
l'anno prima
dai
sovraintendenti
al Teatro
Ducale. Il
terzo
soggiorno
nella terra di
Scarlatti, di
Vivaldi, di
Tartini, di
Pugnani, di
Locatelli, di
Galuppi, di
Sammartini,
rivelò
decisamente al
giovane
salisburghese
lo spirito
della musica
italiana e
coronò in
maniera
definitiva le
esperienze già
da lui
acquisite a
Londra
attraverso i
contatti con
l'italianizzante
Christian
Bach, con
Felice
Giardini, con
Pier Domenico
Paradisi e poi
approfondite
durante le
"calate" a
Milano, a
Bologna, a
Roma, a
Napoli, fra il
1769 e 1771.
Più che nel
campo del
melodramma
dove tutti, in
fondo,
scrivevano
allora
"all'italiana",
l'influsso
latino diventò
palese nel
campo della
musica
istrumentale,
nelle
Sinfonie,
nelle Sonate
da chiesa,
nelle Sonate
per
clavicembalo,
nei
Divertimenti e
nei Quartetti.
Una nuova
luminosità,
una nuova
grazia, una
nuova
snellezza ed
armonia di
forme
apparvero a
fianco della
nativa,
inesauribile
fantasia e le
conferirono
uno slancio
più ardito e
sicuro.
Dal punto di
vista
strettamente
tecnico, il
piacere di
certe cadenze
ornamentali,
la tenerezza
delle linee
melodiche e
l'uso di un
contrappunto
libero,
sinuoso ma
estremamente
leggero, si
aggiunsero ai
valori già in
atto. Del
resto fu
proprio in
Italia, ed
esattamente a
Lodi, durante
una sosta
della
diligenza, che
il prodigioso
ragazzo aveva
scritto il suo
primo
Quartetto per
archi,
nell'anno
1770; ed è in
Italia ch'egli
aggiunse, a
quel
primissimo
saggio, la
serie di cui
parlammo in
principio.
A voler esser
giusti, il
genere
quartettistico
era praticato
allora più
all'estero che
non nella
nostra
penisola così,
la decisione
di Mozart ebbe
un po' l'aria
di voler
immettere in
una forma non
particolarmente
italiana gli
andamenti e,
più ancora, il
genio segreto
della musica
italiana. Ebbe
l'aria di
voler esporre
a nuova luce
le conquiste
tecniche e
estetiche di
Tartini, di
Locatelli, di
Giardini, di
Giovan
Battista
Sammartini. Il
primo
Quartetto di
tutto il
gruppo venne
creato in
circostanze
quasi
identiche a
quello che
videro nascere
lo storico
Quartetto di
Lodi; venne
fuori, cio è
dire, a
Bolzano o a
Verona, come
mezzo ideale
per passare il
tempo fra una
coincidenza e
l'altra delle
cosidette
"sedie
postali". Il
secondo,
quello in sol
K.156, vide
invece la luce
a Milano o
nella campagna
milanese,
mentre le
prove del
Lucia Silla
andavano per
le lunghe e il
maestrino,
durante la
giornata,
aveva molte
ore libere da
impiegare in
altri lavori.
Codesto
Quartetto, al
pari dei suoi
confratelli, è
suddiviso in
tre soli
"movimenti" e,
secondo una
formula assai
praticata
dagli
italiani,
(Sammartini in
testa) terminò
con un Tempo
di menuetto
anzichè con un
Allegro più o
meno condotto
secondo lo
schema di
Rondò.
L'Adagio (e
anche questo
particolare si
ricollega con
un
procedimento
caro ai
maestri
d'Italia) si
presenta nel
mi minore,
ossia nel
somigliante
minore di sol
maggiore.
Pieno di vita,
spumeggiante
di felicità
giovanile è il
Presto
iniziale; dove
campeggiano
tre idee
fondamentali,
più un'idea di
coda, le
quali, più che
concatenarsi
fra loro
attraverso
"sviluppi" e
genuinazioni
di incisi
tematici, si
susseguono
secondo
l'impulso
della libera
fantasia. Solo
alla "seconda
idea" Mozart
imprime
qualche
evoluzione,
mostrando
così, di voler
attenersi alle
consuetudini
degli autori
italiani,
quasi sempre
più attratti
dal secondo
che non dal
primo tema.
Naturalmente,
ciò che più
conta sono
l'invenzione e
l'accento del
pezzo, quel
suo passo
franco e
gaudioso,
quella sua
eloquenza
rapida e
trillante.
L'Adagio,
quasi
intieramente
cantato dal
primo violino
dall'inizio
alla fine,
richiama un
po' l'arcata
sostenuta di
certe Arie
d'opera seria
italiana, ma
ha un
patetismo suo
personalissimo,
meraviglioso
quando lo si
riferisca ad
un ragazzo di
sedici anni.
Il Tempo di
Menuetto
consta in
realtà di due
Minuetti,
l'uno in
maggiore e
l'altro in
minore, con
ripresa finale
del primo.
Anche in
simile
struttura e,
piu ancora,
nella condotta
di tutto
l'insieme,
dove
l'abbandono
melodico
predomina in
confronto
all'incisività
ritmica, noi
possiamo
riconoscere un
segno
ulteriore
dell'influenza
italiana.
··········
Il Quartetto per archi
fu la prima composizione di
Ravel che fece convergere
l'attenzione del mondo
musicale sul giovane maestro
di Ciboure. Presentata al
pubblico della Société
Nationale di Parigi il 5 marzo
1904, l'opera ottenne un
grande successo e Debussy
scrisse subito all'autore:
"Nel nome degli dei della
musica ed in nome mio proprio,
La supplico di non cambiare
una sola nota nel Suo
Quartetto". L'autore medesimo,
giunto, al colmo del magistero
tecnico e arricchito di
infinite esperienze,
predilesse sempre il Quartetto
per la sua freschezza
d'invenzione e la sua
giovanile tenerezza.
Eppure, un lavoro così
palpitante, così felice nel
suo sviluppo e nel suo modo di
discorrere, venne scritto
quando l'autore si trovava
ancora al Conservatorio di
Parigi, allievo di
composizione nella classe di
Gabriel Fauré. E' anzi noto
che il primo "tempo",
l'Allegro moderato, presentato
da Ravel in una sessione
d'esami, ottenne da un giudice
la classificazione "pénible" e
dal direttore del
Conservatorio, Théodore
Dubois, l'appunto "manca di
semplicità e di chiarezza".
Questo esito scolastico del
Quartetto, quest'esito così
poco favorevole del giovane
musicista, non fu certo
estraneo alla successiva
esclusione di Ravel dai
cosidetti "Premi di Roma".
Magrado le inìziali traversie,
il Quartetto restò un modello
di spontaneità, un esemplare
di buona scrittura in tutta la
produzione del grande maestro
e mostrò di contenere già in
nuce tutte le caratteristiche
della sua originale
personalità. In primo luogo,
quel nuovo "senso modale" che,
pur senza sovvertire la
tradizione di tonalità
maggiore e minore, toglie
spesse volte alla tonica e
alla cadenza di tonica la loro
perentorietà, la loro rigida
alternativa e vi sostituisce,
se così possiamo dire, un
aggiornamento di conclusioni
definitive e troppo
categoriche. In secondo luogo,
un gusto dei timbri più
sottile di quanto non si
avesse prima; specie in
riguardo agli strumenti più
gravi (la viola ed il
violoncello) che assai
frequentemente si spingono nel
registro acutissimo,
provocando un'impressione di
intensità quasi morbosa,
l'ìmpressione di trovarci
sopra un limite non ancora
oltrepassabile. Con tutto
questo, nel Quartetto in fa
non c'è nulla che non sia
immediatamente percepibile,
che non risulti terso, che non
concreti subito e senz'ombra
di dubbi le intenzioni del
creatore. Sotto tale puntu di
vista, potremmo dire che si
tratti di un prodotto
mozartiano.
Il primo "tempo", condotto
secondo il diagramma del
classico Allegro di Sonata,
consta, così, di due temi
principali; entrambi, però,
affini per l'affettuosità, il
calore e, insieme, la serenità
dell'accento. Come spesso
avviene nella musica di Ravel,
la grazia un poco languida, un
poco capricciosa e infantìle è
percossa, qua e là, da folate
rabbrividenti: ombre o
incertezze che passano sopra
un cielo chiaro e pulito. Il
secondo "tempo" (Très rhytmé)
ci mette avanti un Ravel
innamorato della danza come
tutti i figli della razza
basca cui egli apparteneva.
Codesta specie di scherzo,
alterna un movimento
tambureggiante, ottenuto con
il pizzicato di tutti quattro
gli istrumenti, a un movimento
più espansivo cantabile,
preferibilmente scambiato fra
il primo violino e la viola.
Nel centro del pezzo troviamo
un istante di raccoglimento
pensoso: una pausa fra tanta
vivacità, segnata da armonie
cromatiche e da interiezioni
melodiche del violoncello e
della viola. Nel terzo
"movimento" (Très lent)
emergono il lirismo e la
malinconia dei maestro, uniti
al suo nostalgico desiderio di
qualcosa remoto ed arcaico,
profumi, ormai spenti, di età
non mai conosciute, ma
vagheggiate nella fantasia
come consolazione e
liberazione. Il finale (Vil et
agité) è tutto tenuto
nell'inconsueto ritmo
quinario, tranne quando si
presenta la seconda idea,
annunciata e brevemente
sviluppata in "tre quarti".
Rapido, anelante, estremamente
mobile per l'impiego assiduo
del "tremolo", questo
"movimento" corre via con
l'incanto, la labilità,
l'umore un po' instabile dei
mattini di primavera.
Giulio
Confalonieri
(Columbia
33QCX 10381)
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