QUARTETTO ITALIANO


DG - 1 LP - 2531 197 - (p) 1980
DG - 1 CD - 419 673-2 - (c) 1987

Johannes Brahms (1833-1897)


Quintett für Klavier, 2 Violinen, Viola und Violoncello f-moll, Op. 34
43' 50"
- Allegro non troppo - Poco sostenuto - Tempo I 15' 57"

- Andante, un poco Adagio 9' 03"

- Scherzo. Allegro - Trio 7' 39"

- Finale. Poco sostenuto - Allegro non troppo - Tempo I - Presto non troppo 10' 56"





 
Maurizio Pollini, piano
QUARTETTO ITALIANO
- Paolo Borciani, Elisa Pegreffi, violino
- Piero Farulli, viola
- Franco Rossi, violoncello

 






Luogo e data di registrazione
Herkules-Saal, München (Germania) - 24-28 gennaio 1979

Registrazione: live / studio
studio

Producer / Engineer
Rainer Brock | Klaus Scheibe

Prima Edizione LP
Deutsche Grammophon | 2531 197 | 1 LP - 43' 50" | (p) 1980

Prima Edizione CD
Deutsche Grammophon | 419 673-2 | 1 CD - 43' 50" | (c) 1987 | AAD


Note
Quartetto Italiano by courtesy of Phonogram International B.V.












La prima stesura del Quintetto op. 34 risale al 1862, lo stesso anno in cui Brahms compì il primo soggiorno a Vienna e in cui cominciò a scrivere la prima Sinfonia, che avrebbe finito solo nel 1876, Mentre era ancora lontano il compimento della sua prima esperienza sinfonica, la musica da camera (che è comunque sempre la chiave essenziale per penetrare nel mondo poetico brahmsiano) occupava allora una posizione di particolare rilievo nella sua produzione, dopo la fase iniziale di opere prevalentemente pianistiche. E proprio nei primi lavori di musica da camera il pianoforte riusciva indispensabile alla caratteristica densità della scrittura brahmsiana, contribuendo a definire il particolare colore dei Quartetti op. 25 e 26 (1861): non a caso il primo pezzo per soli archi fu un Sestetto (1859-60) che consentiva una qualità di suono più densa, scura e “opaca” rispetto al classico quartetto. Neppure il quintetto d'archi riusciva del tutto congeniale al pensiero musicale di Brahms negli anni Sessanta, e infatti la prima versione dell'op. 34, destinata appunto a un quintetto d’archi e distrutta dall’autore, non soddisfece pienamente né Brahms, né amici come Clara Schumann e Joseph Joachim. Entrambi avevano espresso con particolare calore la loro ammirazione incondizionata per la musica, ma diverse perplessità sulla veste strumentale. Il Quintetto in fa minore divenne una Sonata per due pianoforti, che fu eseguita a Vienna, il 17 aprile 1864, dallo stesso Brahms insieme con Carl Tausig. Non ebbe successo, e fu rielaborata nel 1864 nella forma definitiva di quintetto per archi e pianoforte; ma a Brahms non dispiacque la versione timbricamente compatta e omogenea per due pianoforti, tanto che la pubbliin seguito nel 1872. Di tale lunga e travagliata genesi la scrittura strumentale dell’op. 34, nella sua stesura finale che associa agli archi lo strumento più familiare a Brahms, non rivela alcuna traccia, tanto compiutamente riesce a valorizzare la eccezionale ricchezza e complessità del pensiero musicale di questo capolavoro.
Basterebbe l'Allegro non troppo a far comprendere un aspetto dell’originalità di Brahms nella sua strenua volontà di definire una salda costruzione formale, sul modello dei classici, e di riallacciarsi all’ideale drammatico che si suole chiamare beethoveniano. Ncl prime tempo del Quintetto, pagina di straordinaria compattezza, concentrazione e ricchezza tematica, una corrusca drammaticità si piega ad una personalissima sintesi con le componenti più liriche, introverse, meditative del pensiero di Brahms, in un chiaroscuro di intensissima suggestione. Con il loro ampio respiro le battute introduttive rivelano in modo inconfondibile la mano del loro autore, poi il primo tema si definisce con un rude scatto dramrnatico. Ma al severo vigore di questa idea segue una serie di affascinanti trapassi chiaroscurali: dalla tenerezza elegiaca del tema di transizione in fa minore, all’ampio secondo tema in do diesis minore, che indugia in una meditativa, intima suggestione lirica, al disteso respiro del terzo tema in re bemolle maggiore che conclude questa densa esposizione (che racchiude le idee citate in 90 battute). Anche lo sviluppo presenta una notevole concentrazione: basato su elementi del primo e del secondo tema, non è sede di veri e propri conflitti, di netti contrasti, ma presenta accenti riflessivi, in un fitto succedersi di modulazioni, in un denso gioco chiaroscurale, che approda ad un rnomento culminante di grande intensità, basato sul secondo tema: gli elementi più marcatamente drammatici del primo tema si ripresentano solo nella ripresa (che si svolge in modo regolare) e nel corso della coda conclusiva, aperta da un affascinante “Poco sostenuto”. Non è questo il solo momento del Quintetto in cui si afferma l'inclinazione di Brahms ad indugiare con particolare incanto poetico su divagazioni, parentesi, episodi “secondari”.
I caratteri che abbiamo cercato di sottolineare nel primo movimento gli conferiscono, nei suoi trapassi chiaroscurali, una singolare continuità discorsiva, che appare ancor più evidente nell’ininterrotto fluire del lirico Andante, un poco Adagio. È basato su un tema principale e su altre idee ad esso più o meno affini, e disposte in modo da rendere meno schematica la tradizionale simmetria ternaria (cui pure si può far riferimento). Citeremo solo un esempio che mostri come Brahms persegue con sottili trapassi e collcgamenti la continuità di respiro in questa pagina. L’idea principale, esposta dal pianoforte, è accompagnata da un disegno ritmicamente indipendente, affidato a primo violino, viola e violoncello. Soltanto quel disegno e quel ritmo di accompagnamento riappaiono nel corso dello svolgimento della sezione centrale del pezzo: ci si ricollega così al tema principale, facendone presagire il ritorno (che però avrà luogo soltanto venti battute dopo). La ripresa comporta una suggestiva trasformazione (nel proseguimento dell’idea principale) così che si modifica un poco il tradizionale schema ternario A-B-A’; riappare infine lo spunto che proseguiva il tema principale, a mo’ di coda conclusiva. Ma lo schema non può rendere l`idea della flessibilità e della continuità con cui si concatena il periodare di questa “prosa musicale” (secondo la nota definizione di Schönberg), fondata su idee legate da sottili affinità, in un suggestivo cangiare di colori e situazioni dettate da una vena di mesto, meditativo intimisrno.
Un altro aspetto della fantasia brahmsiana è rivelato dallo Scherzo, di eccezionale ricchezza inventiva, fondato su tre idee che si succedono con febbrile tensione, così che le prime due, entrambe in pianissimo e in do minore, sembrano inizialmente preparare la presentazione della terza, che irrompe in do maggiore con vigorosa, incisiva evidenza; ma nel successivo svolgimento del pezzo la tensione e la ricchczza fantastica non conoscono attenuazioni: riappare l’inquieta idea sincopata dell’inizio (cui il timbro conferisce qualcosa di
spettrale), ritorna l’energico profilo ritmico del secondo spunto, che dà vita ad un nervoso episodio fugato, per sfociare nuovamente nella terza idea, seguita da altri due episodi (fondati su primo e secondo terna). Solo il Trio segna un attenuarsi dell’impetuosa tensione fantastica in un clima più grave e meditativo.
Il Finale è preceduto da una intensissima introduzione lenta (“Poco sostenuto”’), dal sapore un poco schumanniano. La tensione espressiva di questa stupenda pagina sembra risolversi nell’andamento “ingenuo”, popolaresco del primo tema dell"‘Allegro non troppo”. Ma il Finale presenta caratteri formali ed espressivi assai meno semplici di quello che potrebbe far pensare il tema d’apertura, che sembra un tipico refrain da rondò. Come in alcuni finali schubertiani, e in altre pagine dello stesso Brahms, ci si trova di fronte ad un libero svolgimento che non coincide né con lo schema del rondò né con quello della forma-sonata: anche qui Brahms concentra in una costruzione compatta e non convenzionale una straordinaria ricchezza di idee tematiche. Dopo esscre stati esposti, i temi principali non danno vita ad uno sviluppo, ma ad una seconda parte in cui vengono riproposti con libere trasformazioni, in una sorta di ripresa che assorhe in sé anche alcuni caratteri di sviluppo. La loro succcssione determina umori espressivi nobilissimi e intensamente chiaroscurati: dal piglio popolaresco del primo tema all’introversa meditazione lirica del sccondo, al vigore severo del terzo, alla magica leggerezza dell'episodio successivo (che trasforma elementi del primo tema). Nessuna schematica definizionc può render giustizia alla mobilità espressiva dell'"Allegro non troppo”, che alla fine conduce ad un trascinante, impetuoso “Presto, non troppo”, pagina conclusiva di intensissima energia, fondata su una trasformazione del primo tema e sul sccondo.
Dr. Paolo Petazzi © 1980