ARCOPHON


1 LP - AC 676 - (p) 1965
1 CD - CRA 8912-5 - (c) 1996

Carlo GESUALDO da Venosa (1566-1613)





MADRIGALI A CINQUE VOCI, LIBRO V (1611) - prima parte




- Gioite voi col canto 4' 17"
- S'io non miro non moro 3' 43"
- Itene o miei sospiri 3' 16"
- Dolcissima mia vita 3' 07"
- O dolorosa gioia 4' 12"
- Qual fora, donna 2' 27"



- Felicissimo sonno 3' 23"
- Se vi duole il mio duolo 3' 47"
- Occhi del mio cor vita 2' 52"
- Languisce alfin 4' 19"
- Mercè grido piangendo 3' 06"
- O voi troppo felici 2' 00"
- Correte, amanti, a prova 2' 10"



 
QUINTETTO VOCALE ITALIANO / Angelo Ephrikian, direttore
- Karla Schlean, soprano
- Rosanna Giancola, mezzosoprano
- Clara Foti, contralto
- Rodolfo Farolfi, tenore
- Gastone Sarti, basso
 






Luogo e data di registrazione
Villa Litta, Milano (Italia) - 20-27 maggio 1965

Registrazione: live / studio
studio

Producer / Engineer
Giambattista Pirelli / Karla Schlean - Angelo Ephrikian

Prima Edizione LP
Arcophon - AC 676 - (1 LP) - durata 42' 43" - (p) 1965 - Analogico

Edizione CD
Rivo Alto & Electa "Musica e Musei" - CRA 8912-5 - (1 CD) - durata 67' 07" - (c) 1996 - ADD

Note
In copertina (CD): Andrea Mantegna, Camera degli Sposi (particolare) - Palazzo Ducale - Mantova
L'edizione in CD contiene l'intero Quinto Libro mentre l'edizione in Lp contiene i primi 13 numeri.












IL QUINTO LIBRO DEI MADRIGALI
Il quinto e il sesto libro dei madrigali del Principe di Venosa furono pubblicati quasi contemporaneamente a Gesualdo nel 1611, per i tipi di G.G. Carlino e per cura di tale Giovanni Pietro Cappuccio, certo un cortigiano del principe che - secondo la consuetudine - dedicò la raccolta allo stesso compositore: si trattava ovviamente di una finzione resa necessaria dal costume del tempo che vietava a un personaggio del rango del Venosa di assumere direttamente la responsabilità della pubblicazione delle proprie opere.
La data di composizione dei madrigali raccolti nel quinto e nel sesto libro si scagliona presumibilmente lungo un arco di tempo assai ampio, come si deduce tra l’altro dalla dedica del sesto libro al Gesualdo, stesa dallo stesso Giovanni Pietro Cappuccio: "Questi madrigali della sesta muta furono composti da V.E. nelli medesimi anni che furono quelli della quinta; e perciò questi ancora sono stati aspettati con grandissimo desiderio dal mondo da sì lungo tempo". Si tratta dunque di una scelta che Gesualdo stesso compì delle proprie opere composte dopo il 1596, con la consueta severità e l’acuto senso critico che gli vietò, per esempio, di divulgare i suoi esperimenti in stile monodico di cui è fatta menzione da parte del Fontanelli (cfr. la mia presentazione del III° Libro dei Madrigali di Gesualdo, Disco Ars Nova VST 6197) e le canzonette pubblicate postume da Pomponio Nenna nel proprio Ottavo Libro dei Madrigali, Roma, 1618.
Nella sua critica vicenda esistenziale che dovette assumere negli ultimi anni aspetti e momenti veramente allucinanti, la musica non cessò di essere un polo costante di interesse, un campo di studio e di ricerca assidua e febbrile, nella quale Gesualdo impegnò la parte rnigliore di se, le sue lucide doti intellettuali non meno dell’appassionata dedizione interiore. Tornato a Napoli nel 1597, raccolse intorno a se un’accademia musicale comprendente Scipione Stella, Rocco Rodio, Pomponio Nenna, Muzio Efrem, Giovanni Macque, Bartolomeo Roy, Giovambattista di Pavolo, Scipione Cerreto, Giustiniano Forcella, Domenico Montella, "compositori, sonatori e cantori eccellentissimi" che il principe, secondo le parole di un contemporaneo "per suo gusto e intertenimento tiene in sua corte a sue spese". Gesualdo preso tutto dalla sua passione, ignorava le accuse di eccessiva prodigalità e di sperpero che la sua famiglia gli moveva. Egli, pontefice in questo eletto cenacolo d’artisti, mirava certo ad emulare i fasti musicali della corte estense: desiderio confermato dalla fondazione, nel castello di Gesualdo, di una stamperia musicale diretta da G.G. Carlino, la stessa che pubblicò i suoi due ultimi libri di madrigali e una sua raccolta di responsori.
Gesualdo volle consolidare la sua fama di compositore, pubblicando tra il quarto (1596) e il quinto (1611) libro di madrigali tre raccolte di musica religiosa: Sacrarum Cantionum Quinque Vocibus Liber Primus (1603); Sucrarum Cantionum Liber Primus Quarum Una Septem Vocibus, Ceterae Sex Vocibus Singulari Artificio Compositae (1603); Responsoria et Alia ad Officium Hebdomadae Sanctae Spectantia, a sei voci (1611). Opere tutte, a parte ogni ricerca di carattere espressivo, veramente "singulari artificio composiate", sulla linea della più rigorosa arte contrappuntistica cinquecentesca. Per quanto più propriamente concerne le ultime due raccolte di madrigali, si nota una sostanziale continuazione degli atteggiamenti espressivi maturati nei libri precedenti, soprattutto nel quarto. Nella scelta dei testi incontriamo ancora la predilezione per poesie brevi e di limitate pretese letterarie (nel Quinto Libro, su ventuno madrigali, uno solo, l’ultimo, è dovuto a un autore illustre, Giovanbattista Guarini). In questo modo Gesualdo si riserva da parte sua la massima possibilità d’intervento, sia dal punto di vista di un’autonoma organizzazione strutturale del madrigale, sia da quello di una totale ricreazione semantica del contenuto espressivo della poesia. Secondo la ine notazione critica di Nino Pirrotta "non “serva” ma “compagna” dell’orazione, la musica ha il compito di dire ciò che è indicibile a parole, di esprimere coi rivolgimenti cromatici il torcersi dell’anima nel dolore, con i salti melodici violenti e inconsueti la sfida del sarcasmo e della ribellione, con i travolgenti contrappunti di diatoniche colorature di quest’ultimo periodo... il fervore disperato della speranza o il dilatarsi panico della personalità nella gioia".
I gesti espressivi si semplificano, sino a ridursi all’alternanza e alla successione di atmosfere espressive nettamente contrastanti: è come se la poetica espressionistica di Gesualdo, portata alle sue ultime conseguenze non riconoscesse altro che la possibilità di un procedere apodittico, articolato attraverso la contrapposizione di concetti e di momenti opposti, che solo la ferrea logica con cui è condotto il discorso riesce a fondere in una struttura organica. Ancora più sviluppato che non nel quarto libro è il parametro armonico, piegato ad audacie che per più di due secoli non furono emulate nella tradizione musicale occidentale. Parallelamente, la tecnica contrappuntistica si decanta sino a raggiungere una sorta di astratta e cristallina purezza, soprattutto laddove essa è impiegata in quei passi che Vincenzo Giustiniani definiva "fughe dolci e correnti": momenti nei quali Gesualdo raggiunge una gioiosa e prorompente pienezza di vita. Accanto a questo si delinea negli ultimi due libri di madrigali un tipo di contrappunto affatto nuovo, che potrebbe definirsi, con il Pirrotta, "contrappunto di recitativi, dacché la sua sostanza non è più il gioco delle immagini sonore in movimento, ma la moltiplicazione contrappuntistica dell’intensità affettiva della declamazione". Un calore umano tutto nuovo hanno i passi trattati omoritmicamente in un declamato accordale aperto a preziose, ricchissime sfumature di senso, e, in generale, a un accento di straordinaria immediatezza e verità umane.
Anche da un punto di vista contenutistico le due ultime raccolte chiudono circolarmente la tematica estetica di Gesualdo: suggellano, portandolo alle ultime conseguenze, in una sorta di apoteosi lucida, ma pure allucinata e barocca, il tema unico della sua arte, l’amore. Con le parole del Pirrotta: "Egli fu, si direbbe, romanticamente innamorato del complesso cerimoniale del corteggiamento amoroso, delle promesse deluse, delle negazioni provocanti, delle speranze risorgenti. La vita non gli diede che delusioni, incomprensioni coniugali o troppo facili avventure degradanti del senso. Pure il sogno persiste fino all’ultimo, si rinnova anzi negli ultimi anni in una fase gioiosa che le fasi precedenti non avevano conosciuto".

I.
Gioite voi col canto,
Mentre piango e sospiro,
Né dal mio lagrimar punto respiro.
Ahi, misero mio core,
Nato sol al dolore;
Piangi, ma piangi tanto
Che vinta dal tua pianto
Sia la mia donna e poi rivedi in lei
Gli afanni e i dolor miei.
Non a caso questo madrigale apre il quinto libro, dopo la lunga pausa di silenzio susseguente al quarto. Il testo sembra lumeggiare il rapporto tra il musicista e la sua arte. La dolorosa vicenda d’affetti da cui questa nasce e si alimenta è incapace di risolversi totalmente nell’atto estetico. Ad altri, non al musicista, è dato di gioire dinnanzi al mondo di forme che egli crea: Gioite voi col canto, mentre piango e sospiro... Vista come enuncianzione di poetica, può interpretarsi come un ideale collegamento alla tematica espressiva delle precedenti raccolte madrigalistiche, che Gesualdo andrà approfondendo sino alla fine della sua esperienza compositiva.

II.
S’io non miro non moro,
Non mirando non vivo;
Pur morto io son, né son di vita privo.
O miracol d’amore, ahi, strana sorte,
Che 'l viver non fia vita, e 'l morir morte.
Il testo è un esercizio formalistico, di gusto tipicamente barocco, nel senso deteriore della parola: tanto più risalta la straordinaria concentrazione espressiva della musica, che infonde un accento di verità e di fervido pathos alle parole. Si noti specialmente la tensione di certe linee melodiche e la drammatica intensità della sezione finale.

III.
Itene, o miei sospiri,
Precipitate 'l volo
A lei che m’é cagion d’aspri martiri.
Ditele, per pietà, del mio gran duolo;
C'ormai ella mi sia
Come bella ancor pia,
Che l’amaro mio pianto
Cangerò, lieto, in amoroso canto.
Il probabile modello stilistico di questa composizione è da identificarsi con il madrigale Itene mie querele di Luzzasco Luzzaschi, compreso nella Seconda scelta dei madrigali di questo autore pubblicati nel 1613 a Gesualdo, dallo stampatore G.G. Carlino, certo su istanza dello stesso da Venosa. Se dal Luzzaschi deriva l'impostazione strutturale del pezzo e dalla tradizione madrigalistica illustre e, in particolare, da Luca Marenzio il trattamento di parole come sospiri, volo, bella, canto, cangerò (in concomitanza di quest’ultimo termine si noterà un parallelo cambiamento del ritmo, da binario a ternario), tipicamente gesualdiana è la forza di persuasione drammatica dell’opera.

IV.
Dolcissima mia vita,
A che tardate la bramata aìta?
Credete forse che 'l bel foco ond’ardo
Sia per finir perché torcete 'l guardo?
Ahi, non fia mai che brama il mio desire
O d’amarti o morire.
Un discorso assai simile è da farsi anche per questo madrigale. Nota con finezza Alfred Einstein: "Nell’interesse di uno stile affatto personale, che si potrebbe definire addirittura “egoistico”, tutti i più arditi mezzi d’espressione sviluppati nel corso di un secolo sono qui portati all’estremo: applicati a un testo incapace di tollerare tale trattamento eccessivo, questo stile diverrebbe assurdo." Ma già si è sottolineato come Gesualdo, qui più che altrove, tenda a scegliere testi di scarso rilievo letterario, che possano docilmente piegarsi entro gli schemi della sua violenta fantasia musicale. Si noti il rilievo che assume in questa composizione l’enfatica ripetizione di incisi testuali e musicali identici, o solo lievemente variati.

V.
O dolorosa gioia,
O soave dalore
Per cui quest'alma è mesta e lieta more!
O miei cari sospiri,
Miei graditi martiri,
Del vostro duol non mi lasciate privo,
Poiché sì dolce mi fa oarto e vivo.
L'appropriatezza della notazione critica del teorico secentesco Giovanni Battista Doni: "...gl’Italiani senza fallo sopravanzano tutte l’altre nationi nella parte melica: nella quale niuno de’ moderni puo contendere col Venosa", è confermata in particolare, da questo madrigale, contrappunto di melodie purissime, isolate nella loro calda bellezza, come nel1’esordio o abilmente illuminate, volta a volta, nello stretto gioco polifonico.

VI.
Qual fora, donna, un dolce "oimé!" d’Amore
Se quell’ "oimé!" che da voi tragge, ahi lasso,
Lieve dolor, così m’incende il core?
Misero, a ciascun passo
Vo desiando, e so ch’indarno il bramo,
Che un dì col cor diciate "Oimé, ch’io t’amo!"
Assai tenue nella tematica che l'accomuna al classico, sospiroso madrigale cinquecentesco, questa composizione riesce a distinguersene per la più nervosa struttura delle parti contrappuntistiche e per l’imensità patetica delle sezioni omoritmiche.

VII.
Felicissimo sonno
Che ne le luci di madonna vivi
E noi di luce privi,
Deh, con un sogno messaggier le mostra
L’afflitta anima nostra!
Fa che in partir da lei pietà vi resti
E pietosa si desti.
Il madrigale si fa notare per la limpida strutturazione in tre parti, l’ultima delle quali ritornellata e fortemente contrastante, nelle correnti figurazioni, alle prime due. Noteremo per curiosità che il motivo del sonno, della bella dolcemente addormentata, fu tra i prediletti della poesia per musica barocca: la scena e, in conseguenza, "L’aria del sonno" divenne un luogo comune dell’opera secentesca.

VIII.
Se vi duol il mio duolo
Voi sola, anima mia,
Potete far che tutto gioia sia.
Dhb, gradite il mio ardore
Ch'arderà lieto nel suo foco il core,
E quel duol che vi spiace
In me sia gioia, in voi diletto e pace.
Ancora una volta, al di sotto dell’empito espressivo della musica gesualdiana che si apre qui ad accenti di abbandonata serenità, si scorge una tersa architettura formale. Questo ampio ed elaborato madrigale si articola in due parti nettamente distinte: ripetuta due volte la prima, con piccole ma sottili variazioni nella ripresa, mossa e franta nei disegni la seconda.

IX.
Occhi del mio cor vita,
Voi mi negate, oimé, Vusata aìla!
Tempo è ben di morire, a che più tardo?
A che serbate il guardo?
Forse per non mirar come v’adoro.
Mirate almen ch’io moro!
La delicatissima materia sentimentale del rnadrigale è sviluppata dal musicista con mano leggera, con un tremito sentimentale che sembra tema di incrinarne la sospesa atmosfera. Ancora una volta notiamo il valore che Gesualdo conferisce all’iterazione di incisi testuali identici, che la musica arricchisce a mezzo di finissime variazioni.

X.
Languisca al fin chi da la vita parte
E di morte il dolore
L’affligge sì che in crude pene more.
Ahi, che quello son io,
Dolcissimo cor mio,
Che da voi parto e, per mia crudel sorte,
La vita lascio e me ne vado a morte.
La tematica svolta del testo è tipica del più convenzionale madrigale cinquecentesco: l'elaborazione musicale è, all’opposto, singolarmente atta ad illuminate quest'ultimo, supremo momento dell’arte gesualdiana. Il discorso procede attraverso un gioco contrappuntistico-imitativo estremamente denso: le entrate dei vari incisi avvengono sempre "in stretto", senza che lo sforzo intellettuale implicito a quest’arduo procedere tolga alcunché alla loro intensità espressiva. Passi di raccolto declamato accordale rappresentano zone di più trasparente lirismo, mentre gli improvvisi contrappunti correnti sull’inciso "lascio la vita" determinano un'espressionistica, violenta rottura del tessuto espressivo, fasci di luce che guizzano improvvisi nella scura atmosfera del madrigale.

XI.
Mercé, grido piangendo,
Ma chi m’ascolta? Ahi lasso, io vengo meno;
Morrò dunque tacendo.
Deh, per pietade almeno,
Dolce del cor tesoro,
Potessi dirti pria ch’io mora: "Io moro!"
La situazione delineata dal testo ha qualche affinità con il celebre madrigale "Io tacerò, ma nel silenzio mio", compreso nel quarto libro, sia pure in una prospettiva più lirica e abbandonata: non è da meno di esso per bellezza e per 1’audacia del linguaggio, già rilevata, nel Seicento, da Giovanbattista Doni.

XII.
O voi, troppo felici,
Che mirate il mio sole
E cangiate con lui sguardi e parole,
Quel che a voi sopravanza, ahi, potessi io
Raccor per cibo a gli occbi del cor mio.
Il madrigale è articolato in due parti nettamente distinte, ognuna delle quali si apre con una declamazione accordale e si frange in seguito in un mosso gioco contrappuntistico.

XIII.
Correte, amanti, a prova,
A mirar meco quello
Onde s'adorna il mondo e si fa bello!
Vista dolce ed acerba in cui si trova
Virtù di forza tale
C’or breve fa la vita or immortale.
È una cornposizione tutta sospesa nella leggiadria di un arioso contrappunto: la seconda sezione è ritornellata, dando luogo allo schema formale AAB
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Francesco Degrada