2 CD's - 439 953-2 - (p) 1994

GUSTAV MAHLER (1860-1911)






Symphonie No. 2 c-moll "Auferstehungs-Symphonie"
87' 12"
Compact Disc 1
33' 00"
1. Satz:


- Allegro maestoso [Totenfeier].
6' 02"

- Sehr mäßig und zurückhaltend - [7] *
5' 35"

- Schnell - [15]
4' 06"

- Tempo I - [5 Takte nach 20]
3' 28"

- Tempo sostenuto - [24]
3' 09"

2. Satz:


- Andante moderato. Sehr gemächlich 1' 25"

- Nicht eilen. Sehr gemächlich - [1 Takt vor 3]
1' 34"

- In Tempo I zurückkehren - [5]
1' 43"

- Energisch bewegt - [6]
2' 28"

- Wieder ins Tempo zurückgehen. Tempo I - [12]
3' 24"

Compact Disc 2
54' 12"
3. Satz:


- [Scherzo] In ruhig fließender Bewegung 5' 13"

- Sehr getragen und gesangvoll - [40]
1' 27"

- Zum Tempo I zurückkehren. - [43] attacca:
4' 58"

4. Satz:


- "Urlicht" - Sehr feierlich, aber schlicht - "O Röschen rot!" (Alt-Solo) (Text from "Des Knaben Wunderhorn") 5' 28"

5. Satz:


- Im Tempo des Scherzos. Wild herausfahrend 1' 49"

- Langsam - [3]
4' 11"

- Im Anfag sehr zurückgehaltend - [7]
1' 24"

- Wieder sehr breit - [10]
3' 14"

- Molto ritenuto. Maestoso - [3 Takte vor 14]
4' 31"

- Wieder zurückhaltend - [21]
3' 52"

- Sehr langsam und gedehnt - [29]
2' 37"

- Langsam. Misterioso - [31] "Aufersteh'n, ja aufersteh'n wirst du" (Sopran-Solo, Chor) (Text: Klopstock und Mahler)
3' 35"

- Langsam ppp. Nicht schleppen - [35] "Wieder aufzublühn wirst du gesät" (Sopran-Solo, Chor) 3' 24"

- Etwas bewegter - [39] "O glaube, mein Herz, o glaube" (Alt-Solo, Soprano-Solo, Chor) 3' 31"

- Mit Aufschwung, aber nicht eilen - [44] "O Schmerz! Du Alldurchdringer!" (Alt-Solo, Sopran-Solo, Chor) 4' 58"





* numero in partitura: Universal Edition A.G., Wien / Internationale Gustav Mahler Gesellschaft, Wien







 
Cheryl Studer, Sopran
Waltraud Meier, Alt (contralto)
Arnold Schoenberg Chor / Erwin Ortner, Chorus Master
Wiener Philharmoniker
Claudio ABBADO
 






Luogo e data di registrazione
Musikverein, Großer Saal, Vienna (Austria) - novembre 1992

Registrazione: live / studio
live recording

Produced by
Christopher Alder

Associate Producers
Ewald Markl, Pål Christian Moe

Tonmeister (Balance Engineer)

Ulrich Vette

Recording Engineers
Wolf-Dieter Karwatky, Stephan Flock

Editing
Ludger Böckenhoff

Prima Edizione LP
nessuna

Prima Edizione CD
Deutsche Grammophon - 439 953-2 - (2 CD's) - durata 33' 00" & 54' 12" - (p) 1994 - 4D DDD

Note
Cover Photo: © Marco Caselli, FerraraMusica











Non si sfugge alla tentazione di pensare ciascuna delle nove Sinfonie di Mahler come espressione di una visione del mondo, di un personale atteggiamento sull`esistenza e sui destini dell’uomo. Anche se sarebbe vano, oltre a rischiare inevitabili fraintendimenti, tentarne poi descrizioni univoche e coerenti. Culmina nelle sue opere una corrente di pensiero che, almeno a partirw da Schumann, attraversa come un solco profondo il Romanticismo: il desiderio di porre in relazione la musica con la letteratura e la filosofia, gli elementi linguistici e formali del discorso sinfonico con le espressioni d`idee e i moti dello spirito. E poiché al fondo della concezione mahleriana è un sentimento tragico del vivere, le sue Sinfonie mettono allo scoperto un clima acuto di conflitti e di crisi, pongono interrogativi inconciliabili e vivono di frantumazioni non meno che di slanci vitalistici e disperati.
Gli esiti più autentici, sul piano estetico oltre che su quello espressivo, sono là dove le tracce di questa crisi rimangono impresse scopertamente e senza soluzione nelle fibre stesse della musica, nei nessi che non ne articolano le strutture, nelle loro fratture ineluttabili. Oppure quando, nelle opere estreme, un senso di commiato dal mondo, lungi dallo sciogliere quei grumi o colmare quelle scissioni, li osserva ormai da lontano, con una dolorosa rassegnazione che volge le spalle sia alla speranza che allo sconforto.
Vi sono tuttavia due momenti in cui la tentazione di dare una risposta trascendente all’angoscia sulle sorli dell`uomo, sull’esistere e sul morire ha il sopravvento, e la musica si fa portatrice di un messaggio esplicito. È quanto avviene con la Seconda e con l'Ottava Sinfonia, assai lontane nel tempo, quasi due decenni, ma percorse da analoghe suggestioni mistiche e religiose.
Nel caso della Seconda, la sua destinazione come opera dettata da una precisa volontà di comunicare - qualcosa di più, dunque, di un semplice “programma” - si compie, al termine di un lunge intervallo compositivo, attraverso il finale. Il primo movimento, "Totenfeier" (“Cerimonia funebre”), composto nel 1888, era rimasto infatti isolato e senza seguito. Solo cinque anni pin tardi Mahler ne aveva ripreso in mano il progetto, completando in poche settimane la stesura dell'
Andanle” e dello scherzo, e strumentando il quarto movimenlo, “Urlicht”, un lied già steso in versione pianistica probabilmente l’anno precedente.
Per il finale l'incertezza doveva protrarsi ancora un anno, anche se al fine di equilibrare un primo movimento così esteso e così denso di emozioni Mahler aveva già da molto maturato l`idea di un tempo sinfonico con l'intervento del coro, sul modello, naturalmente assai temuto, della Nona di Beethoven. L'ispirazione, il lampo che doveva sciogliere ogni dubbio venne in occasione della cerimonia funebre in onore di Hans von Bülow nella Michaeliskirche di Amburgo il 29 marzo 1894: sopra una musica rimasta sconosciuta, un coro di donne e di fanciulli intonò l'ode di Klopstock Auferstehn.
Quale sia il messaggio trasmesso dal finale non si desume soltanto dai versi di Klopstock, sui quali peraltro, com’era solito fare, Mahler intervenne ampiamente. La fede cristiana nella resurrezione dei corpi, già problematica per il musicista di nascita ebraica (la conversionc al cattolicesimo avverrà nel 1897), si innesta in una singolare visione apocalittica che non contempla, nel momento in cui risuonano le trombe celesti, nessuna elezione dei giusti “...nessun giudizio divino, nessuna salvezza né dannazione eterna, né separazione dei buoni dai malvagi” (come riferisce nei suoi ricordi l’amica Natalie Bauer-Lechner). Il nodo dei siguificati si aggroviglia ulteriormente al sospetto che questo sogno di una Resurrezione senza giudizio, già così eterodosso, sia frutto della suggestione esercitata in quegli anni dal pensiero di Nietzsche, e che il concetto di una redenzione universale finalizzata a eternare l’uomo e sconfiggere la morte riprenda il tema di una cosmica volontà di riaffermazione contenuto nell’idea dell’eterno ritorno.
Dal punto di vista formale queste allusioni a elementi rappresentativi, quasi una sorta di teatralizzazione del linguaggio sinfonico, allentano i vincoli della forma-sonata e assecondano un andamento più libero e più flessibile. Lo schema del primo movimento viene così immerso in un flusso narrativo continuo, il cui corso può apparire talvolta deviato da tragici colpi di scena, oppure ossessivamente disciplinato dall’incedere della marcia funebre, o rallentato da divaganti episodi di transizionc e di collegamento fra le parti.
L’intero “Allegro maestoso” iniziale appare dominato da una tendenza ad affondare nel grave, da una voluttà ad immergersi nel profondo che attenderà per riscattarsi le esaltate elevazioni del finale. Tutto un primo gruppo di temi, carichi di drammaticità e di pathos, si genera per derivazione dalla lunga frase dei bassi che funge da esordio. Il piano formale segue il suo corso attraverso uno sviluppo sul motivo di marcia e una melopea affidata inizialmente al corno inglese, s’interrompe per una brusca falsa ripresa, e riprende fiato affidandosi, sempre più imperiosamente, all’ostinato dei bassi. Qui fa la sua apparizione (anticipando il finale) un corale a sei corni che cita deformandolo l’incipit del Dies irae. Una terrificante sequenza di accordi in piena orchestra prepara, cadenzando a do minore, la ripresa, mentre la coda costituisce l’esodo lugubre e fantomatico della marcia funebre.
I tre movimenti che seguono sono pensati come intermezzi, volti a raccontare, nell’ordine, un momento di felicità durante la giovinezza dell’eroe (che prima è stato condotto alla tomba), l’insinuarsi nel suo animo dell'incredulità e del dubhio, e, infine, il risuonare della fede più ingenua nel suo cuore. Non sarà il caso di prendere troppo alla lettera queste parole, anche perché i tre brani risultano perfettamente consistenti nella loro integrità musicale: con lo scherzo, ci consegnano una delle pagine più memorabili di Mahler.
L'
Andante moderato” ha quasi il ruolo di un minuetto, condotto in un ritmo rilassato di Ländler e secondo un’elementare struttura di rondò con riprese variate (l’ultima, concedendosi a un gesto di pura seduzione strumentale, vede all’inizio tutti gli archi disposti a canone suonare pizzicato). La sua melodia carezzevole e di una tenerezza tutta viennese ne fa uno degli omaggi più affettuosi resi da Mahler all’idioma familiare austriaco. Anche se non mi sentirei di escludere da questa tenerezza, che si veste di antico e arieggia i modi dello stile galante, un'ombra di parodia.
Versione strumentale di uno dei Wunderhorn-Lieder, quella “Predica di Sant’Antonio da Padova ai pesci” che è una parabola ironica sulla inanità delle buone intenzioni, il terzo movimento riprende la forma classica dello scherzo con trio, in un andamento maniacale da perpetuum mobile. Vi gira attorno una beffarda cantilena sull’insensatezza del vivere, un lungo disegno in semicrome, dove pare sempre che principio e fine vogliano congiungersi, mai stanco di affondare e riaffiorare attraverso timbri di sinistra chiarezza. Quando ritorna, una volta sfumata alle trombe la melodia nostalgica del trio, è un autentico crollo orchestrale a interrompere l’incubo del suo roteare, un fortissimo sopra un accordo dissonante che ferisce già come un urlo espressionista.
Una prima e innocente risposta a questo grido di disperazione è “Urlicht”. Un lied che Mahler vuole “molto solenne ma semplice”, un canto di raccolta bellezza, fedelmente modellato sulle parole del testo e dalla limpida struttura tripartita: sostenuto e immerso negli arcaismi di un corale agli estremi, più mosso al centro, in affettuosa simpatia con delicate voci strumentali.
Il problema del finale consiste nel coglierc quanto del programma, e soprattutto del messaggio che vi è proclamato, si sia assimilato nella sua gigantesca struttura formale, e se l’ansia con cui vi sono profusi significati spirituali e filosofici, in bilico fra l'ingenuità e l’elevatezza, si sia riscattata in un percorso coerente del pensiero musicale. Quanto mai singolare è leggere (sempre nel ricordato racconto alla Bauer-Lechner) come quest’ultimo rnovimento intendesse “descrivere un avvenimento interiore”. L’impressione è, al contrario, che proprio questa pagina sia il luogo in cui la musica arretra dietro lo schermo delle intenzioni, non per lasciare spazio a un linguaggio dell’anima, ma per investire di una valenza simbolica o descrittiva ogni passaggio, ogni avvenimento tematico, persino ogni scelta timbrica.
Basti l'esposizione, dove, dopo una prima versione del tema dell’Auferstehung, l’appello del corno, isolato come voce che chiama nel deserto, si dissolve nelle terzine dei legni e conduce poi al corale, pianissimo, sul Dies irae. Di qui si apre, prima che torni il motivo della Resurrezione, la lacerazione inferta dall’angoscioso lamento di una seconda minore discendente. Ciascuno di questi episodi tematici fa il suo ingresso come guidato da un’attenta regia, e tutti trovano posto in uno scenario immaginario quali elementi di una coreografia rituale e celebrativa. La dinamica temporale della musica appare così trasformata in una staticità di natura spaziale.
Per lungo tratto lo sviluppo sembra esporsi ad ambiti più terreni, con la più proterva fra le marce di Mahler c con quella anticipazione espressionista di una fanfara affidata ad un’orchestrina fuori campo. Ma a ricondurci all’ultraterreno risuona solenne l'appello dell’apocalisse, mentre gli ultimi residui di vita naturale scivolano negli aerei arabeschi del flauto e dell’ottavino, quasi a rassicurare con la loro leggerezza che il giudizio sarà senza pena. Lo stupore con cui fa il suo ingresso il coro a cappella è la vera, straordinaria riuscita dell’intero finale.
L’amalgama panteistico fra Klopstock e Mahler (il cui contributo al testo, dopo i primi otto versi dell’ode, è assai rilevante) conduce finalmente il tema dell’Auferstehung nella sua versione definitiva, svelando una significativa e quasi certamente involontaria affinità con il motivo principale dell’Idillio di Sigfrido. La visione di una umanità che ha vinto la morte, sollevata “in un fervente anelito d’amore”, trasfigura ormai le voci e l'orchestra in un tripudio di suoni. Ma sappiamo che a questa fantasmagoria di una rigenerazione uuiversale tanta parte della sua musica a venire si porrà il compito di dare una più consapevole, più amara, ma non meno generosa, smentita
.
Ernesto Napolitano