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2 CD's
- 445 843-2 - (p) 1995
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GUSTAV MAHLER
(1860-1911) |
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Compact Disc 1 |
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23' 25" |
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Symphony
No. 8 in zwei Teilen für großes
Orchester, acht Solisten, zwei
gemischte Chöre und Knabenchor |
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81' 20" |
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Parte I -
Hymnus: "Veni creator spiritus" |
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"Veni, creator spiritus" |
1' 34" |
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"Imple superna gratia" |
3' 34" |
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"Infirma nostri corporis" |
2' 10" |
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Tempo I. (Allegro, etwas hastig) |
1' 18" |
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"Infirma nostri corporis" |
2' 44" |
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"Accende lumen sensibus" |
4' 54" |
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"Veni, creator spieitus" |
5' 13" |
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"Gloria sit Patri Domino" |
2' 58" |
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Compact Disc 2 |
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57' 55" |
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Parte II - Final
Schene from Goethe's "Faust" |
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Poco adagio |
6' 50" |
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Più mosso. (Allegro moderato) |
3' 15" |
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"Waldung, sue schwankt heran" Heilige
Anachoreten |
4' 47" |
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"Ewiger Wonnebrand" Pater
ecstaticus |
1' 53" |
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"Wie Felsenabgrund mir zu Füßen" Pater
profundus |
4' 42" |
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"Gerettet ist das edle Glied der
Geisterwelt vom Bösen" Chor der
Engel und Chor seliger Knaben |
1' 03" |
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"Jene Rosen, aus den Haäden" Chor
der jüngeren Engel
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1' 53" |
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"Uns bleibt ein Edenrest" Die
vollendeteren Engel |
2' 04" |
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"Ich spür soeben" Die jüngeren
Engel - "Hier ist
die Aussicht frei" Doctor
Marianus - "Freudig
empfangen wir" Chor
seliger Knaben |
1' 19" |
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"Höchste Herrscherin der Welt!" Doctor
Marianus |
4' 03" |
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"Dir, der Unberührbaren" Chor
- "Du Schwebst zu Höhen" Una
poenitentium und Chor der Büßerinnen |
3' 52" |
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"Bei der Liebe, die den Füßen" Magna
Peccatrix - "Bei dem
Bronn, zu dem schon weiland"
Mulier Samaritana - "Bei
dem hochgeweihten
Orte" Maria
Aegyptiaca |
4' 58" |
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"Neige, neige, du Ohnegleiche" Una
poenitentium |
0' 53" |
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"Er überwächst uns schon" Selige
Knaben - "Vom edlen
Geisterchor umgeben" Una
poenitentium (Gretchen) |
3' 24" |
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"Komm! Hebe dich zu höhern Sphären!"
Mater gloriosa - "Blicket auf
zum Retterblick, alle reuig
Zarten" Doctor Marianus |
7' 16" |
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"Alles Vergänglische ist nur ein
Gleichnis" Chorus Mysticus |
5' 43" |
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Cheryl Studer,
Sopran I (Una poenitentium) |
Rundfunkchor
Berlin / Dietrich Knothe,
Chorus Master |
Sylvia McNair,
Sopran II (Magna Peccatrix) |
Prager
Philharmonischer Chor / Pavel
Kühn, Chorus Master |
Andrea Rost,
Sopran (Mater gloriosa) |
Tölzer Knabenchor
/ Gerhard Schmidt-Gaden, Chorus
Master |
Anne Sofie von
Otter, Alt/contralto I (Mulier
Samaritana) |
Berliner
Philharmoniker |
Rosemarie Lang,
Alt II (Maria Aegyptiaca)
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Claudio ABBADO |
Peter Seiffert,
Tenor (Doctor Marianus)
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Bryn Terfel,
Bariton (Pater ecstaticus)
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Jan-Hendrik
Rootering, Bass (Pater
profundus)
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Luogo e data di
registrazione |
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Großer
Saal, Philharmonie, Berlin
(Germania) - febbraio 1994 |
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Registrazione:
live / studio |
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live |
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Executive
Producers |
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Christopher
Alder, Pål Christian Moe |
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Recording Producer |
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Christopher
Alder |
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Tonmeister
(Balance Engineers)
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Rainer
Maillard, Klaus Hiemann
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Recording
Engineers |
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Jobst
Eberhardt, Stephan Flock
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Editing |
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Stephan
Flock |
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Edizione LP |
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nessuna
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Prima Ediyione CD |
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Deutsche Grammophon
- 445 843-2 - (2 CD's) - durata
23' 25" & 57' 55" - (p) 1995
- 4D DDD |
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Note |
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Box
Cover Photo by Reinhard Friedrich
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Siamo nel
giugno 1906, Mahler è nella
sua residenza estiva di
Maiernigg per perfezionare
la strumentazione della Settima.
È invece investito, stando
alle sue parole, dallo
Spirito Creatore ed inizia a
lavorare all'Ottava
in uno stato di esaltazione
tale da dargli l'impressione
che la nuova opera non nasca
da lui ma che gli "venga
dettata" dall'alto. Nascono
due diversi schemi
preparatorii, ambedue aperti
dall'inno medievale Veni,
creator spiritus. Ben
presto l'idea si completa
con l'intenzione di musicare
quale seconda parte della
Sinfonia l'ultima scena del
Faust II di Goethe.
Due testi, dunque, lontani
quasi un millennio nel
tempo, apparentemente
incompatibili, ma in realtà
legati, come Mahler
intuisce, da precisi luoghi
teologici. Il concetto di
grazia ("Imple superna
gratia"), l'aspirazione
all'amore ("Infunde amorem
cordibus"), l'idea d'una
illuminazione divina
("Accende lumen sensibus"),
esaltati nell'inno
pentecostale attribuito a
Rabano Mauro, tornano in
altra veste nella lettura
che Mahler dà della scena
conclusiva del Faust.
E d'altra parte una profonda
unità spirituale si
costruisce fra le due parti
attraverso mezzi puramente
musicali: sorta di Leitmotive
e di significative
formulazioni tematiche
s'intrecciano attraversando
tutta la composizione, e
costituendo anzi
un'impressionante esegesi
dei due testi.
Il dato fondamentale del Veni,
creator risiede
nell'integrazione della
polifonia a carattere
religioso, di ascendenza qui
barocca, con la
forma-sonata. Ove
l'esposizione terminerebbe,
dopo l'interludio
orchestrale di disperata
gaiezza, successivamente
all'intonazione, di
carattere
straordinarianiente
"malato", dell'"Infirma
nostri corporis", e lo
sviluppo si concluderebbe
con la bellicosa parte in
contrappunto avviata dalla
doppia fuga del "Ductore
praevio te". L'intero
movimento è consegnato ad un
ritmo di marcia che
contrasta con l'effetto
statico dovuto al permanere
dell'armonia sempre
nell'area di mi bemolle
maggiore, infranta però già
nel preludio orchestrale che
avvia lo sviluppo, uno
straordinario passaggio in
cui il materiale motivico
viene letteralmente
disgregato, tanto da far
pensare più ad un processo
di distruzione che di
creazione: e una seconda
volta poi, clamorosamente,
nell'autentico colpo di
scena che accoglie
l'"Accende lumen sensibus",
con un andamento che diverrà
sempre più determinato,
quasi minaccioso. È il tema
che più frequentemente
tornerà nella seconda parte,
con l'idea che maggiormente
sta a cuore a Mahler, quella
dell'illuminazione divina e
quindi dell'amore.
Tanto il primo movimento
appare serrato e può far
pensare ad una sinfonia con
voci e coro, quanto la
seconda parte rinvia ad una
serrata forma teatrale,
scenico-drammatica. Dove la
molteplicità delle soluzioni
stilistiche mette assieme il
brano strumentale, il
corale, l'opera romantica,
la cantata, l'oratorio ed il
lied sinfonico. Dopo
l'estesa introduzione
strumentale (fra i momenti
più affascinanti dell'intero
lavoro) che disegna il
silenzioso scenario di rupi
e di santi anacoreti
distribuiti su per il monte
immaginato da Goethe, il
coro apre l'immensa pagina
con indicibile senso di
mistero e con il fervore di
semplici incastri delle
voci. Prendono la parola il
Pater ecstaticus,
con appassionata sofferenza,
ed il Pater profundus,
secondo un canto irto di
salti ascendenti, segnato da
un cromatismo singolare in
quest'opera sostanzialmente
diatonica, ed assai vicino
ad una temperie
espressionista.
Nel primo coro degli Angeli,
su cui si aprirebbe una
ideale seconda parte di
questo movimento, è indicata
la chiave della salvezza:
"Colui che insonne lotta per
ascendere, / noi lo possiamo
redimere". La redenzione di
Faust è dunque nel suo Streben,
nell'irrefrenabile tensione
vitale. Mahler tuttavia non
dà alcun risalto musicale a
queste parole, ignorando
così quello che per Goethe è
il coronamento della vicenda
di Faust. Il coro degli Angeli
novizii che si apre
con "Jene Rosen aus den
Händen" contiene
probabilmente il tema più
infantile che Mahler abbia
mai concepito, quasi una
regressione ad una
semplicità narcisistica.
Mentre il coro degli Angeli
compiuti, che parlano
di un residuo terreno,
riprende il tema
dell'"Infirma nostri
corporis", accomunando i due
passi sul motivo della
materialità che impedisce
una piena disponibilità alla
grazia.
L'ingresso del personaggio
centrale del Doctor
Marianus, a chiusura
d'una possibile seconda
parte, è preceduto dal coro
dei Fanciulli beati
che possiede accenti non
lontani dal clima del Wunderhorn,
con il suo sapore di
allegrezza ingenua e
visionaria. Ma la loro
innocenza è troppo
inconsapevole per valere
quale via all'amore supremo,
ed essi mostrano sul volto
della beatitudine una sorta
di enigmatico sorriso. Nel Doctor
Marianus si
personifica il 'soggetto
etico' del pensiero di
Goethe, il quale ne fa il
personaggio più vicino,
nella sua visione estatica,
alla contemplazione della
felicità celeste. Mahler
tuttavia lo tratta come una
sorta di esaltato tenore
amoroso, di provenienza
dichiaratamente operistica e
primo-wagneriana.
Il suo tema d'amore, che
svolge un ruolo fondamentale
nel finale, è interamente
ripreso ai violini nel
momento in cui si avvicina
la Mater gloriosa,
in una tenue atmosfera
disegnata dagli arpeggi
delle arpe e dagli accordi
tenuti dell'harmonium. A
lei, "intatta e
intangibile", si rivolge con
candido fervore un coro
maschile, nella tonalità
celestiale di mi maggiore.
In questa si nasconderebbe
il simbolismo di ciò che è
inattingibile, mentre il mi
bemolle maggiore
rappresenterebbe quanto può
essere raggiunto. A lei
rendono omaggio le tre Penitenti,
che dopo aver cantato da
sole in una soave leggerezza
di accenti, si uniscono in
una mozartiana innocenza
seguendo un itinerario
d'imitazioni in canone da
cantare "come un bisbiglio".
Un'altra Penitente,
"chiamata un tempo
Gretchen", canta con
disarmante pudore sul tema
della Mater gloriosa
il suo dolcissimo "Neige,
neige ("Deh, posa"). Si
completa così un'altra delle
idee fondamentali del finale
goethiano: il crescere ed il
divenire, attraverso gesti
di mutuo soccorso, in una
sorta di moto a spirale. Ma
anche a questa concezione
Mahler sembra rimanere
estraneo.
La Mater gloriosa
si rivolge all'ultima Penitente
sul proprio tema all'arpa e
ai flauti, ma sulla tonalità
di Gretchen, mi bemolle
maggiore: il tutto in un
brillio ammantato di
lustrini. Siamo, dopo
l'ultimo intervento del Doctor
Marianus, alle soglie
del conclusivo coro mistico.
E qui l'orchestra fa
ascoltare la pagina forse
più stupefacente dell'opera:
una singolarissima musica
delle sfere, in cui
harmonium, arpe, celesta,
pianoforte, ottavino
generano un timbro che suona
come un'eco vitrosa di
glassharmonica. Una pagina
immobile. Mahler pensava ad
un "risuonare e vibrare
dell'universo", ma qui non
vi sono né pianeti né soli
che ruotano: tutto prelude
invece, con grande senso di
teatralità, alla rivelazione
carica di mistero, solenne
ed intraducibile, del Chorus
mysticus, che fa il
suo ingresso in pianissimo.
Questo interludio ce ne dà
il senso assai più
dell'immensa apoteosi che
segue, dove autentiche
ondate di sonorità
sembrerebbero sommergere
tutto. Ma è un brano di
musica composta con precisi
intenti simbolici. È ciò che
resta, fra altri temi
ignorati, del Paradiso
immaginato in modi
estetico-formali da Goethe.
Vi si agita ancora, per
l'ultima volta, il tentativo
di ribadire all'estremo il
desiderio di totalità,
l'idea dell'amore come
spirito generatore che
pervade tutta l'opera. Il
tema dell'"Accende lumen
sensibus" ricompare, mentre
trombe e tromboni fuori
scena ripropongono, secondo
un titanico intento di
ciclicità, la trionfale
esaltazione del Veni,
creator.
Ernesto
Napolitano
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