ISTITUTO GEOGRAFICO DE AGOSTINI


1 CD - GMD 1/7 - (c) 1989

I MAESTRI DELLA MUSICA








Domenico SCARLATTI (1685-1757)
Sonate per Clavicembalo




- in Do maggiore, K. 49

6' 00"
1

- in Mi bemolle maggiore, K. 123

5' 10"
2

- in Sol minore, K. 426

6' 45"
3

- in Si bemolle maggiore, K. 70

2' 25"
4

- in Re minore, K. 9

4' 10"
5

- in Fa minore, K. 519

3' 32"
6

- in Si minore, K. 87

6' 30"
7

- in Sol maggiore, K. 375

2' 30"
8

- in Si maggiore, K. 244

4' 45"
9

- in Re minore, K. 1

2' 40"
10

- in Fa maggiore "Pastorale", K. 446

5' 40"
11

- in La maggiore, K. 113

4' 25"
12





 
Zuzana RUZICKOVA, Clavicembalo Supraphon Studios at the House of Artists, Prague - 10-17 September 1976
 






Manufactured
Tecval Memories SA (Switzerland)

Prima Edizione LP
Supraphon | 1 11 2241/2 | (p) 1977


Edizione CD
De Agostini | GMD 1/7 | 1 CD - durata 55' 06" | (c) 1989 | ADD

Note
-












Domenico Scarlatti
 
12 SONATE PER CLAVICEMBALO
Basta un gesto semplice come inserire un compact nel lettore per trovarsi immersi in un mondo di corte, lontano dai fasti e dai deliri dell'opera, in camere da musica di blasonati e ricchi signori assorti nell'ascolto del suono esile, eppure espressivo, di un clavicembalo. È quello che si prova ascoltando queste dodici sonate di Domenico Scarlatti, sesto figlio del musicista e operista Alessandro; un padre e un figlio ugualmente grandi, ma lontanissimi nel modo di concepire la musica, la sua destinazione, il suo uso e, naturalmente, lontani nello scegliere i luoghi dove praticarla.
Tanto Alessandro era attratto dai teatri, tanto ne era distante Domenico. Pur avendo praticato con successo la strada dell'operismo, componendo quattordici 'drammi per musica', Domenico aveva presto capito che non era quella la sua destinazione musicale, consapevole di non aver la stoffa per affrontare le liti, le gelosie, la gloria, i pettegolezzi, il fasto e la confusione dell'opera. E allora, che fare? Rinunciare alla musica, defilarsi dalla composizione, tirarsi da parte? Sì, ma non del tutto. Fu così che Domenico Scarlatti scelse la strada meno alla moda, meno redditizia, più “vecchia” per il suo tempo, delle lezioni, in qualità di maestro privato del fratello minore e della figlia di Giovanni, re del Portogallo. Figlio di un grande operista, Domenico tornava quindi deliberatamente a fare il musicista di corte, un mestiere oscuro, in ombra, lontano dalla fama e, inoltre, strettamente legato ai desideri, agli umori e agli spostamenti del suo signore.
In quel ritiro dorato Domenico Scarlatti non visse tuttavia di gloria riflessa, ma diede vita a una delle opere più grandiose della storia della musica, quelle cinquecentocinquantacinque Sonate per clavicembalo che i suoi contemporanei ignorarono (ne furono infatti pubblicate solamente una trentina) ma che i posteri impararono ad apprezzare in tutta la loro perfetta bellezza. Di questa mastodontica produzione non si è mai riusciti a stabilire con esattezza i contorni cronologici, poiché l'autore ne omise volutamente le date di composizione. Molto probabilmente le Sonate furono comunque tutte composte in Portogallo e in Spagna. Alla morte del musicista, avvenuta nel 1757, la raccolta dei manoscritti (quindici volumi) era infatti conservata nella biblioteca della regina di Spagna e venne portata in Italia solo due anni dopo dal celebre cantante Farinelli.
Gran parte delle sonate, che Scarlatti chiamava “Essercizi”, venne certamente composta per Maria Barbara di Braganza, la dotata allieva assurta nel 1746 al trono di Spagna. Tuttavia, che Scarlatti non si fosse limitato a scrivere dei semplici esercizi ma avesse concentrato in quelle sonate tutto il suo estro di geniale musicista divenne, con il trascorrere del tempo, ben chiaro a tutti. L'incantevole atmosfera creata dalla musica di Domenico non sfuggì a Gabriele D'Annunzio che la descrisse, in modo poetico, quale scenario magnifico davanti al quale «dame e galanti strillano ridono corrono si schivano si salvano; in questo gioco di figurine settecentesche, ecco che «la prima collana di perle si rompe sgranellandosi: acini ruzzolano giù per i gradini lisci e rosei che l'acqua discende in minuscole cascate. Le perle si moltiplicano, simulano una grandine mite, scorrono per ogni verso, rilucono, risonano, rimbalzano, si mescolano ai rivoli, ora sembrano le bolle preziose dellèacqua, ora le gocciole della bellezza grondante. Erano le Sonate di Domenico Scarlatti». Quelle perle, il loro gioco, i rivoli d'acqua altro non sono se non i suoni meravigliosi che il compositore sapeva far scaturire dal clavicembalo. Il merito di D'Annunzio è stato quello di aver capito la solarità, la gioia, l'espressività, il calore tutto mediterraneo che brilla nella musica scarlattiana.
Al di là di questo giudizio tutto poetico, è ben solida la consapevolezza che Domenico Scarlatti fu il più grande clavicembalista del suo tempo. Dallo strumento riuscì infatti a trarre suoni inediti, timbri magici, effetti sconosciuti persino al grande Bach, e un virtuosismo talmente trasparente, fluido e naturale da non intaccare o sopraffare mai il discorso musicale.
Della sua abilità come clavicembalista ci è rimasta la testimonianza del musicista inglese Thomas Roseingrave, che conobbe Domenico Scarlatti a Venezia, nel 1708, in occasione di un invito in casa di alcuni nobili. Il Roseingrave si era esibito in un'esecuzione e, subito dopo di lui, suono Scarlatti.
«Un dignitoso, giovane uomo in parrucca, che era stato in piedi in un angolo della stanza, molto tranquillo e attento nel mentre io suonavo, chiedeva di sedersi al clavicembalo. Quando ebbe iniziato a suonare, io pensai subito che mille diavoli fossero entrati nello strumento. Mai prima di allora avevo sentito, in un'esecuzione, certi passaggi e certi effetti. L'esecuzione fu di gran lunga superiore alla mia e raggiunse quel grado di perfezione al quale io stesso avrei voluto arrivare». Esecuzione, passaggi, effetti: molto probabilmente, oltre a suonare e a comporre assai bene per il clavicembalo, Scarlatti sapeva anche improvvisare mirabilmente, inventando al momento stupefacenti giochi sonori. Può essere opportuno accennare brevemente allo stile esecutivo del tempo confrontandolo con quello in uso ai giorni nostri. L'esecuzione tradizionale, nel periodo barocco, era quella a tre dita, che utilizzava cioè solo l'indice, il medio e l'anulare. L'effetto che si produceva consisteva in uno spezzettamento continuo della frase musicale, che probabilmente era ciò che si voleva ottenere. Fu Couperin a proporre una riforma della diteggiatura, introducendo l'uso del pollice e del mignolo, che Bach (il quale conosceva e apprezzava la musica del compositore francese) accolse totalmente e ampliò ulteriormente, creando diteggiature assai avanzate che consentivano di eseguire più facilmente passaggi molto complessi. L'esecuzione moderna di pezzi di musica barocca, realizzata legando tutti i suoni, è una “deformazione” dell”effetto che si voleva ottenere con l'antica diteggiatura: sarebbe quindi auspicabile che uno studio accurato delle antiche partiture conducesse a un”esecuzione il piùpossibile vicina allo stile del tempo.
Un piccolo assaggio della poliedrica arte scarlattiana lo si ha nelle dodici sonate qui presentate. Come la maggior parte della sua produzione, queste dodici sonate hanno un solo tempo a struttura monotematica (cioè, a un tema) e bipartita (ossia, in due parti). Se la sonata è in modo maggiore, la prima parte si conclude con una modulazione (cambiamento di tonalità) alla tonalità della dominante (il quinto suono della scala); la seconda parte si apre da quest'ultima tonalità per poi modulare nuovamente e ritornare alla tonica originaria. Questa polarità tonica-dominante è di fondamentale importanza, perché su di essa si costruisce tutto l'impianto formale del classicismo. Quando invece la sonata si apre in modo minore, la modulazione al termine della prima parte non è più verso la dominante bensì verso la tonalità relativa nel modo maggiore. Esistono infatti corrispondenze tra modo maggiore e modo minore per cui, scegliendo un medesimo ambito di suoni, una stessa scala, è possibile costruire una sequenza in modo maggiore o in modo minore senza mutare i suoni ma cambiando il punto di partenza. Considerando ad esempio la situazione più semplice, ossia la scala naturale (i tasti bianchi del pianoforte), se partiamo dal do ed eseguiamo tutti i suoni uno dopo l'altro, otteniamo la scala di do maggiore; se invece cominciamo a suonare dal la, otteniamo la scala di la minore naturale, che è appunto la relativa minore di do maggiore (ovviamente ciò vale per qualsiasi scala). Quindi, le sonate di Scarlatti in tonalità minore si chiudono, al termine della prima parte, al relativo maggiore e iniziano, nella seconda parte, in questo nuovo ambito tonale, per poi ritornare alla tonalità originaria. Occorre comunque aggiungere che questa regola non è rigida e che in diverse occasioni la modulazione centrale non viene fatta in direzione del relativo maggiore bensi della tonalità della dominante in modo maggiore. La struttura formale è dunque sempre assai semplice, ma, ciò nonostante, Scarlatti riesce a non essere mai prevedibile, mai monotono, grazie soprattutto alla grande inventiva melodica, ritmica e armonica; senza considerare la voglia di bizzarria, di stranezza che di tanto in tanto fa capolino attraverso abbellimenti e ricche fioriture, riprese impreviste di temi, un uso sempre vivace e inconsueto delle sonorità.
Da tutto ciò si deduce che Domenico Scarlatti, insegnando, componendo esuonando il clavicembalo, si divertiva; ma era un divertimento che nasceva dal desiderio dell'invenzione, dalla voglia di scoperta, dall'ansia di crescere e di sperimentare tutto ciò che era possibile trarre da quella tastiera, da quelle corde pizzicate che nessuno, prima di lui, aveva saputo far 'cantare' con la stessa abilità e poesia.
Mariangela Mianiti