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1 CD -
GMD 2/2 - (c) 1988
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I MAESTRI DELLA
MUSICA
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Ludwig van
BEETHOVEN (1770-1827)
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Concerto
per Pianofortre e Orchestra N. 5
in Mi bemolle maggiore, Op. 73
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38' 03" |
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-
Allegro
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20' 39" |
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1 |
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-
Adagio un poco mosso
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6' 44" |
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2
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- Rondò. Allegro
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10' 40" |
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3
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Sonata
per Pianoforte N. 27 in Mi minore,
Op. 90
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12' 38" |
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- Con
vivacità, ma sempre con
sentimento ed espressione
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5' 43" |
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4 |
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- Non tanto mosso
e molto cantabile
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6' 55" |
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5 |
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Wiener Staatsoper
Orchestra / Friedrich Gulda, Pianoforte
/ Hans Swarowsky, Direttore |
Vienna - 1963
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Manufactured |
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Tecval
Memories SA (Switzerland) |
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Prima Edizione LP |
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Concert
Hall | SMS 2307 | (p) 1963
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Edizione CD |
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De
Agostini | GMD 2/2 | 1 CD - durata
50' 40" | (c) 1988 | ADD |
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Note |
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Beethoven
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CONCERTO
PER PIANOFORTE E
ORCHESTRA N. 5
"IMPERATORE"
L'ultimo dei
cinque concerti
beethoveniani per pianoforte
e orchestra rappresenta
l'apice delle tendenze
contenute nelle
analogheprecedenti opere del
compositore. Il pubblico
ottocentesco lo avrebbe poi
intitolato Imperatore,
denominazione evocata
probabilmente dall'enfasi
virile che lo caratterizza
o, più semplicemente,
dalfatto che fu dedicato
all'arciduca Rodolfo
d'Austria, ultimo figlio
dell'imperatore Leopoldo II.
Destinato alla carriera
ecclesiastica, Rodolfo aveva
cominciato a studiar musica
da ragazzo e aveva
conosciuto Beethoven
neicircoli musicali
aristocratici di Vienna.
Divenuto suo allievo per il
pianoforte e la
composizione, fu a lui
legato da amicizia e devota
ammirazione;contribuì tra
l'altro, con un assegno
annuo, a garantire una
congrua rendita al
compositore. L'opera è
datata 1809.
Nel primo movimento,
Allegro, il pianoforte
attacca repentinamente,
senza preamboli,
sull'accordo orchestrale
muovendo dalle note gravi
della tastiera per
conquistare in pochi attimi
la regione più acuta. Il
gioco si ripete altre due
volte, sempre più lungo e
sempre più accompagnato da
esuberanti guízzi
virtuosistici. Solo a questo
punto i violini espongono il
tema a: energico in
quel suo scatto a partire
dalla lunga nota base,
intorno allaquale ruota
insistentemente in
un'affermazione di
baldanzosa sicurezza.
Beethoven affida poi alla
sonorità più esitante dei
clarinetti la ripetizione
del tema, ma sarà solo per
prepararne una conclusione
tanto più veemente, a
orchestra piena. È ancora
dei violini la transizione
al tema b, che si
contrappone ad a con
quelle sue note staccate e
il ritmo esitante. La
differenza fra i temi a
e b è la molla che
alimenta il grande dinamismo
di questo movimento. Ne
abbiamo un sentore subito,
quando i violoncelli
riprendono a, dopo
l'accenno in eco fra questi
e i violini. Bisognerà
aspettare lo sviluppo per
assistere alla liberazione
delle energie latenti
nell'opposizione tra a
e b.Per ora
Beethoven rinforza il clima
gagliardo aggiungendo un
nuovo tema, sempre affidato
ai violini, che un sussulto
orchestrale interrompe per
consentire l'apparizione del
solista. Un solista che,
come d`uso in Beethoven, non
si accontenta più di stare
alla vecchia regola di
ripetere fedelmente i temi
sentiti dall'orchestra. Cori
tutta la foga
dell'interlocutore
'selvaggio' il pianoforte
ridíce infatti le cose a
modo suo, attraverso effetti
arabescanti che fanno della
sua parte una vera e propria
variazione ai temi, tanto
che l'orchestra stessa è
costretta, quando riprende b,
a farne una sua propria
variazione: è un passo di
marcia quello con cui
l'orchestra conduce avanti
l'esposizione. Ma la chiusa
si fa attendere poiché
l'esuberanza del pianoforte
obbliga ad un continuo
rinvio.
Il secondo movimento, Adagio
un poco mosso, si
contrappone all'Al1egro
iniziale, grazie a un
radicale mutamento di clima.
Se l'Allegro era
irruente,l'Adagio è invece
estaticamente raccolto in
una dolce contemplazione,
che lascia appena vibrare la
corda di un intenso pathos.
Iniziano con lo stesso
quieto passo, punteggiato
dal pizzicato dei
violoncelli, i violini e le
viole, con sordina, che
rende ovattata la sonorità.
Il canto si prolunga in una
melodia indimenticabile. Ci
aspetteremmo a questo punto
che un tema così pregnante
fosse ripetuto dal
pianoforte con qualche
abbellimento. Invece la
genialità creativa di
Beethoven inventa anche qui
un ruolo completamente
inedito per il solista,
affidandogli un secondo
tema, basato
sull'iterazione, in
progressione, di un breve,
patetico disegno discendente
quanto basta per sciogliere
la trepida effusione di un
sognante arabeseo. È solo a
questo punto che il
pianoforte sembra “tornare
in sé” e riprendere il tema
a,con l'orchestra che
accompagna e conclude. La
pagina però non è ancora
finita. Un senso di sublime
conciliazione promana dalla
terza e ultima ripresa del
tema, eseguito questa volta
dai legni, con gli archi che
echeggiano in contrattempo.
È con il pianoforte che
intorno a ciascuna nota del
temafiorisce un carezzevole
disegno di semicrome: un
momento magico, di cui non
si vorrebbe mai sentire la
fine.
Il risveglio è anticipato,
sottovoce ma deciso, dal
pianoforte. Attacca
l'Allegro finale, un rondò.
Le brume del sogno sono
rapidamente fugate da un
tema a brillante come pochi,
tutto proiettato, per due
volte, verso l'acuto, quindi
ricadente, a brevi passi, al
punto di partenza. Segue una
breve eco dell'orchestra,
che rilancia il tema nella
smagliante pienezza di tutti
i suoi strumenti, compatti.
Ma è il pianoforte che fa la
parte del leone in questo
rondò. Ad esso è affidato
l'avvio di ciascuno degli
episodi successivi:
l'episodio b,
caratterizzato da un tema
giocosamente danzante,
protratto in un disegno
continuamente rinnovantesi
fino al riapparire di a;
l'episodio c, più
agitato, ritmato da un
disegno ostinato che
richiama il galoppo; e
infine la sezione
conclusiva, in cui Beethoven
ripresenta a e b,
secondo una logica che
appartiene alla tradizione
della forma-sonata, ove la
ripresa finale ha il
carattere di una
magnificazione sublimante.
María
Luisa Merlo
SONATA
PER PIANOFORTE OP. 90
La Sonata per
pianoforte op. 90 occupa il
ventisettesimo posto nel corpus
delle 32 sonate
beethoveniane per
pianoforte. Nel progetto di
classificazione dell'opera
del maestro nelle cosiddette
'tre maniere', secondo la
proposta di Wilhelm von
Lenz, la Sonata op. 90
costituisce la chiusura del
secodo periodo, che va dal
1800 al 1814.
Le sei sonate da cui essa è
immediatamente preceduta
erano state composte a
intervalli ben precisi
disponendosi in due gruppi
formati ciascuno da tre
lavori. Al 1803-1804
risalgono la Sonata op.
53 “Aurora”, l'Op.
54 e l'Op. 57
“Appassionata”
Dopo un intervallo di 5
anni, nel 1809-1810 è la
volta delle sonate Op.
78, Op. 79 e Op.
81 “Les
adieux”.
Seguono altri 5 anni
d'intervallo, quindi nel
1814 viene composta la Sonata
op. 90. Dopoquesta
sonata, nel 1816, si
spalancherà, con l'Op.
101, il mondo immenso,
non ancora del tutto
esplorato e forse, nel
profondo, inconoscibile,
delle cinque ultime
vertiginose Sonate.
L'Op. 90 è perciò
come uno spartiacque o,
meglio, come un ponte
gettato tra le composizoni
del secondo periodo e quelle
del terzo, poiché esibisce
apertamente elementi propri
e tipici dell'uno o
dell'altro stile, ma non
appartiene a nessuno dei
due.
Il primo tempo si svolge col
vivido impeto d'un'onda di
canto che si libera
nell'appassionata agitazione
di ferventi contrasti di
ritmi e di idee, in un'ansia
di effusione sentimentale
che ha gli accenti
dell'elegia e crea momenti
di puro lirismo. Il secondo
tempo è un Rondò (l'ultimo
rondò dellesonate
beethoveniane) che, nella
sua forma classica, alterna
un tema fisso nella tonalità
fondamentale con episodi di
tonalità diversa. Da parte
sua, Beethoven in questo
movimento evoca con tratti
delicati l'immagine
ammaliante di una vita
intima, semplice e serena,
celebrandola con una
deliziosa melodia dalla
linea limpida e fresca,
intessuta di toccanti
bellezze efinezze
espressive. Prima di calarsi
negli abissi roventi e nel
magma cosmico dei suoi
capolavori estremi, in
questa sonata Beethoven
suscita la visione di cieli
incontaminati e gli incanti
sognati di beatitudini
infinite. Il 1814 segna il
vertice del successo di
Beethoven, l'apogeo della
sua fortuna. È l'anno in cui
ritorna e trionfa sulla
scena viennese il suo primo
e unico melodramma, quel Fidelio
di cui il musicologo Jean
Chantavoine ha scritto: «Per
la forza dell'accento
drammatico, per l'esattezza
della declamazione, per la
libertà del dialogo
musicale, nelle sue scene
d'assieme Fidelio è,
come lo hanno proclamato
Liszt, Wagner, Rubinstein,
il padre del dramma lirico
moderno; la sua importanza
nella storia della musica
operistica non è inferiore a
quella dell'Eroica
nella storia della musica
sinfonica». Nella capitale
austriaca che festeggia
gaiamente il crollo di
Napoleone, Beethoven è
riverito e onorato come il
grande musicista che ha
osato stracciare la dedica
fatta al Primo Console -
quando questi è diventato
imperatore - della sua Sinfonia
n. 3 “Eroica” e che ha
composto La vittoria di
Wellington. Mentre
Metternich, col Congresso di
Vienna, “sistema” l'Europa,
il maestro è trattato dai
potenti come una gloria
europea. Riceve gli omaggi
rispettosi e ammirati dei
principi presenti a Vienna,
frequenta le più sontuose
feste e le principali
cerimonie, dove gli viene
riservato un posto di primo
piano. Il 29 novembre,
davanti a seimila persone,
una platea sfolgorante di
corone e di stemmi, dirige,
fra l'entusiasmo generale,
una cantata patriottica
intitolata Il momento
glorioso, da lui scritta su
parole di Alois Weissenbach.
Beethoven, dimenticando per
l'occasione le sue ben note
e accese simpatie per la
Repubblica francese del
1789, scrive di suo pugno
gli inviti concerto
indirizzati ai sovrani e in
seguito ricorderà con
fierezza l'accoglienza
calorosa riservatagli. È
questo il tempo in cui il
musicista vuol fornire anche
una testimonianza chiara e
ineccepibile del suo animodi
'buon tedesco', e nella Sonata
op. 90 sostituisce
alle correnti consuete
indicazioni espressive, da
sempre redatte in lingua
italiana, la terminologia
tedesca. Così il primo tempo
(Con vivacità, ma sempre con
sentimento ed espressione)
diventa Mit
Lebhaftigkeìt und durchaus
mit Empfindung und
Ausdruck, e il secondo
tempo (Non tanto mosso e
molto cantabile) a sua volta
è cambiato in Nicht zu
geschwind und sehr
singbarvorzufragen.
Questo risultato però poi
non gli sembrò facile
sicché, poco tempo dopo,
Beethoven abbandonò questo
curioso tentativo di dar
corso a un'affermazione
politica di pangermanismo
mediante la musica.
Silvestro
Severgnini
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