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1 CD -
GMD 2/8 - (c) 1988
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I MAESTRI DELLA
MUSICA
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Ludwig van
BEETHOVEN (1770-1827)
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Sinfonia
N. 9 in Re maggiore "Corale", Op.
125 |
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67' 33" |
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Allegro ma non troppo, un poco
maestoso
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16' 10" |
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1 |
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-
Molto vivace
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11' 35" |
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2
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- Adagio molto e
cantabile
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14' 46" |
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3
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- Presto. Allegro
assai
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25' 02" |
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4 |
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Czech
Philharmonic Orchestra & Chorus /
Paul Kletzki, Direttore |
House of
Artists, Prague - 23-28 Juni 1964
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Ingeborg Wenglor, Soprano
/ Annelies Burmeister, Contralto /
Martin Ritzmann, Tenore / Rolf Kühne,
Basso |
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Manufactured |
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Tecval
Memories SA (Switzerland) |
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Prima Edizione LP |
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Supraphon
| DV 6106-07 | (p) 1968
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Edizione CD |
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De
Agostini | GMD 2/8 | 1 CD - durata
67' 49" | (c) 1988 | ADD |
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Note |
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Beethoven
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SINFONIA
N. 9 "CORALE"
Lunga e
faticosa fu la genesi di
quest'opera che rappresenta
la summa del mondo interiore
di Beethoven e della sua
concezione filosofica del
mondo e della vita umana.
Dopo la composizione della Settima
e dell'Ottava (1812),
dobbiamo attendere alcuni
anni prima che nella mente
dell'autore si affaccino i
primi spunti di quello che
sarà considerato il suo
capolavoro. Accanto ai primi
abbozzi relativi al tema
dello Scherzo (1816) e
de1l'Adagio (1818) troviamo
annotate le seguenti parole:
«Sinfonia al principio
soltanto quattro voci; due
violini, viola, violoncello,
bassi in mezzo forte, con
altre voci e se possibile
lasciare entrare man mano
ogni altro strumento [...]
Adagio cantico. Canto
religioso per una sinfonia
negli antichi modi: Herr
Gott dich loben wir.
Alleluja in un modo
indipendente o come
introduzione ad una fuga.
Forse in questa seconda
maniera l'intera sinfonia
potrebbe essere
caratterizzata con l'entrata
delle voci nel Finale o già
nell'Adagio».
In questi anni Beethoven è
molto cambiato; la sordità
ormai totale lo isola dal
resto del mondo e la sua
unica possibilità di
comunicare sono carta e
matita, che lo accompagnano
ovunque egli vada. Anche il
suo carattere, ombroso e
diffidente, si è
ulteriormente inasprito e
molti degli amici di untempo
non fanno più parte della
sua esistenza. Accanto a lui
ora ruotano soprattutto
giovani, di cultura e non,
che lo circondano di
devozione e ammirazione
sconfinata. Nelle sue lunghe
passeggiate solitarie egli
si reca spesso al Prater,
per godere del contatto con
la natura a lui così cara.
Là lo incontrerà Schubert,
che dirà agli amici: «Egli
sa tutto, ma noi non
possiamo ancora capire
tutto, e passerà ancora
molta acqua sotto i ponti
del Danubio prima che tutto
cià che ha creato quell'uomo
sia compreso dal mondo». In
un quaderno di conversazione
del 1822 Beethoven informa
un amico di voler comporre
due sinfonie: una,
commissionatagli dalla
Società Filarmonica di
Londra, solo strumentale;
l'altra con un coro finale.
Quest'idea venne poi
trasferita alla Nona
che, come ben sappiamo, si
conclude con l'ode Alla
gioia di Schiller. La
composizione dell'opera fu
terminata nel 1824, dopo
otto lunghi anni di faticoso
lavoro. Non possiamo
considerare la Nona
semplicemente come una
sinfonia in quattro tempi,
ma come un tutt'uno
compositivo in cui un unico
grande ideale prende forma
attraverso studi diversi e
via via superati per
giungere alla glorificazione
finale. La ricerca del senso
dell'esistenza, o meglio
l'esistenza stessa nella sua
più intima rivelazione, si
manifesta lentamente,
toccando le corde più
profonde e insondate della
vastità dell'animo umano.
Disperazione, ribellione,
rinuncia e poi ancora
dolore, rabbia, fatica;
sempre più in alto, sino a
giungere all'empireo dove
tutti gli spiriti sono
accomunati dal grande ideale
della giustizia universale.
La gioia traboccante e
magnifica nasce dalla
vittoria sull'imperfezione e
sulla limitatezza di ciò che
è immanente e si espande
senza vincoli di tempo e di
spazio nell'universo
ritrovato, in cui l'umanità
glorifica se stessa e il suo
creatore. È a questo punto
che l'orchestra pur con
tutte le sue innumerevoli
voci non basta più.
Beethoven ricorre al canto
dell'uomo per esprimere il
supremo grado di prefezione
cui tende la sua opera. La
voce si lega
indissolubilmente alla
musica in un momento di
grande tensione espressiva,
in cui il canto viene
introdotto come il livello
massimo di comunicazione,
più elevato rispetto
all'espressione degli
strumenti. Sappiamo che
Beethoven manifestò una
certa insoddisfazione per il
risultato ottenuto nel
finale della Nona e
che fu propenso a eliminare
il coro in una revisione
posteriore. La presenza
delle voci in una
composizione sinfonica non
era una novità assoluta in
quegli anni; Beethoven
conosceva probabilmente
alcune opere di questo
genere e si pensa che sia
giunto a concepire il suo
finale non tanto, come
vorrebbe Wagner, perché
aveva raggiunto le estreme
possibilità espressive della
musica pura e doveva quindi
far uso della parola
cantata, ma piuttosto
perché, alla luce degli
ideali kantiani, la parola
poteva conferire quella
lucidità razionale di cui un
tale messaggio sembrava
necessitare.
L'Allegro ma non troppo, un
poco maestoso inizia con
un'introduzione misteriosa e
cupa su cui il tema si
staglia all'improvviso, come
un grido lancinante. Nel
clima angoscioso ecco
apparire un'isola di
serenità costituita dal
motivo eseguito dai fiati,
non ancora il secondo tema,
ma ugualmente un momento di
grande importanza perché
cambia radicalmente la
situazione e introduce in un
luogo appartato dove
riposare le stanche membra
provate dal travaglio appena
trascorso; i legni sono i
portatori di questa pausa di
serenità sulla cui chiusa si
innesta il vero e proprio
secondo tema eseguito dagli
stessi strumenti. È questo
una semplice melodia
ascendente caratterizzata
dall'accento sull'ultima
parte della musica che
imprime all'inciso un che di
energico, quasi una spinta a
proseguire. Ogni tema
infatti, in un panorama che
continua ad ampliarsi,
spalanca dinanzi
all'ascoltatore nuovi mondi
insperati ed inimmaginabili.
Giungiamo al terzo ed ultimo
tema, una melodia affidata
ancora ai fiati, che ha
generato e genera tuttora
diatribe tra i musicologi
che considerano questo
episodio chi un ulteriore
sviluppo del secondo tema,
chi un vero e proprio nucleo
tematico a sé stante. Lo
sviluppo, come già era
accaduto nell'Appassionata,
attacca subito senza il
ritornello dell'esposizione,
secondo una concezione
stilistica che nasce da due
diverse ragioni: la mole
ingente dell'esposizione e
il desiderio di creare un
senso di incertezza che
sfocia idealmente nello
sviluppo. Ci ritroviamo così
nel clima doloroso e cupo
dell'introduzione per
giungere poco alla volta a
un crescendo che grida la
sua disperazione con un
accordo dissonante. La
ripetizione di questa parte
si differenzia solo per il
diverso uso degli strumenti,
e alla sua conclusione ha
inizio la terza parte, la
fuga. Questa è una forma
musicale costituita
dall'esposizione di un tema
e dalla sua rielaborazione
contrappuntistica (a più
voci simultaneamente)
operata dalle diverse voci
che concorrono a comporre un
articolato gioco di incastri
e corrispondenze, eseguendo
ora il soggetto, ora il
contro-soggetto unitamente
alle altre parti armoniche.
Dopo questo «episodio di
conversazione quasi felice»
come il Tovey definisce lo
sviluppo, giungiamo alla
ripresa, seguita dalla coda,
in cui i diversi temi si
ripresentano ma senza
rispettare 1'ordine
d'entrata stabilito
nell'esposizione.
Il secondo movimento è il
Molto vivace, quello che
normalmente viene definito
Scherzo e che di solito si
trova al terzo posto dopo il
momento contabile e di
ripensamento costituito
dall'Andante. Beethoven
probabilmente collocò lo
scherzo a questo punto
perché la notevole durata
del primo movimento
richiedeva un periodo di
distensione prima dell'altro
grande episodio di
riflessione e travaglio
interiore, l'Andante. Questo
scherzo è il più lungo tra
quelli composti da
Beethoven, svolto secondo lo
schema della forma-sonata e
caratterizzato da un ritmo
vertiginoso, in cui
l'alternanza di suono e
pausa gioca un ruolo di
primaria importanza nella
creazione del pathos.
Dopo l'esuberanza dello
scherzo ci troviamo di
fronte all'Adagio molto e
cantabile, un movimento di
«calma e trascendente
beatitudine di vita
spirituale» come lo
definisce il Mila nella sua
Lettura della Nona
sinfonia. Una
preghiera dolce e
consolatoria si leva in
un'atmosfera calma ed
estatica, che lascia poi
spazio all'Andante moderato,
più passionale e ricco di un
sentimento di profonda
solidarietà e di compianto.
Seguono, quindi, due
variazioni sull'Adagio; la
prima è affidata ai violini
e ricorda, come scrive il
Rolland, «il tessuto di un
abito a disegni floreali»,
ricca com'è nel fitto
disegno melodico che si
ispessisce ancor di più
nella seconda variazione,
preceduta da un ritorno
dell'Andante. Ai violini,
che si muovono in eleganti
arabeschi, rispondono prima
i legni e, nella fase
conclusiva, i corni,
sorretti dai timpani in una
figurazione tanto vivace
quanto ardita.
Il finale si annuncia con un
Presto fortissimo a cui non
partecipano gli archi.
L'alternanza drammatica tra
fiati e timpani da una parte
e i recitativi di
violoncelli e contrabbassi
dall'altra richiama
l'immagine che Beethoven
scrisse a margine degli
abbozzi: «No,
non questo; ci ricorda la
nostra disperata
condizione». Seguono di
volta in volta le
ripresentazioni degli spunti
tematici che hanno dato vita
ai precedenti movimenti
della sinfonia,
inframmezzati dai recitativi
che appaiono come dei
tentativi, ogni volta
abbondanti, di esprimere
compiutamente il messaggio
beethoveniano. Fa finalmente
il suo ingresso il tema
della gioia: sommesso,
eppure grandioso nella sua
semplicità, appare come un
miracolo di perfezione
raggiunto dopo un cammino
lungo e faticoso. La melodia
è progressivamente
arricchita con le tre
variazioni strumentali che
vengono interrotte dal
Presto iniziale, ancora più
drammatico e brutale nel suo
brusco ricomparire. Questa
volta il recitativo è
affidato alla voce umana e
il baritono leva il suo
invito a unire le altre voci
alla sua nel canto di gioia.
Il testo, come è noto, è
dello stesso Beethoven e
dice: «Amici, non questi
suoni! Ma lasciateci
intonare dei canti più
graditi e gioiosi».
Le voci rispondono
all'invito e si alza il
mirabile canto sull'ode
schilleriana, della quale
Beethoven musicò solo alcune
parti ridistribuite secondo
un nuovo ordine. L'inno
procede con altre
variazioni, di cui la
settima è sicuramente la più
interessante: qui, con
l'introduzione di grancassa,
piatti e triangolo, esso si
trasforma in una marcia
militare dove alle parole
eroiche di Schiller
corrisponde la vivida
rievocazione di immagini
guerresche. Da questo
ennesimo duello risorge
l'invocazione, ormai pervasa
da un entusiasmo
irrefrenabile. Un ultimo
momento lirico e
contemplativo ci viene
offerto dal quartetto vocale
che si fonde infine con il
tripudio generale con cui si
chiude l'opera.
Maria
Luisa Merlo
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