ISTITUTO GEOGRAFICO DE AGOSTINI


1 CD - GMD 3/1 - (c) 1989

I MAESTRI DELLA MUSICA









César FRANCK (1822-1890)
Sinfonia in Re minore

39' 09"


- Lento, Allegro non troppo
16' 42"

1

- Allegretto 11' 48"

2

- Allegro non troppo
10' 39"

3

Variazioni sinfoniche per pianoforte e orchestra
16' 54"
4





 
Prague Radio Symphony Orchestra / Zdener Kosler, Direttore - (1-3) Concert Hall of the Slovak Philharmonic - March 1980
Czech Philharmonic Orchestra / Ivan Moravec, Pianoforte / Karel Ancerl, Direttore - (4) House of Artists, Prague - 12-14 April 1976
 






Manufactured
Tecval Memories SA (Switzerland)

Prima Edizione LP
Opus | 9110 0662 | (p) 1981 - (1-3)
Supraphon | 4 10 2073 | (p) 1977 - (4)


Edizione CD
De Agostini | GMD 3/1 | 1 CD - durata 56' 03" | (c) 1989 | ADD

Note
-













Franck (1-3)


Franck (4)

SINFONIA IN RE MINORE
Questa grande opera, l'unica del suo genere composta da Franck, fu approntata e completata nello spazio di due anni, dal 1886 al 1888, quando ormai la vecchiaia dell'autore era alle porte. Pervasa da quel misticismo sentimentale che caratterizza molta della produzione strumentale di Franck, si propone agli ascoltatori come un edificio monumentale, solidamente poggiato sulle sue fondamenta ma, al tempo stesso, arricchito da imprevedibili volute che lo rendono attuale ed intensamente coinvolgente. La sinfonia in re minore si apre conun'introduzione cupa e lugubre, dall'andamento lento, dominata da tre incisi tematici. Il primo, in particolar modo, è assai interessante perché lo stesso disegno melodico, come pure la struttura ritmica, saranno utilizzati per la prima idea tematica dell'Allegro non troppo. Dalla mestizia misteriosa del lento ecco scaturire questo primo tema, violento e tragico al tempo stesso. L'orchestra si muove compatta, sembra un unico strumento grandioso e possente, privo di dialettica interna. Non è il secondo tema checi colpisce per il suo climax, che si discosta appena dal turbinoso esordio, ma il terzo, quello che udremo più volte, contrapposto al primo. Aperto e appassionato, giunge quando siamo al culmine della tensione e ci spalanca dinanzi un'oasi di tenerezza. Lo sviluppo è assai complesso; il procedimento non è quello che abbiamo conosciuto nel periodo classico, della deduzione e della costruzione dei pensieri, diremmo ad incastro, ma delle giustapposizioni di idee che, per quanto apparentemente estranee, sono invece legate da connessioni intime che rendono la narrazione cerebrale, a volte contorta e con qualche concessione alla ridondanza. La ripresa ci riserva non poche sorprese, sempre seguendo il modo di procedere che fu caro a Wagner, a causa della sua magniloquenza e delle sue considerevoli dimensioni. Ritroviamo qui alcune delle idee tematiche dell'introduzione, come quella dell'esordio, ma che è totalmente trasfigurata perché viene eseguita fortissimo dall'orchestra e ripresa a canone dalle trombe. Il movimento si conclude con una coda dove ricompare nuovamente il motivo dell'introduzione a canone tra soprani e bassi. Non vi è un andante vero e proprio, ma il secondo movimento è un Allegretto, quasi un minuetto lento. La melodia, suadente ed esotica si muove continuamente in bilico tra l'innocenza della santità e la drammaticità dell'aver conosciuto il male come il Tovey esprime in una delle sue colorite metafore: "La saggezza del serpente, è estranea all'innocenza della colomba". Le prime battute sono sommesse ed esitanti: solo gli archi fanno udire la loro voce, esile, eseguendo una melodia in pizzicato. Il tema giunge poco dopo, cantato dalla voce languida del corno inglese, cui si aggiungono clarinetto e corno, all'unisono, creando un'atmosfera sognante e profondamente intima. L'apparizione di una nuova idea tematica, fluttuante e carica di tensione, eseguita dagli archi, introduce un nuovo elemento portatore di inquietanti interrogativi. La narrazione si fa più esitante, le pause frammentano il discorso e le variazioni che Franck costruisce sul suo tema ce lo lasciano intravedere da lontano, ce ne fanno sentire la presenza, spesso ansiogena, senza però farlo comparire apertamente in primo piano. Sopra questi flutti agitati e misteriosi ecco comparire poi una nuova creatura, un tema che udremo sino alla fine del movimento. È una melodia cantabile e affettuosa che si contrappone, con la sua limpida chiarezza, alle torbide immagini evocate poco prima e che con la sua potenza redentrice tutto trasforma, e si trasforma, facendo giungere questa stupenda pagina al quieto porto del modo maggiore. Il terzo e ultimo movimento, Allegro non troppo, si apre in un maggiore festante e carico di gioioso tripudio. Il primo tema su cui si basa è grandioso e intenso: energico e sublime come se fosse uscito dalla mente di Beethoven. Una zona più intima si apre poi con l'apparire del secondo tema che viene eseguito in forma dialogica dagli archi e dagli ottoni. Ma è proprio in questo ultimo movimento che l'unità strumentale della Sinfonia diviene esplicita e sentiamo ricomparire i temi dei movimenti precedenti combinati con materiale musicale nuovo. In una zona cupa, dominata da un episodio tutto giocato sui suoni gravi, rifà capolino il motivo principale dell'Allegretto, affidato ancora al corno inglese, e la ricomparsa del motivo di collegamento tra il primo e il secondo tema prepara l'esplosione gioiosa di quest'ultimo eseguito fortissimo nel momento culminante della sezione. La sezione successiva si apre con un passaggio dialogico dominato dal tema dell'Allegretto che poco dopo abbandona il carattere mesto che lo aveva contraddistinto fino a quel momento per diventare fulgido in un'esecuzione trionfante. Nell'ultima sezione di questa splendida pagina si ripresenta, per condurre un 'duetto' con il primo tema del finale, il secondo tema del primo movimento, quello trionfante che ci appare anche sotto nuove vesti, come sommesso, quasi provenisse da abissi profondi. L'effetto è sorprendente; la gioia certa traspare in ogni nota dove queste due melodie si intrecciano, mantenendo intatta la coerenza dell'opera.

VARIAZIONI SINFONICHE PER PIANOFORTE E ORCHESTRA
Il 1885, anno in cui presero vita le Variazioni sinfoniche, fu decisamente importante per Franck, che ottenne uno dei massimi riconoscimenti pubblici, la croce della Legion d'Onore, insieme alla nomina alla presidenza della Société Nationale. Quest'ultimo fatto però gli creò non pochi problemi: ostilità da parte dei compositori più reazionari, capeggiati da Saint-Saëns, e continui odiosi confronti con i suoi stessi 'luogotenenti'. Fortunatamente, questi dissapori non compromisero l'attività compositiva del maestro, che proprio in quegli anni scrisse le sue cose più belle e complete. Il pezzo che ci accingiamo ad analizzare è forse il più conosciuto di Franck ed è senz'altro uno dei più apprezzati. È quello cioé che meglio racchiude in se i principi dell'arte del musicista francese, la ciclicità nell'esposizione dei temi fondamentali, il suo modo di costruire le armonie e di fondere le diverse parti della composizione, ottenendo effetti di grande unità e coerenza. Come afferma Manzoni in un suo saggio, questo brano non ha precedenti nella storia della musica, poiché la composizione si fonda su due temi, ma le variazioni, ora dell'uno e ora dell'altro tema, non seguono lo schema classico delle variazioni, dove troviamo una sequenza ordinata e distinta, ma si mescolano, si scambiano, si sovrappongono, creando insieme un effetto di unità e di alternanza in un clima di grande fascino.
Altresì dobbiamo affermare che i diversi episodi sono nettamente distinti tra loro, cosa che, ad onor del vero, sembra contrastare con quanto affermato poc'anzi. Invece entrambe le realtà coesistono mirabilmente. Unione nella divisione (potremmo dire) in questa singolare opera dove i punti di sutura tra le diverse variazioni sono impossibili da definire pur esistendo una scansione rapsodica delle parti che giustifica pienamente la definizione di 'Variazioni' adottata dal compositore.
I due temi su cui si basa la composizione sono esposti all'inizio, il primo dall'orchestra, unitamente al pianoforte, il secondo dalla sola orchestra, che opta per una presentazione timida e appena accennata: in pizzicato, mentre il solista sostiene con degli arpeggi fluenti. Di qui prende il via il susseguirsi fantasioso e intenso delle variazioni, in cui il solista viene sempre trattato con poesia e a cui viene lasciato ampio spazio per poter mettere in risalto le sue doti drammatiche, virtuosistiche e, in non poche occasioni, di grande ammaliatore. Capacità seduttive che il pianoforte acquistò in copiosa misura dalla mente creatrice di Franck. Assistiamo così, come su di un palcoscenico immaginario, a colpi di scena di intensa drammaticità, generati da violenti contrasti tra l'orchestra e il solista, e ad altri episodi non meno coinvolgenti di grande virtuosismo di stampo eminentemente sinfonico. L'emozione dell'ascoltatore durante l'ascolto è davvero grande e al termine di questi quindici minuti di appassionante narrazione non c'è che rimanere abbagliati da tanta bellezza.
Nel 1850 Liszt aveva scritto i suoi Préludes ed erano quindi trascorsi più di trent'anni da quando i poemi dell'artista magiaro avevano fatto scuola. L'aspirazione di Liszt a modelli sublimi di vita, tanto più appassionatamente e fin morbosamente desiderati quanto più inaccessibili e lontani dalla reale esperienza quotidiana, era penetrata nella coscienza delle nuove generazioni di musicisti. Gran parte della musica di questi decenni è dunque all'insegna dell'epopea, come in questo brano di Franck, che vuole coinvolgerci in storie straordinarie, in conflitti titanici, in apoteosi e rigenerazioni. Le sonorità passano così, spesso bruscamente, dai più impercettibili pianissimi ai fragorosi fortissimi e l'uso degli strumenti viene differenziato per porre in evidenza effetti espressivi speciali con ritmi e melodie che si rinnovano continuamente. Soprattutto le armonie, i raggruppamenti di suoni simultanei tendono a creare atmosfere di perenne mobilità. Tutto ciò accentua quel carattere di narrazione romanzata che è tipico della musica di questa seconda metà dell'Ottocento.
Il trionfalismo che anima l'opera di Franck risulta l'ideale di un'anima candida, lo stesso ideale che il musicista dispiegava nelle celebri improvvisazioni all'organo, il suo strumento prediletto. Sembra che, come in un atto di fede, sopra le inquietudini ele incertezze che frenano il cammino, alla fine la luce debba aver ragione delle tenebre e che la glorificazione finale possa giungere senza indugio.
Maria Luisa Merlo