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1 CD -
GMD 3/15 - (c) 1990
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I MAESTRI DELLA
MUSICA
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Richard
STRAUSS (1864-1949)
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Poema sinfonico
per grande orchestra "Una vita
d'eroe", Op. 40 |
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45' 15" |
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1 |
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Concerto
per Oboe e piccola orchestrain Re
maggiore
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23' 04" |
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2 |
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Berliner
Philharmoniker / Lothar Koch, Oboe
/ Herbert von Karajan, Direttore
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Salzburg
- 1964
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Manufactured |
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Tecval
Memories SA (Switzerland) |
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Prima Edizione LP |
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Paragon
| ? | (p) 1987- (1)
Paragon | ? | (p) 1989- (2)
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Edizione CD |
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De
Agostini | GMD
3/15 | 1 CD - durata 68'
19" | (c) 1990 | ADD |
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Note |
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"UNA VITA
D'EROE" - POEMA
SINFONICO PER GRANDE
ORCHESTRA OP. 40
Nel periodo
trascorso tra il 1887 (anno
della prima esecuzione della
fantasia sinfonica Dall'Italía)
e il 1909 (data della prima
rappresentazione dell'opera
teatrale Elettra) la
musica di Richard Strauss si
guadagnò una fama
internazionale del tutto
eccezionale. Durante questo
ventennio creativo - per la
prima metà essenzialmente
occupato dalla realizzazione
di una serie di
fortunatissimi
poemisinfonici - il
compositore incarnò per
l'intero continente
l'immagine del glorificatore
della società borghese di
fine '800. E, in effetti,
Strauss accettò con
fiduciosa sicurezza la
tradizione musicale
tardo-romantica, la sviluppò
e amplificò in maniera
lussureggiante e rutilante,
ma per condurla, alla fine,
al suo estremo limite, al
suo esaurimento. Sulla scia
di Berlioz e di Liszt il
compositore ripercorse nei
suoi poemi sinfonici la
forma della musica a
programma e la mentalità
eroica affermando ancora di
più il caratteristico ed
esuberante virtuosismo
sonoro dell'orchestra.
Questa, ulteriormente
ampliata e inturgidita,
diventava nelle mani di
Strauss un duttile e
spettacolare strumento,
pronto a esprimere
elasticamente qualsiasi
espressione. La musica del
compositore tedesco apparve
subito come il tramite di
una concezione affermativa e
operativa, espressa con
impetuoso vitalismo ed
energia ritmica. Ancora oggi
le sue opere abbagliano per
l'imprevedibile varietà
degli atteggiamenti, per la
favolosa tavolozza timbrica,
per il coreografico
alternarsi di guerreschi
clangori e di abbandoni
sensuali.
A ben vedere Una vita
d'eroe appare come
l'ultimo poema sinfonico di
Strauss, dato che le
successive realizzazioni del
musicista si allontaneranno
tutte dal desiderio di
sviluppo dell'originario
modello ottocentesco. La
stesura risale al 1898 e si
concluse, per l'esattezza,
il 1° dicembre di
quell'anno, anche se nei
successivi ventisei giorni
Strauss riprese e riscrisse
la conclusione. La prima
esecuzione della sinfonia
ebbe luogo al Museum di
Francoforte il 3 marzo
dell'anno dopo sotto la
direzione dello stesso
autore. Con questo poema
sinfonico il compositore
volle contrapporre alla
figura del cavaliere
grottesco e sconfitto, su
cui aveva edificato il suo
precedente lavoro (Don
Chisciotte, 1897),
quella di un eroe
costruttivo e vittorioso.
Ancor più interessante è che
Strauss si identificò
nell'opera con l'immagine
stessa del protagonista.
Quest'ultimo assumeva cioè
le sembianze di un
compositore in lotta contro
i suoi nemici e impegnato in
una nobilissima impresa
artistica. È forse proprio
in questa forzatura che si
può intravedere, sotto la
ridondanza e la
glorificazione orchestrale,
un primo distacco ironico
dai grandi ideali musicali
romantici, in quegli anni
posti in crisi in maniera
più esplicita da altre e
differenti ricerche
artistiche. Questa
immedesimazione con l'eroe è
ottenuta in partitura
soprattutto attraverso
ilprocedimento della
autocitazione. In pratica
durante l'ascolto è
possibile individuare una
nutrita serie di temi
musicali tratti da
precedenti lavori
straussiani, a quel tempo
già affermati, con i poemi
sinfonici in prima fila. Si
ripercorre così la vita
dell'eroe attraverso il
ricordo dei suoi successi
musicali. Una schiera di
'emblemi', presentati con
chiarezza privi però di
quella relativa forza che
possiamo riconoscere al
leitmotive wagneriano.
Soltanto dopo la prima
esecuzione Strauss fu spinto
a stilare un vero e proprio
programma che decodificasse
i sei episodi contenuti
nella composizione. Il
monumentale organico
orchestrale (108 strumenti,
tra i quali emerge il canto
del violino solo che
impersona il protagonista),
la scrittura densa e
polifonica, la simultanea
comparsa di più temi, la
evidente concessione a un
gusto del kolossal, fanno di
Una vita d'eroe una
prova di bravura per
qualsiasi interprete. Il
primo episodio ('L'eroe') ha
il compito di presentare la
figura del personaggio
principale, subito
individuato da un attacco
energico e pulsante, come
dotato di un carattere
nobile e combattivo. La
seconda sezione è dedicata a
'Gli avversari',
tratteggiati in maniera
grottesca e ironica. Nelle
parte che segue, intitolata
'La compagna', in
un'atmosfera ampia,
raddolcita dai legni e non
priva di un certo erotismo,
riconosciamo un grande tema
amoroso esposto dalla voce
del violino solista. Il
motivo riapparirà con
maggior entusiasmo anche in
alcune successive situazioni
guerresche, quasi a
significare l'amata che,
direttamente o semplicemente
nel ricordo, conforta ed
esalta l'eroe durante la
lotta. Il quarto episodio,
'Il campo di battaglia', è
dedicato appunto alla grande
scena guerresca. Questa si
apre con degli squilli di
tromba che giungono da fuori
orchestra e anticipano il
combattimento sonoro.
L'autore fa capo in questo
frangente a una scrittura
arditissima che esalta e
addensa l'elaborazione
tematica e che,
contemporaneamente, divide
l'orchestra in gruppi
contrapposti che raffigurano
le varie forze contendenti.
La successiva sezione
descrive «con grande slancio
ed entusiasmo» - come a
volte prescrive Strauss in
partitura - 'Le opere di
pace dell'eroe'. Queste sono
logicamente da interpretare
come le composizioni più
famose e meglio riuscite
dello stesso musicista,
mentre invece la musica, nel
suo insieme, viene qui
intesa non solo come un
prodotto della cultura e di
un'arte creativa, ma anche
come uno strumento di
progresso sociale, di unione
di popoli. È in questa parte
del poema che appare il
maggiore numero di
autocitazioni. Queste sono
tratte da Don Giovanni,
da Così parlò
Zarathustra, da Morte
e trasfigurazione, da
Don Chisciotte, da Macbeth,
da Guntram e, sul
finire, dal Lied Sogno
vesperale. Qui Strauss
esibisce ancora una volta un
vero e proprio virtuosismo
polifonico e una tecnica
compositiva magistrale,
senza che sia negata
all'ascoltatore la
possibilità di cogliere,
sotto la mirabolante
complessità di scrittura, un
malizioso incresparsi delle
labbra dell'autore. Con
l'ultimo episodio 'Fuga
dell'eroe dal mondo e
compimento del suo destino'
si segue in una luce di
ampia e calma meditazione la
conclusione dell'opera
dell'eroe, che ora si
apparta in una serena
solitudine seguito solamente
dalla sua compagna.
CONCERTO
PER OBOE E PICCOLA
ORCHESTRA IN RE MAGGIORE
Dopo aver
vissuto da protagonista
l'ultima glorificazione e il
crollo della civiltà
romantica, Strauss svolse la
sua ultima attività musicale
sotto il segno della più
totale inattualità.
Inattuale per il mondo della
musica era la sua età (la
sua ultima opera, Quattro
Lieder, per soprano e
orchestra, risale al 1948,
quando il compositore aveva
ormai ben 84 anni) ma,
ancora più inattuali, erano
le sue estreme scelte
musicali, assolutamente non
allineate e quindi
audacemente stimolanti,
sotterraneamente di ricerca,
se non addirittura
singolarmente di protesta.
In discussione erano il
recente passato - anche il
proprio - e le nuove
tormentate proposte. Davanti
alla caduta della
magniloquente Germania
nazista, Strauss propose un
nostalgico ritorno al
candore delle origini
musicali della propria
nazione, cioè un ritorno al
classicismo e a Mozart dove
si sarebbero ritrovate le
regole di un primo ordine
razionale. Il compositore
aspirava a una musica arguta
e logica, libera e
fanciullescamente candida,
assolutamente non venduta a
qualsiasi ideologia. Di
questa particolare ricerca
formale sono soprattutto
testimoni le Metamorfosi
(dove il riferimento alla
'Marcia funebre' della Terza
sinfonia di Beethoven
non fa altro che ribadire un
nobile connubio tra musica e
moralità), le due Sonatine
per 16 strumenti a fiato, il
Concerto n° 2 per
corno e il Concerto per
oboe (1945/46). Sono
queste quasi tutte opere che
passarono a lungo sotto
silenzio e che lo stesso
Strauss, messo alle corde,
definì con superiore ironia
«esercizi per il polso» e
«scarti della mia officina».
Nel Concerto per oboe
la ricerca di Strauss si
spinge oltre il riferimento
alle forme classiche e, in
particolare, al linguaggio
mozartiano; risale anzi
ancora più indietro, a
un'arte preclassica, quella
dei 'primitivi' del
periodobarocco. La nuova e
più radicale scelta formale
conduce il compositore a un
fraseggio ancora più terso e
diluito, a una maggiore
sobrietà musicale.
Spariscono in tal senso
anche gli ultimi reperti
tardo-romantici che ancora
operavano nelle altre
realizzazioni di questo
periodo: lo sviluppo
tematico, le costruzioni
polifoniche, una certa
densità di scrittura, la
pretesa di magistero nella
condotta compositiva. In
questo contesto sono
evidenti le ragioni della
scelta dell'oboe come
strumento solista e cioè la
voce nitida e dolce (che
secondo la tradizione
rimanda a tersi paesaggi
campestri e a ingenue
immagini pastorali) e la
forte carica simbolica,
utile per far rivivere lo
spirito della musica barocca
di cui l'oboe è uno degli
strumenti più
rappresentativi. Sul piano
formale Strauss rifugge
dalle espressioni
problematiche e intense per
rifarsi a un fraseggio che
moltiplica in maniera del
tutto personale un intreccio
decorativo baroccamente
impostato su una tecnica
trasparente e
raffinatissima. Secondo un
progetto di chiarezza
strutturale, l'autore
procede a un processo di
semplificazione, esaltando
contemporaneamente le
qualità di un mestiere
artigianale elegante e
immediato. Sempre secondo la
concezione settecentesca il
Concerto si articola
in tre tempiche però, in
questo caso, si susseguono
senza alcuna interruzione.
Immancabile è la
tradizionale sequenza
agogica che vede un
movimento lento centrale
affiancato da due tempi
rapidi e briosi. Nel primo
movimento (Allegro moderato)
si sovrappongono i
riferimenti alla barocca e
ordinatrice alternanza
d'interventi tra il Tutti e
il solista (ottenuta
attraverso la
plasticariduzione e
amplificazione delle
sonorità orchestrali) e i
richiami alla classica
forma-sonata. A quest'ultima
si allude attraverso una
tripartizione interna
(Allegro moderato - Vivace -
Allegro moderato) che mima i
tre momenti base della
forma-sonata (Esposizione -
Sviluppo - Ripresa). Anche
l'Andante centrale mostra
una regolarità di
proporzioni nell'esposizione
tematica e nella ripresa
delle idee. Il compito di
chiudere il Concerto
è affidato a un
Vivace-Allegro con alcune
tranquillizzanti inflessioni
pastorali.
Massimo
Rolando Zegna
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