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1 CD -
GMD 3/16 - (c) 1990
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I MAESTRI DELLA
MUSICA
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Sergej
RACHMANINOV (1873-1943)
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Concerto per
Pianoforte e Orchestra N. 2 in
Do minore, Op. 18 |
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32' 31" |
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- Moderato
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10' 20" |
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1 |
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- Adagio sostenuto
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10' 29" |
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2 |
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- Allegro
scherzando
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11' 42" |
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3 |
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Rapsodia
su un tema di Paganini, Op. 43
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22' 45" |
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4 |
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Brno State
Philharmonic Orchestra / Mirka
Pokorna, Pianoforte / Jiri Waldhans,
Direttore
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Stadio
Hall, Brno - 1969
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Brno State
Philharmonic Orchestra / Valentina
Kamenikova, Pianoforte / Jiri
Pinkas, Direttore |
Supraphon
Studio, Brno - 1967
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Manufactured |
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Tecval
Memories SA (Switzerland) |
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Prima Edizione LP |
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Supraphon
| 1 10 0518 | (p) 1969- (1-3)
Supraphon | SUA ST 50887 | (p)
1967- (4)
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Edizione CD |
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De
Agostini | GMD
3/16 | 1 CD - durata 55'
16" | (c) 1990 | ADD |
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Note |
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Rachmaninov
(1-3)
Rachmaninov
(4)
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CONCERTO
PER PIANOFORTE E
ORCHESTRA N. 2 OP. 18
Il musicista
si dedicò negli anni
1900-1901 a quest'opera che
rappresenta un punto
significativo del suo
sviluppo artistico.
La Sinfonia scritta tre anni
prima era stata accolta
freddamente e il periodo
intercorso tra le due
composizioni doveva
rivelarsi estremamente utile
per maturare quel nuovo
stile che contraddistingue
appunto il Concerto.
Abbandonata l'eccessiva
giovanile impetuosità che
caratterizzava la Sinfonia,
nel Concerto hanno
maggior spazio il lirismo,
le melodie appassionate
sorrette da armonie
sontuose. Il primo
movimento, Moderato attacca
con un passaggio
introduttivo eseguito al
pianoforte: lunghi accordi
pesanti si susseguono
crescendo a poco a poco e da
essi scaturiscono fluidi
arpeggi che percorrono la
tastiera. A questo punto si
inserisce il primo tema
eseguito dagli archi
(violini e viole soltanto)
con l'appoggio
impercettibile del
clarinetto. La melodia,
ampia e cantabile, viene
continuata dai violoncelli e
a ogni ripresa dal
pianoforte. Un episodio, un
poco più mosso, vede
protagonisti il solista con
gli archi e i corni e si
insinua a un tratto una
breve frase delle viole che
funge da 'trampolino' al
secondo tema. Dopo una prima
manipolazione di questo
secondo motivo, viene
presentato anche un terzo
tema annunciato dal
pianoforte e continuato dai
legni in una sorta di
imitazione libera. Nello
sviluppo i primi due temi
vengono combinati con grande
ricchezza e al punto
culminante si innesta la
ripresa con un grandioso
'maestoso alla marcia'. Il
primo soggetto ritorna
eseguito da pianoforte e
archi mentre, per contrasto,
la seconda idea tematica
ricompare sommessa, con un
tremolo degli archi,
Pianissimo, su cui si
staglia un bellissimo a solo
del corno.
Il movimento si chiude senza
cadenza. L'Adagio sostenuto
attacca con una breve
introduzione eseguita dagli
archi con sordina,
clarinetti, fagotti e corni.
Il pianoforte entra con
degli arpeggi su cui il
flauto per primo esegue il
tema principale, seguito dal
clarinetto e poi cantato dal
solista. Il gioco di
corrispondenze, di incastro
dei diversi strumenti che
eseguono ora l'ìntero tema
ora una piccola parte, è
l'elemento caratterizzante
dello sviluppo di questa
intensa pagina; la calda
cantabilità del tema si
accompagna lungo tutto il
movimento che si chiude, di
consueto, con una cadenza
solista suggellata da una
coda. Il terzo e ultimo
movimento, Allegro
scherzando attacca
sommessamente, presentando
lo schema ritmico
principale. Dopo un
Fortissimo di quattro
battute il pianoforte esegue
un episodio cadenzante che
prelude alla presentazione
del primo tema. L'atmosfera
è gaia e frizzante ma, dopo
poco, si intenerisce,
preparando l'ingresso al
secondo tema eseguito
dall'oboe in un'andatura più
lenta (Moderato). Ma poi
l'orchestra riprende
l'inciso di apertura e il
tutto si rianima.
L'alternanza tra momenti
calmi e altri vivaci si
protrae sino alla
conclusione che vuole un
Crescendo di intensità unito
a un vorticoso Accelerando,
da un Agitato a un Alla
breve al Presto con cui si
chiude brillantemente il
pezzo.
RAPSODIA
SU UN TEMA DI PAGANINI
Quando
Rachmaninov scrisse
quest'opera aveva già
compiuto sessant'anni e da
più di quaranta aveva
deliziato le platee di tutto
il mondo con la sua
straordinaria valentia di
pianista. Ormai
definitivamente trasferito
in occidente, godeva di
grandi onori presso il
pubblico delle grandi
capitali europee, ma di lì a
poco, siamo ormai nel
1933-34, la sua definitiva
residenza sarebbero divenuti
gli Stati Uniti quando, con
l'avvento del nazismo, anche
l'Europa stava cominciando a
diventare pericolosa. In un
certo senso si può affermare
che l'attività creatrice del
maestro si fece meno
vigorosa dopo l'esilio, ma
non per questo divenne più
scadente. Le numerose
tournée lo assorbirono
notevolmente, ma non gli
impedirono di portare a
termine numerose
composizioni, tra le quali
questa Rapsodia su un
tema di Paganini. La
prima esecuzione della
rapsodia si tenne a
Baltimora, il 7 novembre
1934 con l'orchestra diretta
da Leopold Stokowski. La
stesura dell'opera risaliva
però a due anni prima,
infatti Rachmaninov vi si
dedicò durante l'estate del
1932 quando trascorse le
vacanze nella sua villa in
Svizzera che portava un nome
curioso 'Senar' ottenuto
dalle sigle del proprio nome
e di quello della moglie
(Sergej e Natalia
Rachmaninov). Nel 1937,
poiché l'opera era stata
accolta con notevole
consenso da parte del
pubblico e da parte della
critica, il famoso
coreografo russo Fokin
propose al musicista una sua
idea per realizzare un
balletto sulla leggendaria
vita di Paganini utilizzando
proprio questa rapsodia. Gli
accordi furono presi e il 30
giugno 1939 al Covent Garden
di Londra venne allestita la
prima rappresentazione del
balletto alla quale però
Rachmaninov non poté
partecipare a causa di un
incidente che lo immobilizzò
a letto.
Questa composizione per
pianoforte e orchestra, è
un'opera di notevoli
dimensioni; sono
ventiquattro le variazioni
che, raggruppate in sezioni
con caratteri ben
differenziati tra di loro,
formano la consueta
struttura tripartita di un
concerto. I temi che balzano
subito all'orecchio
dell'ascoltatore sono
essenzialmente due: il Dies
Irae, che tornerà in
maniera quasi ossessiva
anche nella Sinfonia n.3
op. 44 (di pochi anni
posteriore) e il Capriccio
n.24 di Paganini che
venne utilizzato assai
spesso da vari compositori,
i più diversi tra loro, come
spunto per variazioni. Ci
troviamo di fronte, quindi,
a una composizione molto
interessante che fonde nel
suo insieme diverse forme e
ottiene risultati molto
nuovi e coinvolgenti anche
per l'uso, sempre ad
altissimo livello anche se a
tratti un po' 'divistico',
del pianoforte.
A proposito della sua
tecnica compositiva
Rachmaninov aveva peraltro
più volte espresso con
chiarezza quali erano i suoi
principi: il primo,
inalienabile, era quello
riguardante il 'punto
culminante' che doveva
essere presente in ciascuno
dei suoi pezzi e attorno a
cui doveva ruotare tutto il
resto «...Deve venire come
un tuono o del tutto
quietamente, ma l'interprete
deve avvicinarvisi con
assoluto calcolo ed
esattezza, altrimenti
l'intera struttura è
destinata a cadere». A
questa prima affermazione,
che dimostra con quanta
razionalità lucida e con
quanta precisione
Rachmaninov si accingeva
sempre a scrivere la sua
musica, dobbiamo però
aggiungere anche questa sua
dichiarazione (che rilasciò
nel 1941 in un'intervista a
una rivista musicale) dove
viene affermato il primato
dell'ispirazione pura,
sgorgata dall'anima, che per
prima crea l'impulso al
comporre: «Nelle mie
composizioni non vi è alcuno
sforzo di apparire
originale, o romantico, o
nazionalista, o qualsiasi
altra cosa. Io metto sulla
carta la musica che sento
dentro di me, nella maniera
più semplice e naturale
possibile. Sono un
compositore russo, e il
paese in cui sono nato ha
naturalmente influenzato il
mio temperamento e il mio
modo di vedere le cose. La
mia musica è il frutto del
mio temperamento, e perciò è
musica russa; non ho però
cercato consciamente di
scrivere musica russa, o
qualsiasi altro genere di
musica. Io tento, quando
scrivo musica, di esprimere
semplicemente e direttamente
quel che sente il mio
cuore».
Igor Stravinskij,
compatriota e contemporaneo
di Rachmaninov, tratteggia
una immagine gustosa ed
estremamente colorita di
questo musicista in una
delle sue conversazioni con
Robert Craft, il giovane
compositore americano che a
partire dal 1957 raccolse
tutto il materiale di queste
riflessioni. La riportiamo
fedelmente nella traduzione
di L. Bonino Savarino (ed.
Einaudi): «L'apicoltura mi
ricorda stranamente
Rachmaninov, poiché l'ultima
volta che vidi quell'uomo
che incuteva timore, egli
era venuto a trovarmi nella
mia casa di Hollywood
portandomi in regalo un
mastelletto di miele. A
quell'epoca non ero
particolarmente amico di R.,
né penso che altri lo
fossero: i rapporti sociali
con un uomo del temperamento
di R. richiedono molta più
perseveranza di quanta ne
possiedo io: veniva soltanto
per portarmi il miele. È
strano che dovessi
incontrarlo non in Russia,
benché ve lo abbia sentito
suonare durante la mia
giovinezza, né più tardi in
Svizzera dove eravamo vicini
di casa, ma a Hollywood.
Certa gente ottiene una
specie di immortalità
proprio dalla totalità con
cui possiede o no una certa
caratteristica. La totalità
immortalante di R. era
costituita dal suo fiero
cipiglio. Un fiero cipiglio
alto due metri. Credo che le
mie conversazioni con lui, o
piuttosto con sua moglie,
fossero tipiche. Madame R.:
Qual è la prima cosa che fa
al mattino quando si alza?
(Questa domanda sarebbe
potuta sembrare indiscreta,
ma non così, visto il modo
come la signora la faceva).
Io: Per un quarto d'ora
faccio gli esercizi che mi
ha insegnato un ginnasta
ungherese maniaco della
Kneipp Kur o, piuttosto, li
facevo fino a quando appresi
che l'ungherese era morto
molto giovane e molto
improvvisamente, poi mi
sollevò a testa in giù, poi
faccio una doccia. Madame
R.: Vedi Sergej, Stravinskij
fa la doccia. È
straordinario. Sostieni
ancora di averne paura? E
hai sentito che Stravinskij
dice anche di fare gli
esercizi? Che ne pensi?
Dovresti vergognartene tu
che a mala pena fai qualche
passeggiatina. (R. tace)».
Stravinskij continua:
«Ricordo le prime
composizioni di R. Erano
degli 'acquerelli', liriche
e pezzi per pianoforte con
la fresca impronta di
Ciaikovski. Poi, a
venticinque anni, si diede
agli 'oli' e diventò un
vecchissimo compositore
davvero. Non aspettatevi che
sputi su di lui per questo:
egli era, come ho detto, un
uomo che incuteva timore e,
per di più, ve ne sono molti
altri prima di lui su cui
sputare. Quando penso a lui,
mi pare che il suo silenzio
appaia come un nobile
contrasto all'autoelogio che
e la sola conversazione di
tutti gli esecutori e di
quasi tutti gli altri
musicisti. Per di più, era
il solo pianista che abbia
visto non fare smorfie. Il
che è già molto».
Maria
Luisa Merlo
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