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1 CD -
GMD 3/17 - (c) 1990
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I MAESTRI DELLA
MUSICA
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Maurice RAVEL
(1875-1937)
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Concerto per
Pianoforte e Orchestra in Sol
maggiore |
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21' 24" |
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- Allegramente
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8' 12" |
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1 |
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- Adagio assai
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9' 27" |
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2 |
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- Presto
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3' 45" |
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3 |
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Gaspard
de la nuit
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21' 01" |
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- Ondine |
5' 47" |
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4 |
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- Le gibet
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5' 45" |
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5 |
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- Scarbo |
9' 29" |
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6 |
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Orchestra
Sinfonica della RAI di Torino / Arturo
Benedetti Michelangeli, Pianoforte /
Nino Sanzogno, Direttore - (1-3)
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Auditorium
RAI di Torino - 12 December 1961
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Arturo Benedetti
Michelangeli, Pianoforte -
(4-6) |
Londra -
1959
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Manufactured |
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Tecval
Memories SA (Switzerland) |
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Prima Edizione LP |
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Fonit
Cetra | LAR 44 | (p) 1984- (1-3)
Paragon | DR 10072/74 | (p) 1982
- (4-6)
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Edizione CD |
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De
Agostini | GMD
3/17 | 1 CD - durata 42'
25" | (c) 1990 | ADD |
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Note |
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Ravel
(1-3)
Ravel
(4-6)
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CONCERTO
IN SOL MAGGIORE PER
PIANOFORTE E ORCHESTRA
Sono da far
risalire al 1929 i primi
progetti di Ravel relativi a
un concerto per pianoforte e
orchestra. Assai presto il
proposito si sdoppiò in due
differenti realizzazioni:
una che, a causa delle
richieste del pianista
austriaco Paul Wittgenstein
(che aveva perso il braccio
destro nel corso della prima
guerra mondiale), si
concretò nel Concerto in
re maggiore per la sola
mano sinistra (1930) e
l'altra, il Concerto in
sol maggiore, la cui
stesura si protrasse fino al
1931. Quest'ultimo concerto
ebbe la sua prima esecuzione
pubblica a Parigi, presso la
Salle Pleyel, il 14 gennaio
1932. La direzione era
affidata allo stesso autore,
mentre al pianoforte ebbe
modo di esibirsi Marguerite
Long, una grande amica di
Ravel a cui era dedicata la
composizione.
Osservati all'interno
dell'intero arco produttivo
del musicista, questi due
concerti assumono il
significato di un vero e
proprio 'ritorno' al
pianoforte che spezza un
silenzio durato circa dieci
anni, durante i quali Ravel
non aveva dedicato nessun
lavoro a questo strumento.
Scopo e stimolo
dell'operazione era
l'approfondimento, sulla
base di nuove conquiste
musicali, delle relazioni
tecnico-espressive tra la
scrittura del solista e
quella dell'orchestra. Ma
lasciamo la parola allo
stesso Ravel che nel 1932,
durante una intervista
concessa al Daily Telegraph
di Londra, ebbe modo di
riferire anche le ragioni e
i caratteri fondamentali del
Concerto in Sol maggiore: «È
un concerto nel senso più
esatto del termine, ed è
scritto nello spirito di
quelli di Mozart o di
Saint-Saëns. Io penso che la
musica di un concerto possa
essere gaia e brillante e
che non sia necessario che
aspiri alla profondità o che
miri a effetti drammatici.
Si è detto di certi grandi
musicisti classici che i
loro concerti sono concepiti
non per il pianoforte, ma
contro il pianoforte. Per
conto mio considero questo
giudizio perfettamente
motivato. Avevo avuto
l'intenzione, in principio,
di intitolare la mia opera
'Divertissement', poi ho
pensato che non era
necessario, considerando che
il titolo di 'Concerto0 è
sufficientemente esplicito
per ciò che concerne il
carattere della musica che
lo costituisce. Sotto certi
punti di vista il mio
Concerto non è privo di
analogie con la mia Sonata
per violino; contiene
qualche elemento ispirato al
jazz, ma con moderazione».
Il termine 'Divertissement',
usato da Ravel, si risolve
in partitura in una
concezione del Concerto per
pianoforte e orchestra
apparentemente
'disimpegnata' e quasi
'pre-mozartiana'. Sono
soprattutto i tempi estremi
a mostrare una gaia
discorsività tipicamente
francese. La struttura
appare sempre trasparente e
del tutto 'leggibile'
dall'ascoltatore; mentre la
scrittura orchestrale, che
fa ricorso a una compagine
numericamente ridotta, non
supera mai un medio livello
di sonorità. Ma è nel
trattamento della voce del
solista che incontriamo gli
aspetti più attraenti di
questo lavoro. Il
virtuosismo pianistico
diRavel abbandona qui ogni
alone impressionistico per
rivolgersi ad una scrittura
aristocratica e raffinata,
complicata ma
contemporaneamente
essenziale e logica, che
volutamente si riferisce al
minuzioso e cesellato
meccanismo musicale dei
clavicembalisti francesi e
di Scarlatti. Le fugaci
apparizioni di inflessioni
jazzistiche e di
reminiscenze della musica
del folklore basco non fanno
che sottolineare ancora di
più l'originalità
dell'elaborazione
compositiva di Ravel. Il
primo movimento
(Allegramente) siapre con
una succinta Esposizione.
Appare dapprima un tema dal
carattere quasi contadino
che rammenta la musica
popolare basca. Lo
scintillante motivo, esposto
dall'ottavino, si sovrappone
a una serie di arpeggi
bitonali del pianoforte, ed
è poi quasi subito ripreso
dell'intera orchestra. Una
brusca modulazione conduce
alla presentazione del
secondo tema, di carattere
contrastante, proposto dal
solista. Questo secondo
gruppo tematico è formato da
quattro distinti elementi -
l'ultimo è il più esteso -
che si ispirano in maniera
diversa alla musica jazz. Il
successivo Sviluppo è in
buona parte edificato sul
materiale tematico fin qui
esposto. La sezione procede
con lineare chiarezza
formale, anche se
armonicamente incontriamo
una certa audacia e una
particolare varietà di
combinazioni, spesso risolte
con aspre sovrapposizioni
politonali. L'elaborazione
musicale è principalmente
sostenuta dal solista,
mentre del tutto raveliano è
il tambureggiamento ritmico
su cui s'imposta l'intera
sezione. La conclusiva
Riesposizione viene a
chiarire il riferimento al
rituale taglio classico
tripartito del modello
mozartiano. Sono qui
ripercorse, in maniera più
sintetica, tutte le fasi
dell'Esposizione.
Interessanti sono le
multiformi soluzioni dei
rapporti contrappuntistici
tra il pianoforte e gli
strumenti dell'orchestra,
spesso trattati
solisticamente, a cui
vengono via via affidati i
differenti frammenti
tematici. Di particolare
rilievo è la cadenza che
sostituisce e varia l'ultimo
elemento del secondo tema;
mentre la incalzante e
ritmatissima Conclusione si
presenta come una nuova
variazione del primo tema.
Il secondo tempo (Adagio
assai) e dotato di un
carattere nettamente
distinto rispetto agli altri
due movimenti. L'intero
brano è essenzialmente
costruito su una sola idea,
molto sviluppata, che si
libera su un accompagnamento
asimmetrico. È il pianoforte
che subito s'impegna in un
monologo melodico e
malinconico che, a dispetto
della sua 'naturalezza'
costò a Ravel un notevole
sforzo compositivo. Se
vogliamo credere a quanto il
musicista riferì alla Long,
la melodia fu costruita in
maniera molto laboriosa (due
battute per voltal),
gettando continuamente un
occhio al modello del
movimento lento del Quintetto
per clarinetto di
Mozart, dal quale
senzadubbio il brano ereditò
un profondo senso di
semplicità e di serena
meditazione. ll rarefatto e
onirico lirismo cresce su se
stesso fino all'apertura su
di un breve episodio che
separa dalla successiva
esposizione della melodia.
La ripetizione del tema è
affidata al corno, mentre il
pianoforte ricama una serie
di impalpabili arabeschi.
Il terzo tempo (Presto)
ripropone in maniera ancora
più 'spinta' il brillante
virtuosismo del primo
movimento, e lascia meno
spazio alla elaborazione del
materiale tematico proposto,
preso com'è da una frenesia
motoria del tutto
particolare. Il brano
utilizza tre motivi (di cui
solo il terzo ha la presenza
di un vero tema) a cui si
aggiunge un disegno melodico
di spirito jazzistico
(esposto dal clarinetto e
ripreso verso la fine dal
solista). La maniera in cui
sono trattati questi motivi
fa quasi pensare a una forma
molto libera di Rondò.
Infatti ogni elemento
tematico è presentato in
maniera autonoma. Soltanto
al centro del pezzo
incontriamo una
sovrapposizione dei tre
disegni caratterizzata da un
notevole impulso ritmico.
GASPARD
DE LA NUIT
Con Gaspard
de la nuit (1908)
diventa ancora più serrata
la particolare integrazione
raveliana fra narrazione
musicale e oggetto della
descrizione. I tentativi
atti a chiarire i misteri
delle relazioni evocative
tra musica e natura si
indirizzano ora, con maggior
chiarezza, verso il nitore
dell'articolazione musicale,
verso una maggiore
scorrevolezza di un
discorrere distaccato e
tecnicamente minuto. Emerge
adesso ancora di più un
senso di piena ed esuberante
naturalezza. Una qualità che
è paradossalmente il frutto
di un'esigenza compositiva
inflessibile, di una
nevrotica ricerca
dell'errore, della volontà
di mascherare con la
facilità gli sforzi della
creazione musicale. Alla
base di questi risultati
artistici c'è sempre la
padronanza assoluta che
Ravel ha del pianoforte,
posseduto in tutte le sue
tradizionali e nuove
possibilità
fonico-espressive. Una
padronanza che nella pagina
pentagrammata si esprime in
un'ampia sfera di
oscillazioni di stile e di
tecnica. Gaspard de la
nuit porta come
sottotitolo 'trois poèmes
pour piano d'après Aloysius
Bertrand'. Erano stati
infatti gli scritti di
Bertrand (1807-1841), un
letterato romantico del
primo Ottocento, a ispirare
a Ravel la realizzazione di
una delle sue opere più
brillanti e fantasiose. Il
musicista, che aveva una
vera e propria predilezione
per i racconti fantastici,
si era ispirato a tre
differenti scritti di
Bertrand e aveva voluto che
questi testi fossero
impressi in partitura prima
dei corrispondenti brani
musicali che avevano
suggerito.
Sebbene di primo acchito il
lavoro possa apparire nella
sua struttura globale un
tardivo prodotto costruito
sul modello della Sonata
romantica in tre movimenti,
ogni singolo brano che
compone Gaspard de la
nuit esplorain maniera
sconvolgente i confini della
tecnica pianistica, bene
esprimendo il mistero dei
testi di Bertrand. Il primo
pezzo, dedicato ad Harold
Bauer, s'intitola Ondíne.
La ninfa è rappresentata
attraverso il mormorio di
una melanconica melodia,
ascendente e discendente
come le onde del fiume,
ornata da dolci arpeggi e da
evocative armonie. Anche in
Le Gibet (La forca),
dedicata a Jean Marnold, è
l'elemento naturalistico a
fornire i connotati di base
del brano. Ci riferiamo, in
questo caso, a un ostinato
pedale sul si bemolle che
suggerisce il macabro
spenzolare del corpo
dell'impiccato. Il pezzo è
una formidabile sinistra
descrizione a cui bene si
adegua uno stato d'animo
gelido e smarrito. L'armonia
è delle più complesse e
ardue, e sottolinea un senso
di sfumata incertezza. Il
terzo pezzo, dedicato a
Rudolph Ganz, s'intitola Scarbos
uno spirito malvagio della
notte a cui danno
ambiguamente vita due temi.
Il brano, eccezionalmente
espressivo, interpreta il
diabolico soprattutto
attraverso un'energia e un
virtuosismo ritmico
straordinari la cui
esecuzione pone grossi
problemi tecnici
all'esecutore. Non a caso lo
stesso Ravel ebbe a dire del
pezzo: «Io
volevo scrivere un brano che
fosse più difficile di
Islamey» (una composizione
di Balakireff). Anche in
questo caso un apparente
effetto d'irregolarità
incontrollabile è stato
ottenuto da Ravel attraverso
un mascherato e
intransigente studio
compositivo, che traspare
soltanto nelle
raccomandazioni dell'autore
che esortò a rispettare
rigorosamente quanto
scritto.
Massimo
Rolando Zegna
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