ISTITUTO GEOGRAFICO DE AGOSTINI


1 CD - GMD 3/19 - (c) 1990

I MAESTRI DELLA MUSICA









Ottorino RESPIGHI (1879-1936)
Poema sinfonico "I pini di Roma"
22' 48"


- I pini di Villa Borghese
2' 38"

1

- Pini presso una catacomba
7' 30"

2

- I pini del Gianicolo
7' 30"

3

- I pini della via Appia
5' 10"

4

Poema sinfonico "Le fontane di Roma"
14' 50"


- La fontana di Valle Giulia all'alba · La fontana del Tritone al mattino · La fontana di Trevi al meriggio · La fontana di Villa Medici al tramonto
14' 50"

5

Poema sinfonico "Feste romane"
24' 41"


- Circenses
4' 50"

6

- Il Giubileo
7' 46"

7

- L'Ottobrata
7' 00"

8

- La Befana 5' 05"

9





 
Czech Philharmonic Orchestra / Antonio Pedrotti, Direttore - (5-7) House of Artists, Prague: 20/24 September 1971 (1-4) - 13/19 February 1961 (5-9)
 






Manufactured
Tecval Memories SA (Switzerland)

Prima Edizione LP
Supraphon | 1 11 1204 | (p) 1972 - (1-4)
Supraphon | SUA ST 50364 | (p) 1962- (5-9)


Edizione CD
De Agostini | GMD 3/19 | 1 CD - durata 62' 09" | (c) 1990 | ADD

Note
-













Respighi (1-4)


Respighi (5-9)

"I PINI DI ROMA"
Quest'opera, composta tra il 1923 e il 1924, è una delle composizioni più note del nostro autore, cioè del musicista italiano di quegli anni che ottenne maggiori consensi in patria e all'estero. Respighi, profondamente legato alla corrente impressionistica oltre che ad alcuni compositori russi (tra cui Rimsky-Korsakov che conobbe personalmente a Pietroburgo nel 1900), manifesta con chiarezza in questa composizione le sue scelte stilistiche, soprattutto nell'uso sfolgorante dei colori orchestrali. Gli episodi narrati in questo poema sinfonico sono quattro di cui il primo, I pini di Villa Borghese, viene cosi descritto dall'autore: «Giocano i bimbi nella pineta di Villa Borghese: ballano a girotondo, fingono marce soldatesche e battaglie, s'inebriano di strilli come rondini a sera, e sciamano via. Improvvisamente la scena si tramuta...». L'orchestra è scintillante, ricca di numerosi strumenti, e crea suggestioni profonde e intense. Vi si riconosce anche una cantilena infantile sicuramente nota a tutti, Madama Doré, che affiora di tanto in tanto in mezzo al tripudio festoso del sole, del vento, degli uccelli che gareggiano con i bambini lanciando i loro trilli nell'aria.
Il paesaggio muta drasticamente con la seconda scena, Pini presso una catacomba, dove «ecco l'ombra dei pini che coronano l'ingresso di una catacomba; sale dal profondo una salmodia accorata, si diffonde solenne come un inno e dilegua misteriosa
». Timbri cupi aprono l'episodio, lento e maestoso intriso di una sacralità remota e arcana. Il canto, prima lontano, cresce sino a diventare fortissimo: si tratta di una melodia costruita secondo i modi antichi, imperiosa e potente, che scompare a poco a poco.
Il terzo episodio è una scena notturna di ineomparabile bellezza: I pini del Gianicolo. «Trascorre nell'aria un fremito: nel plenilunio sereno si profilano i pini del Gianicolo. Un usignolo canta. L'atmosfera è sognante e rarefatta, il tema affidato al clarinetto è dolcissimo e pieno di grazia. La notte è calda, sensuale, carica di slancio e trepidante di emozioni». Al termine, la registrazione del vero canto di un usignolo si inserisce nell'orchestrache palpita in un pianissimo fremente.
Il quarto e ultimo episodio è I pini della Via Appia. «Alba nebbiosa sulla via Appia. La campagna tragica è vigilata dai pini solitari. Indistinto, incessante, il ritmo d'un passo innumerevole. Alla fantasia del poeta appare una visione di antiche glorie: squillano le buccine e un esercito consolareirrompe, nel fulgore del nuovo sole, verso la via Sacra, per ascendere al trionfo del Campidoglio
». Questa pagina è costruita su di un unico grande crescendo che fa emergere dalle brume nebbiose della campagna un grandioso esercito fantasma e lo conduce verso la glorificazione finale, scandendone il passo marziale con ossessione e dipingendone i fasti con gli occhi resi lucidi dall'emozione. L'enfasi retorica è marcata e questa conclusione, così evidentemente eroica, non può non rimandarci alle ideologie e alle tendenze di pensiero del ventennio fascista.

"LE FONTANE DI ROMA"
Questo poema sinfonico precede di otto anni i Pini di Roma. Scritto nel 1916, contende a quest'ultimo il primato della celebrità. È strutturato in quattro parti e prende spunto da quattro fontane, le più celebri, di Roma, rivisitate con gli occhi della fantasia, pensate nell'ora del giorno in cui le loro caratteristiche principali sono più in armonia con il paesaggio circostante e quando la loro bellezza si manifesta con maggiore intensità creando vivide suggestioni in chi le contempla. La prima parte, ispirata alla Fontana di Valle Giulia alI'alba, descrive un paesaggio campestre, umido e appena illuminato dal chiarore della prima luce del giorno, dove si svolgono scene di vita agreste. Greggi di pecore passano per la campagna in un'atmosfera lontana e rarefatta; le sonorità deboli prevalgono in tutto il pezzo e legni e corni cantano dolci melodie. Squilli improvvisi e violenti, dei corni, ripetuti con insistenza sopra passaggi guizzanti di tutta l'orchestra annunciano poi l'inizio del secondo episodio: la Fontana del Tritone al mattino. L'insieme suona come un segnale gioioso a cui accorrono naiadi e tritoni che a frotte si inseguono e inscenano una danza sempre più vorticosa tra gli spruzzi argentei della fontana. L'orchestra brilla di colori vivaci, sfavillante negli impasti nuovi e nella combinazione di timbri molteplici. Due arpe con il pianoforte e la celesta completano la già nutrita schiera di strumenti in un trillare guizzante, alternato a glissandi 'liquidi' che creano uno spettacolo di grande effetto. Sopra un quieto mareggiare dell'orchestra, appare intanto un tema ieratico e solenne. È Fontana di Trevi al merìggio. L'udiamo eseguito dai legni e poi passare agli ottoni, impadronendosi così di un aspetto decisamente trionfale. Udiamo riecheggiare antiche fanfare: sulla radiosa superficie delle acque passa il carro di Nettuno, trainato da cavallucci marini, cui fanno seguito sirene e tritoni che danno vita a un fantastico corteo. Il tripudio giunge al culmine sottolineato dall'organo che conferisce un'ulteriore dimensione di solennità per poi allontanarsi lentamente accompagnato da squilli ovattati che risuonano in lontananza. L'ultima parte, Fontana di Villa Medici al tramonto, si apre con un tema triste e sommesso eseguito da flauto e corno inglese, su di un accompagnamento flebile e dolcissimo in cui vengono sottolineati i timbri argentei della celesta, delle arpe e del carillon. L'ora del tramonto è gravida di nostalgia, è un momento magico e struggente in cui il ricordo del caldo abbraccio del giorno è ancora troppo recente e con esso il rimpianto, prima di potersi abbandonare alla magia della notte. L'aria è piena di sussulti: bisbigli di uccelli, fruscii di foglie, rintocchi di campane. Tutto vibra di profonda emozione sino a quando scende la notte e con essa la tranquillità delle tenebre.

"FESTE ROMANE"
Siamo nel 1928 e per la terza volta Respighi ricorre alle bellezze di Roma per scrivere il suo nuovo poema sinfonico. Sempre in bilico tra antico e moderno, egli cerca anche qui la 'sua' via all'arte sinfonica, intensamente evocativa, libera e al tempo stesso intrisa di tutto quel materiale sonoro che si è sedimentato nella coscienza musicale di un popolo (come dice Massimo Mila). I suoi tre poemi sinfonici, sin dalla prima esecuzione, divennero difatti popolarissimi proprio perché seducenti per la peculiarità di essere così intensamente italiani oltre che essere così comprensibili a chiunque a causa delle loro radici fondate in un immaginario universale. Con le Feste romane ci troviamo di fronte a un nuovo soggetto. Nel primo poema erano le bellezze architettoniche ad essere il tema, nel secondo, è la natura, e qui è il popolo, anzi, se si potesse dire, il popolaresco, il folklore idealizzato. E, infatti, è proprio al repertorio musicale popolare che Respighi attinge per ricreare questa atmosfera di festositàesteriore, inconsapevole, grandiosa e quasi primitiva. Le sonorità travolgenti, vividissime, giocano un ruolo di grande importanza perche' creano dimensioni spaziali fascinose, ma sono probabilmente più vicine al gusto del pubblico degli anni trenta e anche a quello dei musicisti di quegli anni per essere apprezzate oggi. Infatti Respighi è ora parzialmente caduto in disgrazia e raramente si può ascoltarne la musica in una sala da concerto.
I quattro brani che compongono l'opera, anche questa volta, ci vengono illustrati dall'autore. Circenses (Moderato-Molto Allegro): «Il cielo è torvo sul Circo Massimo, ma la plebe è in festa: 'Ave Neronel' Si schiudono le ferree porte, e vien per l'aria un canto religioso e l'urlo delle belve. La folla ondeggia e freme: impassibile, il canto dei martiri si diffonde, vince, naufraga nel tumulto». Il Giubileo (Doloroso e stanco - Allegro festoso): «I pellegrini si trascinano per la lunga via pregando. Finalmente... appare agli occhi ardenti e alle anime anelanti la città santa: 'Roma, Roma!'. Un inno di giubilo prorompe, e gli risponde lo scampanio di tutte le chiese». L'Ottobrata (Allegro gioioso - Allegretto vivace - Andante lento ed espressivo): «Festa d'ottobre nei Castelli. Poi, nel vespero dolce, trema una serenata romantica». La Befana (Vivo - Tempo di saltarello - Tempo pesante di valzer): «La notte dell'Epifania in Piazza Navona: un ritmo caratteristico di trombette domina il clamore frenetico: sul mareggiare fragoroso galleggiano motivi rusticani, cadenze di saltarello... Il canto rauco dell'ubriaco e il fiero stornello in cui si espande l'anima popolaresca: 'Lassatece passà, semo romanil'
».
A proposito delle didascalie che Respighi appose alle sue musiche, va precisato che furono sempre scritte dopo che le composizioni erano concluse: constatazione assai importante per capire come il compositore partiva sì da uno stimolo visivo, da un ricordo, ma che la creazione musicale era opera della sua fantasia allo stato puro. La reminiscenza della realtà che aveva fornito lo spunto alla creazione riaffiorava cioè solo dopo che la materia artistica aveva preso forma riannodando quei fili che tengono sempre legate le opere della mente agli avvenimenti. Penetrare, anche solo superficialmente questo grave problema della creazione artistica, acquista un significato particolare nel caso di Respighi, oggetto di feroci critiche da parte di chi sentiva nella sua opera troppe citazioni, quasi un eccesso di onomatopee. Egli invece, come scrive Mila:
«Non esprime tanto se stesso direttamente, quanto piuttosto si esprime attraverso la propria visione del mondo esterno: l'essenza della sua poesia consiste nella sensuale reazione sonora del suo spirito che si espande molteplice sul mondo circostante, intento a ricostruire paesaggi, quadri, scene naturali, momenti di storia, opere d'arte e opere di vita».
Maria Luisa Merlo