ISTITUTO GEOGRAFICO DE AGOSTINI


1 CD - GMD 4/9 - (c) 1990

I MAESTRI DELLA MUSICA









Luigi CHERUBINI (1760-1842)
Sinfonia in Re maggiore
31' 09"


- Largo
11' 14"

1

- Larghetto
9' 55"

2

- Minuetto
4' 00"

3

- Allegro assai
5' 50"

4
Mauro GIULIANI (1781-1829) Concerto per Chitarra e Archi in La maggiore

27' 48"


- Allegro maestoso
13' 35"

5

- Siciliana
6' 37"

6

- Polonaise
7' 36"

7





 
Prague Chamber Orchestra / Jiri Ptacnik, Direttore - (1-4)
Supraphon Studios, Prague - 1969
Janacek Chamber Orchestra / Vladimir Mikulka, Chitarra / Jiri Pinkas, Direttore - (5-7) "Husuv sbor" Church in Slezska Ostrava - 29 October / 2 November 1979
 






Manufactured
Tecval Memories SA (Switzerland)

Prima Edizione LP
Supraphon | 1 10 0568 | (p) 1969 - (1-4)
Supraphon | 1110 2700 | (p) 1980 - (5-7)


Edizione CD
De Agostini | GMD 4/9 | 1 CD - durata 58' 57" | (c) 1990 | ADD

Note
-













Cherubini (1-4)


Giuliani (5-7)

CHERUBINI  - SINFONIA IN RE MAGGIORE
Quando Cherubini si accinse ad affrontare una materia musicale perlui del tutto nuova, come la sinfonia, sapeva già di avere la possibilità di farla eseguire, e di disporre di quell'appoggio morale che è fondamentale per un esordio. Infatti Muzio Clementi aveva fondato due anni prima, nel 1813, la Royal Philharmonic Society che difatti nel 1815 presentò a Londra il lavoro di Cherubini. Il grande musicista italiano vi aveva lavorato due mesi appena, avendola iniziata in marzo e conclusa il 24 aprile. Le notizie relative a quest'opera sono comunque contradditorie: chi parla di notevole successo, chi invece afferma che passò del tutto inosservata; queste interpretazioni, secondo il nostro parere, sono dovute al fatto che Cherubini si cimentò con il genere sinfonico in questa unica occasione, che questo 'esperimento' non ebbe seguito e, soprattutto, perché egli era un musicista alla ricerca di una propria collocazione all'interno di quel complesso periodo storico, a cavallo tra due mondi, quando cioè dalle rovine del Classícismo stava nascendo una nuova epoca. A questo dobbiamo aggiungere che il predominio incontrastato della scuola austro-germanica nel genere sinfonico costringeva chiunque si accingesse a scrivere musica di quel tipo, a fare i conti con Haydn e Mozart; da qui la consuetudine, peraltro assai riduttiva, di considerare Cherubini epigono ora dell'uno e oradell'altro dei due grandi sinfonisti austriaci. Senza dubbio la materia del tutto nuova deve aver creato al nostro non poche difficoltà, e quindi l'aver adottato il rigore formale più ortodosso deve essere stato per lui un modo per sentirsi rassicurato rispetto agli esiti della sua fatica. Non è, questa sua sinfonia, un'opera immediata: sembra restia a rivelarsi nelle sue più intime bellezze e si manifesta poco alla volta, solo dopo numerosi ascolti, anche se il tema del primo Allegro è fresco e giocoso, paragonabile a Paisiello e a Cimarosa, testimoniando come possono convivere, nella stessa opera, anche momenti di immediatezza narrativa. E il contrasto tra stati d'animo opposti è l'anima di tutta l'opera con quei rapidi passaggi da una famiglia orchestrale all'altra, il muoversi fantasiosamente all'interno di uno schema che proprio allora cominciava ad ampliarsi e a impossessarsi di zone primatotalmente precluse. Ne può essere un esempio quell'episodio del primo tema, teso e nervoso, che in parte può essere considerato precursore dei 'pensieri fissi' tematici o l'apparente frammentarietà del discorso nel Larghetto che si inceppa volutamente pur mantenendo 'una superiore unità didisegnò come afferma in un suo studio il noto musicologo Giulio Confalonieri. Lo Scherzo Allegro assai è ironico e burlesco, giocato tra la paura e la risata, il brivido e lo sberleffo mentre il Finale celebra la conclusione gloriosa e festante con una corsa a perdifiato, decisa e virile. Schindler si riferì a una esecuzione avvenuta a Francoforte della sinfonia con questeparole: «Successo non strepitoso, ma pur caldo e riconoscente le bellezze dell'opera». Un altro, ma ignoto critico germanico, parlò di questo lavoro con altrettanto apprezzamento: «Se nelle sinfonie del “Patriarca” [Haydn] c'è più humor, in questa del fiorentino c'è una più grande immaginazione». Schumann stesso, estimatore del maestro italiano, si doleva della poca considerazione in cui questi era tenuto ai suoi tempi. Nel nostro secolo la Sinfonia in re maggiore venne riesumata per opera di Joseph St. Winter che la trascrisse per farla pubblicare presso la Musikwissen Schaftlicher di Lipsia nel 1935. Da allora ha goduto di maggior fortuna: Arturo Toscanini la volle dirigere negli Stati Uniti per festeggiare il proprio ottantesimo compleanno e Adriano Lualdi, compositore e direttore d'orchestra scomparso nel 1971, la incise con la sua orchestra e sue sono le parole che ne tratteggiano le caratteristiche salienti con l'enfasi che caratterizza la critica musicale di quegli anni: «L'importanza eccezionale di questa composizione sta, oltre che nel suo grandissimo valore artistico, nel fatto che essa è l'unica Sinfonia italiana degna di stare a fronte della ricchissima produzione sinfonica austriaca e germanica di quell'aureo periodo, affermando essa, anche in questo campo specialissimo, la stupenda grandezza dell'arte italiana e del Cherubini in particolar modo il quale prende le mosse dagli
esponenti del più puro classicismo. Ma, ed è qui che si manifesta la sua forte personalità, le sue forme melodiche così spontaneamente ricche e fiorite, la mirabile scioltezza del suo contrappunto, la forza drammatica, la ricchezza armonica, la squisita sensibilità di alcuni particolari, il latino leggero umorismo di alcuni passi danno all'insieme dell'opera uno schietto carattere di italianità e di originalità rispetto alla produzione contemporanea, e una grandezza di modello degna di essere imitata, come fu poi imitata largamente, rispetto alla produzione posteriore».

GIULIANI - CONCERTO PER CHITARRA E ARCHI
È comprensibile come nella nostra raccolta l'unico brano presente di Mauro Giuliani sia un concerto per chitarra, lo strumento che il compositore pugliese amò di più. Non fu però, questo, il primo strumento a cui si accostò: difatti venne avviato bambino agli studi del contrappunto e del violoncello, ma quando conobbe la chitarra, che all'inizio del diciannovesimo secolo contava in Italia numerosi virtuosi (quali Agliati, Carulli, Gragnani e Nava) Giuliani vi si dedicò totalmente sentendola intimamente legata alla sua sensibilità.
Nel 1806 il musicista si stabilì a Vienna, dove divenne ben presto il più famoso chitarrista esistente. La sua attività di insegnante, esecutore e compositore divenne a Vienna sempre più intensa e febbrile: compose più diduecento opere per chitarra, dove introdusse anche nuove tecniche, prendendole, in alcuni casi, in prestito dalla notazione violinistica, per poter distinguere le diverse parti del discorso musicale, quali la melodia principale, il basso e le linee melodiche intermedie.
La vita musicale viennese poté in molte occasioni contare sull'intelligente presenza del nostro autore come avvenne l'8 dicembre del 1813 quando, in una giornata memorabile, venne eseguita per la prima volta la Settima sinfonia di Beethoven e tra gli orchestrali sedettero i maggiori talenti musicali che vivevano allora nella capitale austrica: Mayseder, Hummel, Spohr e
Giuliani che, per l'occasione, imbracciò il violoncello. La sua carriera continuò sino a raggiungere una delle più importanti onorificenze del tempo, quella di “virtuoso onorario di camera” che gli fu conferita nel 1814 dalla duchessa di Parma, Maria Luisa, seconda moglie di Napoleone Bonaparte.
Il suo ritorno in Italia, nel 1819, lo vide prima a Roma, poi a Napoli sino alla morte, avvenuta nel 1829, dove visse sostenuto e protetto dalla nobiltà di corte del regno delle due Sicilie. Va ricordato, inoltre, che Giuliani ebbe due figli, entrambi musicisti e dotati di notevole talento: Michele, che divenne maestro di canto e prese il posto che fu di Manuel Garcia presso il Conservatorio di Parigi, ed Emilia, che fu una famosa virtuosa del medesimo strumento paterno, oltre che compositrice. Di lei ricordiamo, in particolare, la Raccolta di preludí op. 46, molto conosciuta e apprezzata. Il Concerto per chitarra e archi, scritto da Mauro Giuliani, risale al periodo viennese e venne eseguito per la prima volta nell'aprile del 1808, con grande successo di pubblico. L'amore di Giuliani per il suo strumento traspare in ogni battuta: tutto è costruito per esaltare le eleganti sonorità della chitarra, per darle lo spazio necessario per brevi cadenze e per prolungare, quando necessario, quei suoi suoni troppo brevi, con l'aiuto delle arcate dei violini. Gli archi, infatti, sostengono l'esile pizzicato della chitarra, ma non ne coprono mai gli attacchi per non rovinare la sottile poesia di questo suono che nasce da una sollecitazione secca e brevissima. Il primo movimento è pacato e sereno, e propone immagini di solare appagamento, dove solista e orchestra d'archi ora si fondono, ora si alternano, creando effetti di quieta beatitudine. L'atmosfera si fa appena velata nel secondo movimento, Andantino siciliano, dove la chitarra tocca le corde del più intenso e profondo lirismo. Il tema è intriso di sonorità calde e toccanti e mostra, sin dalle prime battute, tutto il suo carattere “meridionale”. Il terzo e ultimo movimento, alla polacca, è caratterizzato dal ritmo fiero e baldanzoso di questa danza popolare. Orchestra e chitarra, spesso insieme, scandiscono con energia le note festose e virili di questa pagina dove l'idea principale troneggia luminosa e fulgente, attorniata da altri incisi più dimessi ma splendidamente tratteggiati. La chitarra riesce a essere più incisiva con sonorità vibranti, secche, e i bruschi arpeggi che punteggiano l'esecuzione del tema principale risultano estremamente efficaci nel far risaltare la peculiarità di questo strumento, a torto considerato povero di effetti. È proprio ascoltando questa composizione di Giuliani che si percepisce intensamente come l'autore sia profondamente in possesso dell'idioma del suo strumento e voglia ottenere da esso sempre il meglio, non forzandolo mai e trasformando le sue limitazioni “fisiologiche” in pregi. Basti pensare alle brevissime cadenze che vengono distribuite lungo tutto il concerto, piccole aiuole fiorite, dove la chitarra può effondere tutto il suo fascino, e che risulta così godibile proprio per la brevità dei suoi interventi che, altrimenti, risulterebbero ripetitivi e poco interessanti. Giuliani sa che la chitarra non è un pianoforte, non è uno strumento da grandi adunate e proprio per questo vuole che la sua natura intima e raccolta non venga alterata da un discorrere magniloquente come il concerto potrebbe indurre a scrivere.
Maria Luisa Merlo