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1 CD -
GMD 4/10 - (c) 1990
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I MAESTRI DELLA
MUSICA
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Giovanni
PAISIELLO (1740-1816)
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Concerto per
Pianoforte e Orchestra in Fa
maggiore |
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18' 46" |
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1 |
Gaetano DONIZETTI (1797-1848)
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Quartetto per
Archi N. 5 in Mi minore |
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16' 09" |
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2 |
Vincenzo BELLINI (1801-1835)
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Concerto per
Oboe e Orchestra in Mi maggiore
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7' 44" |
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3 |
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Orchestra
Sinfonica di Torino / Felicia
Blumental, Pianoforte / Alberto
Zedda, Direttore - (1)
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1968 |
Quatuor de
Genève (Régis
Plantevin, Mireille Mercanton, Violini
/ André Vauquet, Viola / François
Courvoisier, Violoncello) - (2)
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March
1976 |
The Genève
Baroque Orchestra / Heinz Holliger, Oboe
/ Jean-Marie Auberson, Direttore -
(3) |
1965 |
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Manufactured |
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Tecval
Memories SA (Switzerland) |
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Prima Edizione LP |
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Concert Hall
| SMS 2673 | (p) 1968 - (1)
Concert Hall | SMS 2952 |
(p) 1977 - (2)
Concert Hall | SMS 2360 |
(p) 1965 - (3)
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Edizione CD |
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De
Agostini | GMD
4/10 | 1 CD - durata 42'
40" | (c) 1990 | ADD |
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Note |
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Paisiello
(1)
Donizetti
(2)
Bellini
(3)
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PAISIELLO
CONCERTO
PER CLAVICEMBALO E
ORCHESTRA IN FA MAGGIORE
Questo
concerto, qui presentato in
una versione con un
pianoforte nel ruolo del
clavicembalo, risale al
periodo che va dal 1780 al
1783, cioè quando Giovanni
Paisiello si trovava in
Russia al servizio
dell'imperatrice Caterina II
con la carica di direttore
musicale (1776-1783). Il suo
contratto triennale, poi
rinnovato per ben due volte,
prevedeva che Paisiello
dovesse <<
comporre tutte le opere, le
cantate e le feste teatrali
ordinate dalla corte, e
dirigere l'orchestra non
soltanto in teatro ma anche
nei concerti da camera di
Sua Maestà».
Il Concerto è strutturato in
tre movimenti secondo la
successione agogica, molto
ricorrente nel Settecento,
che racchiude un tempo lento
tra due movimenti veloci. La
prima parte è aperta da una
lunga introduzione
orchestrale che mette subito
in risalto le qualità
coloristiche dell'organieo,
arricchito da due flauti e
da due corni. Oltre al clima
galante, il lavoro evidenzia
subito la tipica
strutturazione barocca dei
concerti solistici, composta
dall'alternanza tra gli
episodi affidati
all'orchestra e gli
interventi del pianoforte.
In questo caso, però,
l'organizzazione formale
viene complicata da un
continuo e incessante
incastro tra una serie di
brevi incisi, via via
affidati a impasti
strumentali differenti, che
arricchiscono ulteriormente
la composizione di una
spiccata esuberanza
timbrica. Molto affascinante
è il secondo movimento tutto
giocato in un ambito
espressivo di estrema
dolcezza, e inspessito dal
morbido accompagnamento
degli archi, mentre l'ultimo
riconduce la composizione in
un clima di accesa
luminosità che sprigiona una
gioiosità ariosa in cui
hanno ancora modo di farsi
ascoltare le colorate voci
dei fiati.
DONIZETTI
QUARTETTO
PER ARCHI N. 5 IN MI
MINORE
Dopo Gioacchino Rossini,
Donizetti è l'operista
italiano dell'Ottocento che
più si è interessato di
musica strumentale mostrando
un certo impegno
compositivo. All'interno di
questa particolare
produzione donizettiana, che
annovera, tra l'altro, anche
sedici sinfonie e numerosi
pezzi cameristici, spicca il
repertorio quartettistico
per soli archi, composto da
una ventina di lavori, che
appare il genere strumentale
che Donizetti ha trattato
con più costanza. A parte
gli ultimi due (risalenti al
1825 e al 1836, quando ormai
il compositore si era
affermato in campo
operistico), tutti gli altri
quartetti di Donizetti
risalgono agli anni che
vanno dal 1817 al 1821, cioè
al periodo che segue
direttamente il ritorno a
Bergamo del musicista, che
per alcuni anni ne era stato
lontano per studiare al
liceo musicale di Bologna.
Queste composizioni erano
eseguite familiarmente nel
corso delle riunioni
settimanali che si
svolgevano nel salotto del
dilettante di violino
Alessandro Bertoli e alle
quali partecipava un gruppo
di amici intimi,
appassionati delle pagine
cameristiche, soprattutto
per quelle di Mozart e di
Haydn. Non era raro che ai
violini si esibissero il
Bertoli e lo stesso
Donizetti, mentre alla viola
si poteva ascoltare Giovanni
Simone Mayr (a quel tempo
maestro di cappella in Santa
Maria Maggiore) un
personaggio molto attivo
nell'ambiente musicale di
Bergamo e che aveva avuto il
merito di scoprire per primo
il talento artistico del
giovane Donizetti.
I quartetti di Donizetti
furono però ben presto
dimenticati (o, forse,
sarebbe meglio dire che non
furono mai scoperti appieno)
anche se costituiscono il
repertorio di questo modello
musicale più ampio e
importante dell'Ottocento
italiano e anche se si
nutrono della lezione
classica di Mozart e di
Haydn. All'arte di questi
due grandi austriaci, così
amati nell'ambiente musicale
bergamasco, Donizetti fu
avvicinato dall'amico
Bonesi, suo condiscepolo
alle lezioni di Mayr, ma
successivamente, e per tanto
tempo ancora, il musicista
la studiò a fondo con
l'intento di scoprire il
mistero creativo che ne
definiva la classicità e,
senza dubbio, questo studio
contribuìnotevolmente anche
alla riuscita dei suoi
stessi lavori teatrali.
Anche nella produzione
quartettistica di Donizetti
è riconoscibile il desiderio
di piegare i temi e le
proposte che scaturiscono
dal sentimento e
dall'emozione a un disegno
cantabile, una ricerca
effettivamente in linea,
tral'altro, con una certa
visione musicale tipica
della borghesia italiana.
Ciò naturalmente non toglie
che nei suoi quartetti
Donizetti si ponesse il
problema del linguaggio del
quartetto, così familiare,
ma, nello stesso tempo, così
intimo e impegnato, quasi
che l'espressione si
rivolgesse non più
all'esterno, ma all'interno,
al cuore dello stesso
autore, proponendo una
disposizione artistica
attiva, basata su una forte
propensione
all'assimilazione di esempi
nobili e al distacco da ogni
inerte accademismo.
In qualsiasi caso, anche nei
quartetti incontriamo quella
stessa ansietà di 'far
presto', di lavorare in
fretta, che è riscontrabile
nelle più alte riuscite
operistiche di Donizetti e
che in questo repertorio
cameristico conduce l'autore
a concentrarsi soprattutto
sulla ricerca di una
fluidità e di una
disinvoltura di discorso,
per tralasciare, in parte,
maggiori riflessività
compositiva e
approfondimenti delle
questioni e delle
corrispondenze formali. Già
nel primo tempo del Quartetto
n. 5 in mi minore si
può notare la ricerca di una
certa agilità semplicistica
che conduce spesso Donizetti
a ridurre il discorso a due
o tre parti e a strutturare
il movimento in maniera
monotematica, favorendo un
contesto emotivo e
compositivo immediato e non
troppo meditato.
Interessante è il ruolo
solistico assunto con una
certa ricorrenza da un
violino, spesso impegnato in
una scrittura virtuosistica
ricca di accenti operistici
che intesse di fili d'oro la
trama musicale di tutto il
lavoro. La forma, nel suo
insieme, appare elastica ma
mai estemporanea,
l'intreccio delle voci non è
mai troppo denso e complesso
e lo stesso approfondimento
spirituale sembra
arrestarsi, con molta
nobiltà, su un piano
melodico e brillante di
ottimo equilibrio. Nel
secondo tempo Donizetti si
stabilizza, all'inizio, in
una situazione più
equilibrata sia formalmente
sia sentimentalmente ma, via
via, il canto si apre sempre
più convinto a un certo
clima da romanza,
nobilissimo ma serenamente
salottiero, che vive anche
un misurato desiderio di
divertirsi in compagnia. Il
terzo tempo è tripartito. Le
due sezioni laterali sono
contraddistinte da un inciso
scattante, quasi un segnale
di richiamo, ripetuto più
volte in modi e su piani
differenti. La parte
centrale, brevissima, appare
ancora più vigorosa e nel
contempo gioiosa. Il quarto,
e ultimo, tempo si apre con
una gestualità robusta che
acquista velocità, esibendo,
contemporaneamente, una
certa tensione sonora che
mai però appare vissuta fino
in fondo in tutta la sua
drammaticità. Gustosissima è
la sezione intermedia che si
dipana in un severo
intreccio fugato e che
conduce a una ripresa dei
chiaroscuri dell'inizio.
BELLINI
CONCERTO
PER OBOE IN MI BEMOLLE
MAGGIORE
Bellini mostrò
molto presto uno spiccato
talento musicale: a cinque
anni suonava il pianoforte,
a sei elaborò il suo primo
lavoro, a sette iniziò a
dedicarsi con assiduità alla
composizione, soprattutto di
ariette e di piccoli lavori
strumentali, dedicati ai
salotti catanesi di cui
divenne presto il beniamino
tanto che, nel 1819, ottenne
una borsa di studio che gli
permise di andare a studiare
al Conservatorio di Napoli.
Qui, nel 1822, entrò nella
classe di Nicola Zingarelli
che gli fece studiare i
maestri della scuola
napoletana e che lo spinse a
privilegiare una chiara e
cantabile melodia, espressa
il più semplicemente
possibile. Durante questo
periodo, soprattutto dopo il
1822 e prima del 1825,
Bellini scrisse numerosi
lavori di musica sacra e
strumentale mentre,
contemporaneamente, stava
lavorando ad alcune romanze
e al suo primo melodramma,
intitolato Adelson e
Salvini, un'opera
semiseria che andò in scena
nel 1825 nel teatrino del
Conservatorio. Di tutte
queste esperienze risente
anche questo Concerto
per oboe in mi bemolle
maggiore databile,
appunto, a quei primi anni
della carriera musicale di
Vincenzo Bellini.
Il lavoro si divide in due
soli movimenti. Il primo
tempo si apre con uno scatto
brillante che individua
subito una ambientazione
luminosa e cerimoniale, mala
sezione è subito spezzata,
come se si trattasse di un
vero e proprio sipario.
Tanto è vero che subito dopo
attacca un mormorio degli
archi estremamente
d'atmosfera su cui si
sovrappone il canto dolce e
appassionato dell'oboe
solista, memore di una certa
cantabilità napoletana e
delle esperienze operistiche
dell'autore. Anche nel
secondo tempo Bellini
esibisce alcune
caratteristiche
melodico-virtuosistiche
tipiche del teatro
operistico, concentrate
soprattutto nell'evoluzione
psicologica del solista,
trattato quasi come se fosse
il personaggio di un
melodramma.
Massimo
Rolando Zegna
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