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1 CD -
GMD 4/18 - (c) 1990
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I MAESTRI DELLA
MUSICA
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Aleksandr
SKRJABIN (1872-1915)
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Poema
dell'Estasi, Op. 54 |
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19' 05" |
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1 |
Ernest
CHAUSSON (1855-1899) |
Poema
per Violino e Orchestra, Op. 25 |
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16' 22" |
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2 |
Gabriel
FAURÉ (1845-1924) |
Quartetto
per Pianoforte, Violino, Viola e
Violoncello in Do minore, Op. 15 N. 1
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32' 05" |
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- Allegro molto
moderato
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10' 13" |
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3 |
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- Scherzo
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6' 00" |
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4 |
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- Adagio |
7' 14" |
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5 |
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- Allegro molto
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8' 38" |
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6 |
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Huston
Symphony Orchestra / Leopold
Stokowsky, Direttore - (1)
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1959 |
Radio Geneva
Symphony Orchestra / Gianfranco
Riuvoli, Direttore
- (2) |
1955 |
Claude Helfer,
Pianoforte / George Tessier,
Violino / Pierre Ladhuie, Viola
/ Roger Albin, Violoncello - (3-6) |
1956 |
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Manufactured |
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Tecval
Memories SA (Switzerland) |
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Prima Edizione LP |
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Everest |
SDBR 3032 | (p) 1959 - (1)
Concert
Hall | SMS 2250 |
(p) 1955 - (2)
Le Club Français du
Disque | 8 | (p)
1956 - (3-6)
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Edizione CD |
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De
Agostini | GMD
4/18 | 1 CD - durata 67'
50" | (c) 1990 | ADD |
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Note |
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Skrjabin
(1)
Chausson
(2)
Fauré
(3-6)
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SKRJABIN -
POEMA DELL'ESTASI, OP.
54
Nel 1904
Alexandr Skrjabin
abbandonò la Russia per
trasferirsi prima in
Svizzera, poi in Italia,
quindi negli Stati Uniti
e, per finire, dal 1908, a
Bruxelles. Il suo ritorno
in Russia è datato 1910.
Proprio in corrispondenza
con questo periodo di
viaggi e di trasferimenti
il compositore sviluppò un
forte interesse per alcune
idee filosofiche e
mistiche di origine
orientale che avevano già
da qualche tempo coinvolto
alcune frange del
Simbolismo russo.
La personalità visionaria,
il temperamento febbrile
incline alla
contemplazione, il
desiderio e l'ansia di
magniloquenza e grandezza
e l'ossessionata
attrazione per le
esperienze estatiche e
mistiche di stampo
filosofico indiano si
concretizzano in Skrjabin
nel Poema dell'estasi,
il lavoro forse più
celebre e significativo
del compositore russo. La
gestazione e la stesura
della partitura furono
abbastanza controverse e
occuparono il musicista
dal 1905 fino al 1908; ma
altrettanto interessante è
la contemporanea redazione
da parte di Skrjabin di un
poema letterario
dall'identico titolo che
venne pubblicato a Ginevra
nel 1906. Nei 369 versi di
questo scritto si
intrecciano in maniera
esaltata tematiche
mistiche, orientali,
filosofiche, esoteriche e
lo stesso esempio del
pensiero di Nietzsche ma,
in qualsiasi caso, questo
lavoro non è tanto da
considerarsi come una
traccia, un programma, che
avrebbe guidato la omonima
composizione musicale,
quanto un'altra occasione
artistica per affrontare,
da un diverso punto di
vista, la stessa materia
tematica che in quel
periodo interessava
profondamente la ricerca
intellettuale dell''uomo'
Skrjabin. Il concetto
centrale di questo scritto
è quello già ricorrente
nelle antiche discipline
alchemiche e iniziatiche,
cioè l'ascesa
intellettuale e sensitiva
dell'uomo alla piena
conoscenza - al di sopra
di qualsiasi limite di
tempo e di spazio - di
tutte le segrete leggi
dell'Universo, fino alla
totale coincidenza con la
figura stessa di Dio. In
particolare modo secondo
la visione di Skrjabin,
questa identificazione con
l'entità suprema avviene
proprio su un piano per
così dire 'artistico':
come Dio il musicista è in
grado di comprendere e,
all'occorrenza, 'creare'
un cosmo, perfetto e
autosufficiente. Così
l'esperienza
musicale-compositiva del Poema
dell'estasi vorrebbe
riprodurre nella sua
interezza un microcosmo
musicale realizzato
eliminando ogni mediazione
'artigianale' tra
concepimento intellettuale
e sensazione sonora e nel
quale, come in una 'sacra
rappresentazione', sia
raffigurata, in un
suggestivo passaggio
dall'oscuro magma cosmico
alla luce accecante
dell'affermazione della
tonalità, la conquista di
uno stato d'estasi, di una
comprensione e di una
sensazione totale
dell'universo.
Nella pratica, però, la
partitura di Skrjabin, al
di là di ogni mistica
visionarietà, risulta
costruita su precisi
procedimenti formali.
Riconoscibilissima, ad
esempio, è la
tripartizione tipica della
forma-sonata ottocentesca,
a cui segue una vera e
propria coda, nella quale,
con un pedale di do
maggiore di ben 53
battute, si afferma il
raggiungimento della
tonalità.
CHAUSSONS
POEMA IN MI BEM. MAGG.
PER VIOLINO E
ORCHESTRA, OP. 25
Ernest
Chausson è stato una
personalità artistica
decisiva per lo sviluppo
musicale francese
post-romantico, di cui,
senza alcun dubbio, si può
considerare come uno dei
più importanti esponenti,
vero precursore delle
composizioni di Debussy.
Dopo un'infanzia isolata e
ovattata, trascorsa tra il
collegio e la ferrea
educazione di un
precettore, Chausson
divenne presto un
frequentatore dei circoli
letterari e musicali
parigini, espressione di
una borghesia colta e
raffinata. Per dieci anni
fu segretario della
Société Nationale de
Musique a cui diede
notevole impulso
programmando e
organizzando l'esecuzione
di numerose opere musicali
di compositori francesi
contemporanei. Il suo
stesso salotto divenne un
importante e abituale
punto di incontro
dell'élite intellettuale
della capitale francese;
vi si riunivano infatti
personaggi di primo piano
e, in particolar modo,
poeti, letterati
(Mallarmé) e musicisti
(Chabrier, d'lndy, Fauré,
Debussy, Dukas, Albéniz,
Cortot). Nell'ambito di
questo ininterrotto
dibattito artistico
Chausson intervenne
concretamente con una
personalità contemplativa,
non priva di esitazioni,
ma fortemente critica con
se stesso e ampiamente
nutrita da una ispirazione
immaginifica che nei
principi compositivi
risentiva dell'esempio di
Franck e dello stesso
Wagner.
Dalla stessa situazione
culturale di questi
salotti deriva ovviamente
la prima ispirazione del Poema
per violino e orchestra
opera 25 di
Chausson. Il lavoro,
progettato già nel 1892,
ma finito soltanto quattro
anni dopo, aveva
inizialmente il titolo di
II canto dell'amore
trionfante che si
riferiva a un racconto
dello scrittore russo Ivan
Turgenev, anch'egli molto
noto a Parigi in quegli
anni proprio perché
frequentava con una certa
assiduità il salotto della
celebre cantante Pauline
Viardot. Col procedere
della composizione
Chausson lasciò cadere
questo titolo così
preciso, mantenendo però
il riferimento alla forma
del poema sinfonico che, a
dire il vero, per
tradizione presupponeva la
presenza di un 'programma'
descrittivo. Ma il
musicista, al contrario,
rifiutò di seguire in
questa composizione una
narrazione illustrativa e
si affrettò ad affermare
che «non si tratta di una
descrizione, non c'è
storia, si tratta solo di
sensazioni». E in effetti
all'ascolto si può notare
che la partitura segue
semplicemente l'intenzione
di ritrarre un'atmosfera
poetica in cui spicca un
aggraziato lirismo e una
musicalità raffinatissima
che mirano al massimo
della comunicatività. Il Poema
testimonia
l'allontanamento di
Chausson dalle sue
realizzazioni giovanili
(che peccano di una
eccessiva ricerca
dell'effetto e di una
palpabile aleatorietà) e
il definitivo
raggiungimento di una
originale personalità
artistica, sicura nel
linguaggio, spontanea
nella sensibilità musicale
e che non rinuncia - ma
con molta saggezza - a
riecheggiare un certo
cromatismo di derivazione
wagneriana. La stessa
struttura formale della
composizione esibisce
un'intreccio di relazioni
tutt'altro che ingenuo che
si richiama sottílmente
sia alla forma libera di
una rapsodia per violino
solo e orchestra, sia alla
tripartizione tipica del
concerto solistico e sia
alla stessa suddivisione
della forma-sonata; tutto
ciò è concentrato in un
ascolto di poco più di un
quarto d'ora grazie,
soprattutto, a una eccelsa
abilità tecnica di
costruzione della
partitura che ha innestato
nel lavoro tutta una serie
di raffinate ricorrenze
formali. Ammirevole e del
tutto personalissimo è lo
slancio lirico e melodico,
sempre estremamente
soppesato anche se nutrito
di un certo empito
romantico, in cui si può
riconoscere una continua
venatura melanconica,
frutto dei lunghi e
solitari anni
dell'adolescenza di
Chausson.
FAURÉ
QUARTETTO
IN DO MIN. PER
PIANOFORTE, VIOLINO,
VIOLA E VIOLONCELLO,
OP. 15
Il Quartetto
in do minore per
pianoforte, violino,
viola e violoncello
opera 15 è una
importante testimonianza
della prima fase creativa
di Gabriel Fauré. La
stesura, infatti, è da far
risalire agli anni che
vanno dal 1876 al 1879,
anche se il lavoro subì
una revisione da parte
dello stesso autore nel
1883. Il quartetto,
dedicato a Hubert Leonard,
venne stampato per la
prima volta a Parigi nel
1879 (la revisione curata
di Fauré sarà invece
pubblicata nel 1884).
L'organico strumentale
scelto dal musicista
riflette la rilevante
importanza che Fauré diede
al pianoforte nel corso di
tutto il suo itinerario
artistico (tanto è vero
che nella storia della
musica il compositore
francese svolge un ruolo
determinante proprio con
le sue realizzazioni
cameristiche), infatti in
partitura il pianoforte
viene a sostituirsi a uno
dei due tradizionali
violini, mutando
sìgnificatamente
l'originale equilibrio di
questo genere di
composizione. Abbastanza
interessante è notare
anche come nella sequenza
dei quattro tempi che
sviluppano la composizione
lo Scherzo abbandoni la
sua usuale terza posizione
per anticipare il tempo
lento. Cosicché
l'ascoltatore segue in
successione un Allegro
molto moderato (il
movimento più ampio del
quartetto), uno Scherzo,
quindi un Adagio e, per
finire, un Allegro molto.
Come è ricorrente nelle
musiche di questo periodo
iniziale di Fauré anche il
Quartetto in do minore
esprime un sentire ancora
fortemente intriso di
romanticismo che
umoralmente acquista
atteggiamenti sempre nuovi
che oscillano dalla più
intensa passionalità fino
all'espressione
drammatica. La mano del
musicista, comunque,
appare sempre guidata da
una notevole sapienza
tecnica e da una sincera
estroversione che, con gli
anni, lascerà
successivamente posto ad
atteggiamenti più
raffinatamente
introspettivi e
meditativi.
Massimo
Rolando Zegna
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