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1 CD -
GMD 4/23 - (c) 1990
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I MAESTRI DELLA
MUSICA
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Carl ORFF (1895-1982)
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Carmina
Burana |
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15' 19" |
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- Fortuna
imperatrix mundi (n. 1-2) |
5' 07" |
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1 |
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- Primo vere (n.
3-10)
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18' 08" |
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2 |
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- In taberna (n.
11-14)
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8' 48" |
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3 |
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- Cour d'amours
(n. 15-25)
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19' 35" |
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4 |
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Czech
Philharmonic Orchestra / Czech
Singers Chorus / Vaclav Smetacek, Direttore
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House
of Artists, Prague - 26/30 Juni 1961 |
- Milada
Subrtova, Soprano / Theodor
Srubar, Baritono / Mr.
Tomanek, Tenore |
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Manufactured |
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Tecval
Memories SA (Switzerland) |
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Prima Edizione LP |
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Supraphon |
SUA ST 50409 | (p) 1961
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Edizione CD |
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De
Agostini | GMD
4/23 | 1 CD - durata 51'
59" | (c) 1990 | ADD |
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Note |
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Orff
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"CARMINA
BURANA"
Nel 1803, in
Baviera, nel convento
chiamato Benediktbeuren,
fu rinvenuto il
manoscritto originale dei
Carmina burana. Lo
scritto, probabilmente
redatto in Carinzia nella
prima metà del XIII
secolo, raccoglie un'ampia
collezione di composizioni
liriche medievali di fama
internazionale risalenti
all'XI, al XII e al XIII
secolo. Gli scritti -
principalmente in latino,
ma anche in tedesco e in
francese - sono opera di
anonimi letterati erranti
e anche di qualche poeta
celebre, come Ugo
d'Orléans e Gautier de
Chatillon e del
cancelliere di Parigi
Philippe de Grève. Sulla
base della tipica poesia
goliardica medievale,
queste composizioni
uniscono, assai
liberamente, tematiche
religiose, erotiche,
moraleggianti, amorose,
satiriche, epicuree,
primaverili e, alla stessa
maniera, avvicinano
diversissimi stili
musicali: il gregoriano,
le melodie popolari, la
musica dei trovatori.
Sulla base di una
selezione di questi testi,
Carl Orff elaborò nel 1936
i suoi Carmina burana
che sottotitolò 'Cantiones
profanae cantoribus et
choris cantandae
comitantibus instrumentis
atque imaginibus magicis',
chiarendocosì le proprie
intenzioni artistiche: non
tanto ricreare il
multicolore mondo
medievale, quanto
tratteggiare delle
immagini di forte
suggestione, di estasi
magica, alle quali
dovevano contribuire, in
una perfetta combinazione,
il canto, la danza e la
musica. Dal punto di vista
compositivo il lavoro è
caratterizzato da una
inesaurabile energia
vitalistica (ottenuta
soprattutto attraverso gli
svariati effetti
percussivi), dal canto
diatonico a strofe (di
lapidaria semplicità
melodica e declamatoria),
e da un nuovo apparato
strumentale, ricco di
inediti ed educativi
effetti timbrici.
Il lavoro si suddivide in
cinque sezioni di cui la
prima e la quinta hanno la
funzione di incorniciare
la composizione
nell'ambito di una
amarissima considerazione
sulla estrema precarietà
della vita. L'uomo è in
balia della imprevedibile
volubilità della cieca
Fortuna, unica vera
imperatrice dell'Universo
('Fortuna imperatrix
mundi'). Le tre parti
centrali costituiscono
invece un vero e proprio
trittico che, in maniera
analoga a tre pannelli di
un polittico, illustra tre
aspetti della vita
medievale, o meglio, tre
fondamentali e istintivi
poli generatori di quella
propulsione vitalistica
che innerva e comanda
l'esistenza di quella età:
la simbiosi dell'uomo con
la natura e con la
ciclicità delle stagioni,
espressa attraverso la
rinascita primaverile
('Primo vere'); il
desiderio di una sfrenata
abbondanza nel mangiare e
nel bere ('In taberna');
gli impulsi, i dolori e i
piaceri dell'amore carnale
e spirituale ('Cour
d'amours'). La prima parte
si apre con il brano
intitolato 'O Fortuna'
(numero 1), eseguito da
tutto il coro e composto
da tre strofe di dodici
versi ciascuna che
paragonano la variabilità
della fortuna all'immagine
dell'incessante mutamento
della luna nel cielo,
causa di un destino mai
prevedibile e spesso
perverso. I primi tre
versi sono accompagnati da
una musica massiccia e
accordale, ritmata da
tetre percussioni, che
concretizza un universo
desolato, avvolto in una
luce grigia e ferrigna in
cui si aggira l'uomo
impaurito. Quindi le voci
proseguono sottovoce, con
un atteggiamento ancor più
timoroso, su un ostinato
delle percussioni che
impersonifica
l'implacabilità del
destino. La terza strofa
riconduce a una nuova
esplosione sonora, quasi
un'invocazione
terrorizzata, sorretta
eccezionalmente anche
dagli squassanti echi del
gong.
Il pezzo numero 2
('Fortunae plango
vulnera') prosegue
all'incirca nellastessa
atmosfera. Sono tre ottave
affrontate ancora dal coro
che illustrano il continuo
girare della ruota della
fortuna e le ferite che
questo ruotare continuo
provoca sull'uomo. Sono da
notare le sovrapposizioni
delle varie sezioni del
coro, l'utilizzo ritmico
degli archi e quello
spettacolare degli ottoni
tra un verso e l'altro. La
seconda parte è introdotta
dal brano intitolato
'Veris laeta facies'
(numero 3), tre ottave del
coro che esaltano il
ritorno della primavera in
una luce magica e
ovattata, quasi si
trattasse di una vera e
propria epifania che si
rinnova ogni anno per
l'eternità.
L'allontanamento dai
rigori dell'inverno, i
canti nelle foreste, i
rinnovati profumi, i cori
delle vergini e il volo
degli uccelli sono
espressi attraverso una
musica dallesonorità
estatiche e
orientaleggianti. La fissa
ripetitività dei disegni
musicali carica il pezzo
di una accentuata e
sacrale ritualità.
Il brano 'Omnia Sol
temperat' (numero 4), tre
ottave eseguite dal
baritono, descrive il
tepore del sole che
addolcisce la vita e
spinge l'uomo verso
l'amore. L'ambientazione
musicale è molto affine a
quella del numero
precedente. Segue un nuovo
intervento del coro ('Ecce
gratum', numero
5),composto da tre strofe
di dieci versi che
riprendono il tema del
sole purificatore che
porta abbondanza e
allontana la tristezza. Le
voci si esibiscono in
maniera gioiosa, ma
delicata, in suggestivi
effetti dinamici e
ritmici. Dopo una danza
(numero 6), caratterizzata
dagli iniziali squilli
degli ottoni e da alcuni
interventi solistici
(violino e flauto), il
brano numero 7 ('Floret
silva nobilis') - due
strofe di sei versi, la
seconda in tedesco -
riconduce a una immagine
primaverile e boschiva,
abitata dalle carezzevoli
melodie corali di danze e
giochi all'aperto. Il
brano 'Chramer, gip die
varwe mir' (numero 8) si
sposta, con le sue strofe
in tedesco, in un ambiente
quasi cittadino e ancora
più festoso, accesso dal
suono di mille
campanellini.
Il brano numero 9 è
strutturato in maniera più
complessa dei precedenti.
Si ascolta dapprima un
dolce girotondo
strumentale, dalle curiose
affinità con il minuetto
settecentesco e suddiviso
in tre distinti periodi,
quindi una strofa corale,
intitolata 'Swaz hie gat
umbe' e trattata con un
certo vigore, soprattutto
negli archi, poi due
strofe ('Chume, chum
geselle min') dal tono più
dolce e quasi rapito dalla
linea sonora di una antica
canzone tedesca e, per
finire, la ripresa della
prima strofa. Bellissimo è
il brano che chiude questa
sezione dei Carmina
burana ('Were diu
werlt alle min', numero
10). Si tratta di soli
cinque versi in tedesco
del coro che esprimono il
concettoche anche il
possesso di tutto il mondo
non vale quello della
donna amata. Musicalmente
il pezzo è introdotto
dagli squilli degli ottoni
e si svolge in una ascesa
sonora che culmina nel
luminoso finale.
All'inizio della terza
sezione incontriamo cinque
ottave affidate al
baritono ('Estuans
interius', numero 11). Sul
ritmo grave e incessante
dell'orchestra appare la
voce nervosa e infiammata
del solista che espone il
proprio turbamento e che,
però, nella terza, quarta
e quinta strofa ha anche
occasione di aprirsi a un
disegno musicale più ampio
e disteso. Curiosissimo è
il pezzo numero 12 ('Olim
lacus colueram'). Sono tre
strofe di sei versi
nellequali il tenore
grottescamente dà voce a
un cigno, cacciato, cotto
allo spiedo, servito nel
corso di una festa e ora
piagnucolante in attesa di
essere divorato dai
digrignanti denti che lo
circondano, quelli del
coro maschile a cui sono
affidati gli ultimi tre
versi di ogni strofa.
Il baritono è il
protagonista di 'Ego sum
abbas' (numero 13), dieci
versi aperti dal solista
che ìnneggia al piacere
del bere con gli amici
attraverso una spoglia e
melismatica linea vocale
gregoriana a cui risponde
la metallica esplosione
sonora dell'orchestra e
l'eccitata declamazione
del coro.
Il successivo 'In taberna
quando sumus' (numero 14)
ci conduce tra i fiumi di
un'oscura taverna
medievale da cui si alza
un misterioso coro
maschile in onore del bere
sull'implacabile e motorio
ritmo degli archi e dei
fiati. Dalla quinta strofa
il pezzo assume connotati
ironici e goliardici, con
una vaga allusione a una
fanfara quasi da opera
buffa, mentre i versi
dispiegano una visionaria
iperbole testuale 'questo
tracanna, quello tracanna,
cento tracannano, mille
tracannano'. La settima e
ultima strofa ha il
compito di concludere
l'episodio con un'ampia
apoteosi finale. A questo
punto inizia la quarta
sezione dei Carmina
burana. Ascoltiamo
dapprima dieci versi
intitolati 'Amor volat
undique' (numero 15)
introdotti da un disteso e
magico intervento
dell'orchestra a cui
succede l'intervento del
coro e quindi, dal quinto
verso, quello del soprano.
Il testo inneggia qui
all'universalità
dell'amore.
Il brano numero 16 ('Dies,
nox et omnia') è
affrontato dalla sola voce
del baritono, accompagnata
dall'orchestra, che si
impegna in una dolce
melodia amorosa. Molto
breve è anche 'Stetit
puella' (numero 17),
cantato dal soprano, che
paragona l'immagine di una
giovane ragazza vestita di
una tunica rossa e quella
di una stupenda rosa. Il
trattamento melodico della
voce - sono da notare i
due lunghi melismi sulla
parola 'Eia' - si
riferisce chiaramente allo
stile dell''arioso'
italiano.
Il pezzo numero 18 ('Circa
mea pectora') paragona gli
occhi dell'amata al
brillare dei raggi del
sole in una calibrata
alternanza fra baritono e
coro. In 'Sie puer cum
puellula' (numero 19), la
felice unione amorosa di
un ragazzo e di una
ragazza è sviluppata
grottescamente da un
virtuosistico gioco
musicale a cappella di
cinque voci maschili. Le
tre quartine che seguono
('Veni, veni, venias',
numero 20) sono
caratterizzate
dall'introduttivo e
metallico intervento del
pianoforte,
dall'attenzione rivolta
dal compositore alla
parola 'Veni' e dalla
ripetuta invocazione
corale 'nazaza'. Nel brano
numero 21 ('In trutina') è
ancora protagonista il
riferimento all''arioso'
di stampo italiano
espresso dal soprano per
esprimere la propria
verginale incertezza tra
il pudore e il cocente
desiderio d'amore.
Con 'Tempus est iocundum'
(numero 22) assistiamo a
una festosa ridda
all'aperto che esalta gli
ardori dell'amore e nella
quale hanno modo di
mettersi in luce alcuni
interventi delle voci
soliste. Nei due versi che
seguono ('Dulcissime',
numero 23) la voce del
soprano esprime dolcemente
il desiderio di donarsi
completamente al proprio
amato, mentre nel brano
che gli succede ('Ave
formosissima', numero 24)
il coro si innalza
stratosfericamente nelle
descrizioni della più pura
bellezza in una luce
felicemente grandiosa. A
questo punto, quasi a
ricordare la vanità delle
cose e l'incertezza
dell'essere, Orff getta
nuovamente l'ascoltatore
in un clima di terrore
grazie alla ripresa a
effetto del primo brano
dei Carmina burana
cioè 'O Fortuna'. Il
contrasto è terribilmente
accentuato dall'intervento
squarciante del gong che
dissolve la momentanea e
illusoria serenità che si
era stabilita per
ricordare all'uomo la
propria terrena essenza,
il proprio ineluttabile e
impenetrabile destino di
disperazione.
Massimo
Rolando Zegna
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