ISTITUTO GEOGRAFICO DE AGOSTINI


1 CD - GMD 4/25 - (c) 1990

I MAESTRI DELLA MUSICA









Anton WEBERN (1883-1945)
Klavierstück "Im Tempo eines Menuetts", Op. post.
1' 30"
1

Variations, Op. 27
6' 00"
2
Luciano BERIO (1925-2003) Sequenza IV

12' 27"
3
Pierre BOULEZ (1925-2016) Sonata N. 1 (1946)

9' 40"
4

Sonata N. 3
20' 18"


- Trope
7' 38"

5

- Constellation-Miroir
12' 40"

6
Ernest BLOCH (1880-1959) Concerto Grosso per Orchestra d'Archi con Pianoforte obbligato
23' 38"


- Prélude 3' 00"

7

- Pastorale 14' 20"

8

- Fuga 6' 18"

9





 
Claude Helffer, Pianoforte - (1-6)
1968
The Jerusalem Chamber Orchestra "Kol Israel" / Frank Pelleg, Pianoforte / Mendi Rodan, Direttore- (7-9) 1968
 






Manufactured
Tecval Memories SA (Switzerland)

Prima Edizione LP
Guilde Internationale du Disque | SMS 2590 | (p) 1968 - (1-6)
Concert Hall | SMS 2469 | (p) 1968 - (7-9)


Edizione CD
De Agostini | GMD 4/25 | 1 CD - durata 73' 33" | (c) 1990 | ADD

Note
-













Webern | Berio | Boulez (1-6)


Bloch (7-9)


WEBERN - KLAVIERSTÜCK
La Klavierstück di Webern è una composizione pianistica che ci impegna in una condotta di ascolto molto diversa da quelle che si utilizzano di solito. Occorre, cioè, una nuova strategia, che ci aiuti a penetrare questa nuova realtà sonora, e che ci coinvolga in un mondo astratto e rarefatto come l'universo sonoro weberniano sa essere. Valga un paragone con l'arte visiva che non è più semplice da decodificare, ma che è sicuramente più presente nella nostra vita quotidiana, e per questo, ci risulta, forse, più accessibile. Di fronte a un quadro figurativo, noi sappiamo 'istintivamente' - dovremmo dire, più esattamente, culturalmente - cosa guardare: il soggetto, i colori usati, la disposizione degli elementi nello spazio e poi, a seconda del desiderio individuale di approfondire le conoscenze relative al dipinto in oggetto, il tratto usato nel disegno, il modo con cui è stato usato il colore, le implicazioni culturali, le tendenze del periodo storico e molte altre cose. Da ultimo, o forse per primo, scaturisce il 'giudizio' estetico personale, 'bello' oppure 'brutto'; quest'ultimo tanto più spesso espresso quanto più il dipinto risulta difficile - lontano - dalla mentalità dello spettatore. Con la musica succedono, né più né meno, le stesse cose. Dinnanzi a un brano tradizionale sappiamo come ascoltare: seguiamo una linea melodica, 'sentiamo' uno schema ritmico, assaporiamo i timbri variamente mescolati tra loro, riconosciamo i diversi temi e li riconduciamo a quella unitarietà che la nostra memoria è capace di costruire. Con questa composizione di Webern, dobbiamo pensare che i nostri consueti mezzi di analisi sono inutilizzabili, come se volessimo misurare la distanza tra i pianeti con un metro da falegname.
La musica di Webern (il musicista austriaco più significativo della prima metà del secolo) è un pulviscolo di suoni, un caleidoscopio ove si verificano impercettibili cambiamenti, secondo una logica rigorosissima, ma apparentemente inafferrabile, come certi quadri di Klee dove gli accostamenti di colori, quasi identici e di forme simili, creano effetti di grandissima suggestione. Non abbiamo una melodia, ma infinite micro-melodie che scaturiscono da silenzi carichi di intenso lirismo. Non abbiamo passioni esplosive, slanci plateali; nessuna concessione a chi, del pubblico, possa sentire il bisogno di uno 'sfogo'. Tutto resta miracolosamente sospeso in un equilibrio siderale dove però l'immobilità è solo apparente e che cela, in verità, una moltitudine pulsante di vite.

BERIO - SEQUENZA IV
Ben altro pianismo è quello che ci viene offerto dalla Sequenza IV di Luciano Berio. Qui il pianoforte viene 'sezionato' come dal bisturi di un anatomo-patologo che si accinge a un minuzioso lavoro di dissezione e di indagine come se niente dovesse rimanere celato. Il pianoforte viene cioè piegato a produrre tutte le sonorità di cui è capace, percosso, aggredito, blandito, accarezzato, perché ne escano grida laceranti, suoni flautati, briciole di sogni, rantoli soffocati. L'accostamento con Webern rende ancora più evidente la differenza tra i due e, soprattutto, fa balzare all'orecchio dell'ascoltatore come mentre il musicista viennese risulti meticoloso nella costruzione del suo pezzo e preciso quasi in maniera maniacale nel prevedere sonorità controllate fino allo spasimo, Berio, invece, si affida alla geniale varietà degli accostamenti contrastanti, a volte generati dalla casualità, e decisamente più esteriori, con un notevole senso della teatralità, che simanifesta nei numerosi 'colpi di scena'. Il virtuosismo è anche un altro dei tratti predominanti in questo pezzo, in quanto viene richiesta all'esecutore una padronanza superlativa dello strumento a una notevole forza fisica. Tutto, o quasi, succede in questo brano denso e imprevedibile, dalle tinte più accese, inquietante e convulso come un quadro di Pollock. La gestualità 'a tutto campo' che il pianista deve mettere in atto corrisponde alla grande spazialità sonora che il pianoforte ricrea con la sua grande varietà di suoni. Si alternano costruzioni esili ad altre più riccamente concepite in un clima frenetico e senza posa. La sequenza non ha inizio e non ha fine, ma 'diventa', improvvisamente e, altrettanto improvvisamente, cessa di essere udibile, non finisce.

BOULEZ - SONATA N. 1 | TROPE | CONSTELLATION-MIROIR
D i queste tre composizioni quella di maggior rilievo è Constellation-Miroir. Si tratta della realizzazione metaforica sonora di una poesia che, a sua volta, costituiva un tentativo di rappresentare metaforicamente lo spazio. La poesia è Un coup de dés jamais n'abolira le hasard (un colpo di dadi non sopprimerà mai il rischio) di Mallarmé, dove le parole del testo poetico sono state distribuite nella pagina come una costellazione. Come scrive Rosen in un suo saggio: « le relazioni tra le parole sono rivelate dai raggruppamenti, perché il movimento del pensiero è reso mediante la disposizione delle linee sulla superficie piana. La poesia di Mallarmé riguarda il gioco aleatorio che resta implicito in ogni progetto creativo, e lalibertà di significato essenziale a una forma definita e chiusa. Il poeta francese afferma la sua delusione davanti all'ideale classico dell'opera d'arte che si sforza di ignorare il caso e contiene come proprio centro un nucleo netto di significato. Un coup de dés non sopprime e non crea le probabilità ma le contiene mediante un saggio trascendentale». Boulez utilizza i principi della aleatorietà per combinare due generi di frammenti: punti e blocchi. I blocchi, come ha scritto egli stesso, sono strutture basate su aggregati risonanti in continuo cambiamento, a volte eseguiti simultaneamente a volte scomposti orizzontalmente in una successione molto rapida (questo per far sì che l'orecchio non perda l'identità dell'aggregazione). I punti, per contrasto, sono sospesi sopra un tessuto armonico continuo e sempre diverso, ottenuto mediante l'abbassamento del pedale di sinistra del pianoforte che, allontanando gli smorzatori dalle corde, permette che queste entrino in vibrazione per simpatia con i suoni effettivamente prodotti dal pianista sulla tastiera.
In questi tre pezzi colpisce complessivamente la grande varietà di effetti sonori prodotti, che sono altamente legati al temperamento dell'esecutore che qui, più che in ogni altro genere di musica, è libero di scegliere il fraseggio, la drammaticità, l'articolazione o la dilatazione spaziale. Il senso del tempo è altresì libero da condizionamenti metronomici o metrici e l'effetto di stasi che si percepisce dipende da una nuova concezione della composizione musicale, dove l'aspetto ritmico non occupa più una posizione predominante.

BLOCH - CONCERTO PER ORCHESTRA D'ARCHI CON PIANO OBBLIGATO
Con Bloch ritorniamo a un idioma musicale più usuale, quello tonale, dove la ricerca del nuovo va di pari passo con la ripresa di forme classiche. Il pianoforte, che qui troviamo totalmente immerso nel magma sonoro dell'orchestra, viene utilizzato in una maniera più tradizionale, con un vigore maschio e drammatico. Il tema, esposto sin dalle primissime battute, e che verrà più volte ripreso nel corso del pezzo a mo' di leit motiv, è violento e reso aggressivo dalla declamazione all'unisono. L'uso della politonalità (simultaneità di linee melodiche eseguite in ambiti tonali diversi) rende il panorama sonoro molto interessante e vario, anche se un po' troppo prevedibile. Piacevoli certe 'aperture' proprie anche del nostro Respighi, e alcune citazioni di musiche popolari della tradizione ebraica, a cui l'autore era profondamente legato. L'omaggio alla tradizione è rappresentato dalla fuga, che viene costruita con rigore e maestria contrappuntistica, anche se la sensazione di dejà vu (o piuttosto di dejà oui) non ci abbandona mai. Il finale è riluttante di colori orchestrali come nella migliore tradizione sinfoníca occidentale, dove le citazioni del tema udito nel primo movimento cercano di conferire unità a tutta la composizione che comunque, a volte, concede troppo al gusto del pubblico, offrendosi quasi come modello alto a quelle che saranno le colonne sonore holliwoodiane.
María Luisa Merlo