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3 CD's
- SM3K 47 581 - (c) 1992
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3 LP's -
M3S 776 - (p) 1966 |
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2 LP's -
M2S 751 - (p) 1966 |
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GUSTAV MAHLER
(1860-1911) |
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Compact Disc 1
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49' 16" |
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Symphony
No. 6 "Tragic" |
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78' 01" |
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1. Allegro energico, ma non troppo |
21' 29" |
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2. Scherzo. Wuchtig |
12' 27" |
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3. Andante moderato |
15' 19" |
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Compact Disc 2 |
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53' 05" |
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4. Finale. Allegro moderato -
Allegro energico |
28' 45" |
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Symphony
No. 8 "Symphony of a Thousand" |
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79' 25" |
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Parte I -
Hymnus: Veni creator spiritus! |
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"Veni, creator spiritus" |
1' 27" |
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"Imple superna gratia" |
3' 25" |
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"Infirma nostri corporis" |
2' 41" |
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Tempo I. (Allegro, etwas hastig) |
1' 13" |
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"Infirma nostri corporis" |
3' 14" |
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"Accende lumen sensibus" |
4' 36" |
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"Qui Paraclitus diceris" |
5' 02" |
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"Gloria Patri Domino" |
2' 26" |
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Compact Disc 3 |
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55' 05" |
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Parte II - Final
Schene from Goethe's "Faust" |
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Poco adagio |
6' 34" |
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Più mosso. (Allegro moderato) |
3' 10" |
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"Waldung, sue schwankt heran" Heilige
Anachoreten |
4' 17" |
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-
"Ewiger Wonnebrand" Pater
ecstaticus |
1' 23" |
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-
"Wie Felsenabgrund mir zu Füßen" Pater
profundus |
4' 16" |
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-
"Gerettet ist das edle Glied" Chor
der Engel und Chor seliger Knaben |
0' 55" |
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-
"Jene Rosen, aus den Haäden" Chor
der jüngeren Engel
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1' 45" |
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-
"Uns bleibt ein Edenrest" Die
vollendeteren Engel |
2' 18" |
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-
"Ich spür soeben" Die jüngeren
Engel |
0' 34" |
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-
"Hier ist die Aussicht frei" Doctor
Marianus - "Freudig empfangen
wir" Chor seliger Knaben |
0' 38" |
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-
"Höchste Herrscherin der Welt" Doctor
Marianus |
2' 33" |
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-
"Jungfrau, rein im schönsten Sinne"
Doctor Marianus und Chor |
1' 38" |
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-
Äußerst lansam. Adagissimo |
1' 16" |
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-
"Dir, der Unberührbaren" Chor
- "Du Schwebst zu Höhen" Una
poenitentium und Chor der Büßerinnen |
1' 59" |
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-
"Bei der Liebe, die den Füßen" Magna
Peccatrix |
0' 54" |
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-
"Bei dem Bronn, zu dem schon
weiland" Mulier Samaritana |
1' 22" |
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-
"Bei dem hochgeweihten Orte" Maria
Aegyptiaca |
1' 07" |
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-
"Die du großen Sünderinnen" Magna
Peccatrix, Mulier Samaritana,
Maria Aegyptiaca |
1' 21" |
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-
"Neige, neige, du Ohnegleiche" Una
poenitentium |
1' 04" |
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-
"Er überwächst uns schon" Selige
Knaben |
1' 14" |
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-
"Vom edlen Geisterchor umgeben" Una
poenitentium (Gretchen) |
2' 06" |
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-
"Komm! Hebe dich zu höhern Sphären!"
Mater gloriosa |
1' 21" |
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-
"Blicket auf zum Retterblick" Doctor
Marianus |
5' 46" |
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-
"Alles Vergänglische" Chorus
Mysticus |
5' 37" |
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Symphony No. 6 *
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Symphony
No. 8 ** |
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New
York Philharmonic |
Erna
Spoorenberg, Soprano (Magna
Peccatrix) |
Leonard
BERNSTEIN |
Gwyneth
Jones, Soprano (Una
poenitentium) |
|
Gwenyth
Annear, Soprano (Mater
gloriosa) |
|
Anna
Reynolds, Contralto (Mulier
Samaritana)
|
|
Norma
Procter, Contralto (Maria
Aegyptiaca) |
|
John
Mitchinson, Tenor (Doctor
Marianus) |
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Vladimir
Ruzdjak, Baritone (Pater
ecstaticus) |
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Donald
McIntyre, Bass (Pater
profundus)
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Leeds
Festival Chorus - London Symphony
Chorus / Donal Hunt, Chorus
Master
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Orpington
Junior Singers / Sheila
Mossman, Chorus Master |
|
Highgate
School Boy's Choir / Edward
Chapman, Chorus Master |
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Finchley
Children's Music Group / John
Andrews, Chorus Master |
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Hans
Vollenweider, Organ |
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London
Symphony Orchestra |
|
Leonard
BERNSTEIN |
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Recording: Philharminc Hall, now
Avery Fisher Hall, Lincol Center, New York
City, May 2 & 6, 1967 *
|
Recording: Walthamstow Assembly
Hall, London, England, April 18, 19 &
20, 1966; mastering, echo and organ
synchronisation at the Stadtkirche
Winterthur, Switzerland **
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Producers |
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John
McClure |
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Registrazione:
live / studio |
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studio |
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Prima Edizione LP |
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Columbia
"Masterworks" | M3S 776 | (3 LP's)
| durata 49' 00", 56' 55" &
51' 11" | (p) 1967 | Analogico
(Symphony No. 6 & No. 9)
Columbia
"Masterworks" | M2S 751 | (2 LP's)
| durata 44' 40" & 33' 10" |
(p) 1966 | Analogico (Symphony No.
8)
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The Royal Edition
CD |
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Sony
"The Royal Edition" [No. 49 of
100] | SM3K 47 581 | (3 CD's) |
durata 49' 16", 53' 05" & 55'
05" | (c) 1992 | ADD
(Symphony No. 6 & No. 8)
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Note |
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Cover
Painting: His Royal Highness The
Prince of Wales - Lochnagar from
Balmoral, 1990 - © A.G. Carrick
Ltd.
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MUSICA
COME VISIONE
Gustav Mahler
fu acclamato finché era in
vita soprattutto come un
importante direttore
d’orchestra; come artista
creativo al contrario non
ebbe vita facile. La sua
musica fu a mala pena presa
in considerazione dal grande
pubblico e rimase limitata a
poche esecuzioni,
scontrandosi quindi per lo
più con l’incomprensione o
con un’aperta ostilità.
Solamente una piccola
schiera di “giovani” reagì
sin d’allora con entusiasmo
e riconobbe in lui quel
compositore di levatura
eccezionale che oggi viene
universalmente ammirato. Il
riconoscimento è iniziato in
realtà solo piuttosto tardi,
vale a dire nei primi anni
Settanta; da allora l’opera
di Mahler è divenuta in
tutto il mondo una parte
irrinunciabile del
repertorio sinfonico. Le sue
celebri parole: “La mia
epoca deve ancora venire”,
si sono quindi avverate
interamente.
Chi cerca di spiegarsi la
ragione di questa scoperta
tardiva di Mahler, troverà
diverse spiegazioni che, per
quanto divergenti nei
dettagli, costituiscono un
concorso di cause che si
integrano a vicenda. Prima
di tutto, a partire già
dagli anni Sessanta, si può
constatare una generica
affinità con l’epoca della
fine del secolo scorso: le
correnti artistiche della fin
de siècle e dello
stile liberty furono
considerate allora per la
prima volta, dopo una
svalutazione durata decenni,
come dei risultati artistici
autonomi. In tal modo si
posero sostanzialmente le
basi per la rinascita di
Mahler, infatti la sua
musica rappresenta più di
ogni altra l’espressione
profonda di quell’epoca che
non solo esteriormente, ma
anche nei suoi contenuti, si
colloca "a cavallo tra i due
secoli": il vecchio e il
nuovo, l'“ancora”
e il “già”, l’ultimo apice
del Romanticismo e l’inizio
della modernità si
intersecano strettamente in
questo periodo. Pertanto
quando la nostra epoca, che
ama definirsi secondo un
termine popolare come
“postmoderna”, cerca i
modelli spirituali e
stilistici delle sue
tendenze pluralistiche, non
può non rinvenirli in Mahler
più che altrove: non solo
nel senso di una
superficiale nostalgia del
passato, rna anche per
quanto riguarda gli aspetti
contenutistici. Proprio
infatti quelle qualità della
musica di Mahler, che prima
venivano spesso osteggiate o
addirittura irrise - la sua
mancanza di omogeneità
stilistica, la pluralità di
piani e la sua
frammentazione - fanno
l’effetto come di un
anticipazione della
condizione esistenziale
odierna: non si tratta
infatti di fingere un mondo
di sanità, ma di esplicitare
le contraddizioni del
sentire, le angosce e le
speranze, le catastrofi e le
visioni di redenzione. È
questo ciò che rende Mahler
attuale.
Ma le sue parole profetiche
si sono avverate anche in un
senso completamente
differente, poiché infatti
alla capacità interiore di
intendere la sua musica si
sono aggiunti anche i
presupposti oggettivi per
una ricezione adeguata:
infatti solo grazie ai
moderni procedimenti tecnici
la sua musica poté essere
riprodotta nella sua totale
differenziazione acustica,
così come aveva auspicato lo
stesso Mahler. Grazie alla
tecnica stereofonica e del
missaggio graduato dei suoni
è possibile realizzare
fedelmente le indicazioni
assai complesse delle sue
partiture, spesso con
risultati ancora migliori di
quanto sia possibile fare
durante una esecuzione dal
vivo. Ciò vale sia per la
sfera della dinamica e delle
sfumature strumentali, che
per i particolari effetti
spaziali, dei quali la
musica di Mahler è quanto
mai ricca. Già nella sua
prima grande composizione, Das
klagende Lied, è
prevista infatti un'“orchestra
in eco”. Mahler segue con
ciò non solo dei modelli
corrispondenti, come ad
esempio nella musica di
Berlioz, ma al di là di ciò
trasferisce nella musica
sinfonica le esperienze
acquisite durante la sua
attività di direttore di
un’orchestra operistica. Qui
le differenze tra suono
vicino e lontano non si
riferiscono solamente a
delle distanze stabilite, ma
producono dei rapporti
prospettici e acustici, come
ad esempio nel caso di un
pianissimo suonato da vicino
e un forte suonato in
lontananza. Tali relazioni
sono parte integrante della
drammaturgia compositiva di
Mahler, della sua “arte
scenica musicale”. Perché in
effetti Mahler “non era
solamente un grande
compositore di sinfonie, ma
anche uno dei drammaturghi
più efficaci degli ultimi
cento anni. Ciascuna delle
sue sinfonie si comporta
come un’opera. Non conosco
nessun altro compositore che
abbia una sensibilità
paragonabile per come si
debba iniziare un movimento
(si può addirittura vedere
il sipario che si alza) e
per come si debba
concluderlo, o come si debba
ripartire shock dopo shock,
un effetto contrastante dopo
un momento culminante o una
fase di riposo. Non conosco
inoltre nessun compositore
che sapesse sfruttare in
modo così virtuosistico e
ricco di effetto le
possibilità drammatiche
dell’ambiguità.” Queste
parole sono di Leonard
Bernstein; con esse si
potrebbe chiamare in causa
nuovamente un altro fattore
decisivo della vasta
influenza di Mahler: i suoi
grandi interpreti. I veri
direttori mahleriani (non ce
ne sono molti di tal fatta)
infatti non solo devono
saper condurre l’orchestra
in maniera eccellente ed
essere dei “registi del
suono”, ma devono anche
saper comunicare il pensiero
e l’alto messaggio etico
della musica di Mahler. Ciò
presuppone una disponibilità
spirituale
all’identificazione che è
tutt’altro che scontata, un
essere arsi dal fuoco del
sentimento mahleriano. Dopo
la generazione che
apparteneva ancora
direttamente alla cerchia
dei giovani mahleriani (come
Bruno Walter e Otto
Klemperer), proprio
Bernstein ha svolto un ruolo
decisivo in questa
direzione.
La Sesta sinfonia di Mahler
fu composta durante le
“ferie di composizione”
nell’estate del 1903/04 e fu
eseguita per la prima volta
il 27 maggie 1906 ad Essen,
durante il Festival della
Società pantedesca dei
musicisti. Mahler stesso la
definì la sua Sinfonia Tragica,
a causa del ruolo svolto in
essa da motivi di natura
strettamente personale e
familiare. Di ciò riferisce
la moglie Alma nel suo libro
di “Ricordi”: “Dopo aver
progettato il primo
movimento, Mahler era
ritornato giù dal bosco e
aveva detto: ‘Ho cercato di
ritrarti in un tema, non so
se mi è riuscito. Dovrai
sforzarti di sopportarlo.'
Si tratta del grande tema
pieno di slancio del primo
movimento della Sesta
sinfonia. Nel terzo
movimento egli raffigura il
gioco disordinato delle due
bambinette che corrono
barcollando sulla sabbia. È
orribile, queste voci
infantili divengono sempre
più tragiche e alla fine si
sente piagnucolare una
vocina che si va spegnendo.
Nell’ultimo movimento Mahler
descrive sé stesso e il suo
tramonto o, come ebbe a dire
in seguito, quello del suo
eroe. ‘L’eroe, che riceve
tre colpi dal destino, il
terzo dei quali lo abbatte,
come un albero.' [...]
Nessun’altra opera gli è
sgorgata così dal cuore come
questa. Piangemmo allora
entrambi. A tal punto
sentivamo profondamente
questa musica e i presagi
che essa tradiva. La Sesta
sinfonia è la sua opera più
personale in assoluto e
oltre tutto un’opera
profetica [...].” Così si
ricorda Alma Mahler. Il
carattere profetico di
questa musica doveva
avverarsi in maniera
insolita: nel 1907, per via
di alcuni intrighi, Mahler
fu costretto a rassegnare le
dimissioni dall’incarico di
direttore dell’Opera di
Vienna, i coniugi perdettero
una delle due figliolette e
a Mahler venne diagnosticata
una grave malattia cardiaca;
tutti questi fatti apparvero
allora come i “tre colpi del
destino”. In che misura il
compositore stesso prendesse
sul serio questo riferimento
autobiografico è
testimoniato dal fatto che
egli cancellò l’ultimo dei
tre colpi di martello del
finale, come per scongiurare
in tal modo la sua stessa
fine.
È abbastanza sorprendente il
fatto che questa
composizione, che dal punto
di vista di Mahler
rappresentava la fusione più
stretta di “arte e vita”,
costituisca allo stesso
tempo una testimonianza
epocale della “musica
assoluta”. Ciò si mostra non
solo nel fatto che essa
segue la struttura formale
tradizionale in quattro
movimenti (sebbene Mahler
per un po’ di tempo abbia
invertito i due movimenti
centrali, ripristinando poi
nuovamente l’ordine
Scherzo/Andante), ma si vede
in misura ancora maggiore
nel linguaggio musicale
stesso. Questo fa l’effetto
come di un compendio di
tutto quanto è stato scritto
da Mahler fino a questo
punto; già nel 1904 -
quand’era ancora nel mezzo
del lavoro - egli aveva
ammesso: “La mia Sesta
sinfonia porrà dei quesiti,
ai quali potrà osare di
avvicinarsi solo una
generazione che avrà
assimilato e digerito le mie
prime cinque." La ricchezza
dell’invenzione motivica e
della strumentazione, le
numerose innovazioni
armoniche, il rigoroso
lavoro tematico e i nessi
compositivi, che vanno al di
là dei singoli movimenti,
fanno apparire questa
partitura, particolarmente
agli occhi di coloro che non
sono affatto a conoscenza
del carattere soggettivo del
suo contenuto, come una
fonte inesauribile di musica
assoluta. Nessuno fu così
consapevole di questo fatto
come Alban Berg, il quale
durante la composizione dei
suoi Tre pezzi per
orchestra, op. 6
(1914) scrisse all’amico
Anton Webern: “Ma che cosa
significa tutto questo gran
comporre, quando il giorno
dopo si ascolta la Sesta
sinfonia (non c’è bisogno
che io dica di chi è, vi è
al mondo infatti solo una
Sesta, nonostante la
Pastorale)? Ti dico - o
forse non c`è in realtà
bisogno neppure che te lo
dica - che non si finisce
mai di sviscerare
completamente questa
composizione, non la si
comprende mai del tutto
[...].”
La Sesta sinfonia non era
ancora completata del tutto
e Mahler stava ancora
finendo di scrivere la
versione definitiva della
partitura, quando egli
iniziò a lavorare già alle
due sinfonie seguenti; pochi
mesi dopo la prima
esecuzione della Sesta,
nell’agosto del 1906, Mahler
comunicava al direttore
d’orchestra olandese Willem
Mengelberg, di cui era
amico: “Ho appena finito di
scrivere la mia Ottava
sinfonia - si tratta della
cosa più grande che io abbia
fatto finora. È inoltre così
originale nella forma e nel
contenuto, che non è
possibile scrivere nulla al
riguardo. - Lei si immagini
che l’universo prenda a
risuonare e a emettere dei
suoni. Non sono più voci
umane, ma pianeti e soli che
gravitano in circolo.” Già
da queste allusioni è
possibile riconoscere il
livello particolare di
questa composizione, “la
cosa più grande” non solo
dal punto di vista
esteriore, ma anche da
quello delle aspettative
interiori: che questa
sinfonia non rappresenti
cioè unicamente una musica
autonoma, ma sia oltre ciò
espressione di un pensiero
filosofico e teologico, una
mistica ricerca dei fini
ultimi. La vecchia
concezione del XIX secolo,
secondo la quale l’arte e la
religione hanno delle radici
comuni e possono entrambe
svilupparsi in una comune
unità, dove trovano
espressione
contemporaneamente l’umano e
il divino, la nostalgia e la
rivelazione, viene
trasferita in questa
composizione in maniera
affatto particolare.
Mahler stesso si è espresso
in modo assai esauriente al
riguardo: “Non ho mai
scritto nulla di simile, è
qualcosa di completamente
differente nello stile e nel
contenuto da tutte le altre
mie opere [...]. Inoltre non
ho mai lavorato forse sotto
una tale costrizione
interiore; è stata come una
visione fulminea - tutto si
è trovato immediatamente
davanti ai miei occhi e io
ho dovuto solamente
scriverlo sulla carta, così,
come se mi fosse stato
dettato [...]. Questa Ottava
sinfonia è già curiosa per
il semplice fatto di riunire
due poesie in due lingue
differenti; la prima parte è
un inno latino, la seconda
niente di meno che la scena
finale della sconda parte
del ‘Faust’. Lei si
meraviglia? Comporre questa
scena dell’Anacoreta e il
finale del ‘Mater gloriosa’
[...] era già da molto tempo
un mio ardente desiderio;
solo che ora non ci avevo
più pensato affatto.
Recentemente mi è capitato
casualmente tra le mani un
vecchio libro e l’ho aperto
sull’inno Veni, creator
spirirus: come
un’illuminazione,
improvvisamente ho avuto
dinnanzi a me non solo il
primo tema, ma l’intero
primo movimento, e come sua
risposta non avrei potuto
trovare assolutamente niente
di più bello che le parole
di Goethe nella scena
dell’Anacoreta! Anche dal
punto di vista della forma
si tratta di qualcosa di
affatto nuovo: Lei riesce a
immaginarsi una sinfonia che
viene cantata interamente,
dall’inizio alla fine?
Finora ho sempre impiegato
la parola e la voce umana
solo in maniera esplicativa,
per abbreviare, come un
fattore per determinare uno
stato d’animo e per dire con
quella stringatezza e
precisione che solo le
parole permettono ciò che,
con mezzi puramente
sinfonici, si sarebbe potuto
esprimere unicamente con
delle dimensioni enormi.
Tuttavia qui la voce umana è
allo stesso tempo uno
strumento musicale; tutti i
movimenti sono scritti
rigorosamente in forma
sinfonica e vengono allo
stesso tempo cantati
interamente.”
Orbene, in questa hybris
stilistica del genere
strumentale e vocale ma
soprattutto nell’impiego di
opere poetiche così
importanti, come l’inno
medievale di Rabano Mauro
(composto probabilmente
nell’809 in occasione di un
sinodo dei vescovi ad
Aquisgrana) e la scena
finale del “Faust” di
Goethe, risiedono da un lato
le alte aspettative
storico-culturali che il
compositore rivendica con la
sua sinfonia, dall’altro
però anche la discutibilità
della sua impresa. Infatti
proprio questo carattere di
sintesi spirituale ha dato
ripetutamente adito ai
critici di Mahler di
sollevare delle riserve dal
punto di vista estetico, in
misura maggiore che nei
confronti di tutte le sue
altre sinfonie. Non si è
voluto forse strafare? - ci
si è chiesto. Un simile
progetto monumentale e
storicamente di così vasto
respiro non è forse
condannato sin dall’inizio
al fallimento? La musica non
travalica qui le sue stesse
possibilità? Anche i giudizi
sul valore dell’Ottava
sinfonia di Mahler oscillano
infatti tra l’incomprensione
da una parte e
l’approvazione entusiastica
dall’altra (così fu già al
momento della sua prima
esecuzione a Monaco il 12
settembre 1910, quando il
compositore assaporò il più
grande trionfo di tutta la
sua carriera). Ernst Bloch
citò nel suo libro “Der
Geist der Utopie” (Lo
spirito dell’utopia, del
1918) l’enorme sforzo di
Mahler, profondamente
commovente; Bloch parla
della “serissima musica che
introduce la parte finale
del ‘Faust’, che nessuno,
che sia stato innalzato da
essa verso le supreme
altitudini montane degli
Anacoreti, costruite a mo’
di terrazze, potrà mai
dimenticare [...]. Nessuno
più di quest’uomo pieno di
malinconia, santo e
inneggiante è stato finora
portato così vicino al cielo
dalla forza di una musica
traboccante di sentimento,
mugghiante e visionaria
quant’altre mai [...]. Come
un messaggero lontano,
quest'artista è giunto nel
suo tempo vuoto, fiacco e
scettico, quest’uomo dal
sentimento sublime,
straordinario nella forza e
nell’ardore virile del suo
pathos e veramente assai
prossimo a spandere l’ultimo
mistero della musica sul
mondo e sulle tombe.”
Effettivamente questa musica
non vuole solamente essere
udita, ma anche essere
“vista” e vissuta
intimamente; ciò è accennato
già dalle indicazioni
sceniche riportate nella
partitura. L’indicazione
all’inizio della scena del
Faust recita infatti: “Gole
montane, foreste, dirupi,
luoghi solitari. Santi
Anacoreti, dispersi qua e là
sulle alture dei monti e
annidati tra i crepaeci
(coro ed eco)”; la figura
del Pater ecstaticus appare
“volteggiante su e giù”,
così come il coro e gli
angeli. Si tratta di azioni
immaginarie, che non si
svolgono tuttavia solamente
su di una scena fittizia,
bensì in un teatro del
mondo, nel quale la sfera
umana e quella cosmica si
abbracciano. Le fonti di
tale concezione sono
molteplici, basti pensare ad
esempio alla Damnation
de Faust di Berlioz.
Allora il modello offerto da
questo compositore risulterà
chiaro anche per quanto
riguarda la strumentazione
(ad esempio per quanto
riguarda l’effetto di
incredibile crescendo
ottenuto dall’entrata degli
ottoni “collocati
singolarmente” nei due
finali). L'organico di
dimensioni enormi, che ha
dato origine all’appellativo
di Sinfonia dei mille,
si può ricondurre inoltre
anche alla tradizione delle
grandi esecuzioni di oratori
del secolo scorso, sebbene
colpisca tuttavia il fatto
che Mahler differenzi
espressamente non soltanto i
solisti e i cori, ma anche
l'apparato orchestrale e che
lo impieghi spesso con una
trasparenza propria della
musica da camera. Ma è
soprattutto una composizione
che si deve nominare come
modello per questa sinfonia,
sia dal punto di vista
formale e contenutistico che
anche dei mezzi compositivi
(particolarmente per quanto
riguarda la grande
importanza attribuita alla
vecchie tecniche
contrappuntistiche): la Nona
sinfonia di Beethoven. Con
essa infatti l’idea di una
musica intesa come
confessione personale,
diretta a tutta l’umanità,
aveva già raggiunto un primo
vertice assoluto; ed è
proprio quest’idea che
Mahler esprime con la sua
Ottava sinfonia in un
ultimo, grandissimo
crescendo.
Volker
Scherliess
(Traduzione:
© 1992 Marco
Marica)
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