Quando Elgar
presentò, nel 1911. la sua
Seconda Sinfonia, si prese
cura di far sapere al
pubblico quanto essa fosse
“gioiosa e gaia”. La
partitura aveva come
intestazione una citazione
(di ambiguo ottimismo) del
poeta Shelley "Di rado, di
rado vieni, tu, Spirito
della Gioia!” Il tono
doloroso del secondo
movimento veniva spiegato
con la dedica della Sinfonia
alla memoria del re Edoardo
VII, che era da poco
scomparso. La prima
esecuzione, il 27 maggio
1911 nella Queen’s Hall di
Londra, fu accolta con
rispetto da un pubblico non
proprio numerosissimo; Elgar
notò una mancanza di
autentico entusiasmo e
chiese all’amico W.H. Reed
(che poi sarebbe divenuto
suo biografo): “Che cosa
hanno, Billy? Se ne stanno
seduti là come una massa di
maiali satolli”. Elgar aveva
cercato di convincere il
pubblico inglese dei
concerti che la sua Seconda
Sinfonia era una cosa
gioiosa, ma gli ascoltatori
potevano sentire che non lo
era, e, comprensibilmente,
erano rimasti perplessi se
non delusi.
Dopo la morte del
compositore, nel 1934, gli
studi su Elgar hanno portato
alla luce una grande
quantità di dettagli
biografici riguardanti la
Seconda Sinfonia. Gli
schizzi per il Larghetto
dimostrano che la sua triste
musica era nata assai prima
della morte di Edoardo VII,
fin dal 1904, quando era
appena scomparso un intimo
amico di Elgar, e a lui
molto caro, Alfred Rodewald
di Liverpool. L’idea
iniziale di questo
movirnento venne a Elgar
nell’aprile 1909 durante una
visita a Venezia, quando
dall’affollata Piazza San
Marco entrò nella fredda,
solenne Basilica. Tornando
fuori, Elgar osservò gli
sciami di piccioni che si
posavano sulla piazza e di
nuovo volavano via, e
l'immagine musicale che gli
venne in mente trovò posto
nel terzo movimento.
Alla fine
della partitura Elgar
scrisse "Venice - Tintagel",
due nomi carichi di
associazioni romantiche. Per
Elgar Tintagel non
significava soltanto il
leggendario castello di re
Artù in Cornovaglia, ma
anche la casa di Charles e
Alice Stuarl-Wortley, cari
amici di Elgar e di sua
moglie. Ad Alice Elgar diede
il soprannome di “anemone";
e le raccontò che la Seconda
Sinfonia era intimamente
legata al tempo da essi
trascorso insieme, che
quei passi sinistri nei
primi tre movimenti erano
stati suscitati da un
“influsso maligno” che egli
aveva avvertito nel suo
giardino. Il Trio del
Rondo-Scherzo, una sezione
che grava in modo amaro e
opprimente, fu ispirata da
una poesia del ciclo Maud
di Tennyson, che comincia
così: “Morto, a lungo
morto!... / E le ruote
passano sulla mia testa, / E
il mio cuore è una maciata
di polvere, / E le ossa
tremano per il dolore... / E
gli coccoli dei cavalli
battono, battono, / Battono
sul cranio e sul
cervello..."
Ciò che si è potuto finora
accertare (e riguarda quasi
ogni tema) induce a pensare
che la Seconda Sinfonia di
Elgar, ben lungi dal
tradurre musicalmente la
poesia di Shelley, sia
espressione di una
malinconia personale,
privata, in parte dovuta al
peggiorare dei rapporti
politici anglo-tedeschi, e
in parte al suo pessimismo.
Elgar avrebbe voluto che
fosse la sua Eroica
personale, ma lo Zeitgeist
dentro di lui aveva dato
alla Sinfonia un altro
volto.
Il primo
movimento prende
irresistibilmente slancio da
un ardente empito giovanile,
colpito solo momentaneamente
dalla sventura - è forse una
reminiscenza autobiografica
di un’epoca in cui lo
“Spirito della Gioia”
sopraggiungeva tutt’altro
che di rado, anzi più e più
volte. Il Larghetto in do
minore fa pensare a
sconfitte e sventure, e si
volge a mi bemolle maggiore
nell’evocazione di quelle
felici memorie che la
sconfitta non può
distruggere. Il Rondò
contrappone un senso di
transitoria, vigorosa
concitazione alla visione da
incubo d’una sepoltura da
vivo. Il Finale, il cui
ritmo d’apertura aveva
ossessionato Elgar nel
novembre 1903 durante una
vacanza in Italia, fa
pensare alla trascinante
corrente di un fiume, che
porta via con sé le pene,
che non si ferma mai e
risana ogni ferita. Un nuovo
secondo tema
dall’ispirazione grandiosa
stava a simboleggiare,
secondo Elgar, il suo grande
sostenitore, il direttore
Hans Richter, cui aveva
dedicato la sua Prima
Sinfonia. Il conflitto
musicale diviene più intenso
che mai, pur con le nuove
apparizioni del tema del
“fiume”, che a poco a poco
placano i dubbi e le paure
introducendo un tono di
benevola rassegnazione, non
immune da rimpianto o
perfino da profonda
tristezza, ma in ultima
analisi interiormente calma.
C’è un sussulto doloroso di
un momento, terribile come
una profonda pugnalata,
subito prima della
tranquilla conclusione.
William Mann
(Traduzione:
Paolo Petazzi)