DG - 1 CD - 423 085-2 - (p) 1988

Edward ELGAR (1857-1935)






Symphonie No. 2 Es-dur, Op. 63
65' 23"
- 1. Allegro vivace e nobilmente 20' 44"

- 2. Larghetto 18' 23"

- 3. Rondo: Presto 8' 57"

- 4. Moderato e maestoso 17' 13"





 
PHILHARMONIA ORCHESTRA
Giuseppe SINOPOLI
 






Luogo e data di registrazione
Walthamstow Town Hall, London (Gran Bretagna) - marzo 1987

Registrazione: live / studio
studio


Production
Günther Breest

Recording Supervision
Wolfgang Stengel

Balance Engineer
Klaus Hiemann

Prima Edizione LP
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Prima Edizione CD
Deutsche Grammophon | 423 085-2 | LC 0173 | 1 CD - 65' 23" | (p) 1988 | DDD


Note
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Quando Elgar presentò, nel 1911. la sua Seconda Sinfonia, si prese cura di far sapere al pubblico quanto essa fosse “gioiosa e gaia”. La partitura aveva come intestazione una citazione (di ambiguo ottimismo) del poeta Shelley "Di rado, di rado vieni, tu, Spirito della Gioia!” Il tono doloroso del secondo movimento veniva spiegato con la dedica della Sinfonia alla memoria del re Edoardo VII, che era da poco scomparso. La prima esecuzione, il 27 maggio 1911 nella Queen’s Hall di Londra, fu accolta con rispetto da un pubblico non proprio numerosissimo; Elgar notò una mancanza di autentico entusiasmo e chiese all’amico W.H. Reed (che poi sarebbe divenuto suo biografo): “Che cosa hanno, Billy? Se ne stanno seduti là come una massa di maiali satolli”. Elgar aveva cercato di convincere il pubblico inglese dei concerti che la sua Seconda Sinfonia era una cosa gioiosa, ma gli ascoltatori potevano sentire che non lo era, e, comprensibilmente, erano rimasti perplessi se non delusi.
Dopo la morte del compositore, nel 1934, gli studi su Elgar hanno portato alla luce una grande quantità di dettagli biografici riguardanti la Seconda Sinfonia. Gli schizzi per il Larghetto dimostrano che la sua triste musica era nata assai prima della morte di Edoardo VII, fin dal 1904, quando era appena scomparso un intimo amico di Elgar, e a lui molto caro, Alfred Rodewald di Liverpool. L’idea iniziale di questo movirnento venne a Elgar nell’aprile 1909 durante una visita a Venezia, quando dall’affollata Piazza San Marco entrò nella fredda, solenne Basilica. Tornando fuori, Elgar osservò gli sciami di piccioni che si posavano sulla piazza e di nuovo volavano via, e l'immagine musicale che gli venne in mente trovò posto nel terzo movimento.
Alla fine della partitura Elgar scrisse "Venice - Tintagel", due nomi carichi di associazioni romantiche. Per Elgar Tintagel non significava soltanto il leggendario castello di re Artù in Cornovaglia, ma anche la casa di Charles e Alice Stuarl-Wortley, cari amici di Elgar e di sua moglie. Ad Alice Elgar diede il soprannome di “anemone"; e le raccontò che la Seconda Sinfonia era intimamente legata al tempo da essi trascorso insieme,  che quei passi sinistri nei primi tre movimenti erano stati suscitati da un “influsso maligno” che egli aveva avvertito nel suo giardino. Il Trio del Rondo-Scherzo, una sezione che grava in modo amaro e opprimente, fu ispirata da una poesia del ciclo Maud di Tennyson, che comincia così: “Morto, a lungo morto!... / E le ruote passano sulla mia testa, / E il mio cuore è una maciata di polvere, / E le ossa tremano per il dolore... / E gli coccoli dei cavalli battono, battono, / Battono sul cranio e sul cervello..."
Ciò che si è potuto finora accertare (e riguarda quasi ogni tema) induce a pensare che la Seconda Sinfonia di Elgar, ben lungi dal tradurre musicalmente la poesia di Shelley, sia espressione di una malinconia personale, privata, in parte dovuta al peggiorare dei rapporti politici anglo-tedeschi, e in parte al suo pessimismo. Elgar avrebbe voluto che fosse la sua Eroica personale, ma lo Zeitgeist dentro di lui aveva dato alla Sinfonia un altro volto.
Il primo movimento prende irresistibilmente slancio da un ardente empito giovanile, colpito solo momentaneamente dalla sventura - è forse una reminiscenza autobiografica di un’epoca in cui lo “Spirito della Gioia” sopraggiungeva tutt’altro che di rado, anzi più e più volte. Il Larghetto in do minore fa pensare a sconfitte e sventure, e si volge a mi bemolle maggiore nell’evocazione di quelle felici memorie che la sconfitta non può distruggere. Il Rondò contrappone un senso di transitoria, vigorosa concitazione alla visione da incubo d’una sepoltura da vivo. Il Finale, il cui ritmo d’apertura aveva ossessionato Elgar nel novembre 1903 durante una vacanza in Italia, fa pensare alla trascinante corrente di un fiume, che porta via con sé le pene, che non si ferma mai e risana ogni ferita. Un nuovo secondo tema dall’ispirazione grandiosa stava a simboleggiare, secondo Elgar, il suo grande sostenitore, il direttore Hans Richter, cui aveva dedicato la sua Prima Sinfonia. Il conflitto musicale diviene più intenso che mai, pur con le nuove apparizioni del tema del “fiume”, che a poco a poco placano i dubbi e le paure introducendo un tono di benevola rassegnazione, non immune da rimpianto o perfino da profonda tristezza, ma in ultima analisi interiormente calma. C’è un sussulto doloroso di un momento, terribile come una profonda pugnalata, subito prima della tranquilla conclusione.
William Mann
(Traduzione: Paolo Petazzi)