DG - 1 CD - 423 679-2 - (p) 1990

Edward ELGAR (1857-1935)






Variations on an Original Theme ("Enigma"), Op. 36
34' 18"
- Enigma: Andante 1' 34"

- I. (C. A. E.): L'istesso tempo 1' 57"

- II. (H. D. S. -P.): Allegro 0' 51"

- III. (R. B. T.): Allegretto 1' 46"

- IV. (W. M. B.): Allegro di molto 0' 31"

- V. (R. P. A.): Moderato 2' 28"

- VI. (Ysobel): Andantino 1' 25"

- VII. (Troyte): Presto 1' 00"

- VIII. (W. N.): Allegretto 2' 25"

- IX. (Nimrod): Adagio 3' 58"

- X. Intermezzo (Dorabella): Allegretto 2' 31"

- XI. (G. R. S.): Allegro di molto 0' 56"

- XII. (B. G. N.): Andante 3' 18"

- XIII. (Romanza (***): Moderato 3' 21"

- XIV. Finale (E. D. U.): Allegro - Presto 6' 16"





Serenade for String Orchestra in E minor, Op. 20
14' 00"
- I. Allegro piacevole 3' 55"

- II. Larghetto 7' 03"

- III. Allegretto 3' 04"





Concert Overture: In the South (Alassio), Op. 50
23' 13"




 
PHILHARMONIA ORCHESTRA
Giuseppe SINOPOLI
 






Luogo e data di registrazione
All Saints' Church, London (Gran Bretagna):
- agosto 1989 (Op. 20)
- febbraio 1989 (Op. 50)
Walthamstow Town Hall, London (Gran Bretagna) - aprile 1987 (Op. 36)


Registrazione: live / studio
studio


Executive Producer
Günther Breest

Recording Producer
Wolfgang Stengel

Balance Engineer
Klaus Hiemann


Editing
Jörg Ritter


Prima Edizione LP
-

Prima Edizione CD
Deutsche Grammophon | 423 679-2 | LC 0173 | 1 CD - 71' 52" | (p) 1990 | DDD


Note
-















Eseguite la prima volta nel 1899 sotto la direzione di Hans Richter, le Variations furono il primo grande successo di Elgar.
Fu anche il primo ampio lavoro sinfonico, dove ai problemi della forma si affiancarono le cure per un’orchestrazione particolarmente ricca (uscivano dalla misura dell’orchestra classica il controfagotto, il quattro corni, le tre trombe, i tre tromboni e il basso tuba, le bandistiche percussioni e l'organo ad libitum).
Come molte composizioni di Elgar, anche le Variations nascono nell'ambiente familiare. È lui stesso a raccontarci che il Tema fu fissato sulla carta per le insistenze della moglie, la quale era rimasta colpita da una sua distratta e svagata improvvisazione al pianoforte, mentre aspettava che fosse pronta la cena. Inoltre ognuna delle variazioni viene riferita ad una persona della cerchia familiare e degli amici e, la coda finale, all'autore stesso (E. D. U.): come se il Tema venisse “osservato” secondo la diversa personalità di ognuno e ricevesse da ognuno un diverso “carattere
. In questo gioco "enigmatico" (dove l'Enigma poteva essere facilmente capito solo da chi conoscesse davvero a fondo la personalità di Elgar stesso, della moglie e di quei suoi amici), si inserisce poi l'enigmatica dichiarazione dell’autore, secondo cui esiste “attraverso e sopra l’intera composizione un altro e più grande tema, che non viene suonato. Non è difficile immaginare che - secondo la lunga tradizione enigmatica iniziata almeno dal Quattrocento fiammingo - si tratti di un calcolo combinatorio globale, riferito a lettere dell'alfabeto o a qualche altro marchingegno che nessuno è riuscito finora a scovare.
Ma l'interesse per questa composizione va ben oltre la sfera privata e i giochini combinatori. Essi sono soltanto il punto di partenza per una struttura formale che in Elgar è raramente così solidamente calibrata. Il Tema ha in sé un dualismo preciso, che si dimostra con il passaggio da sol minore a sol maggiore; inoltre ha una struttura molto frammentata, a piccole frasi ed incisi. Le Variazioni intervengono proprio su questo possibile contrasto e su questa frammentazione, o per esaltarli, o per annullarli. In tal senso il grande finale (E. D. U.) giunge come coronamento di tutte le precedenti "discussioni" sulla struttura del Tema, in una sorta di apoteosi dove tutte le diversità sfociano in un largo ed unico fiume sinfonico.
C’è poi - dicevamo - la grande cura dell'orchestrazione, tutt’altro che marginale rispetto alla costruzione della forma. Il “carattere” di ogni variazione è infatti determinato, oltreché dal movimento e dal ritmo, proprio dalla dissociazione maggiore o minore dei timbri, dal diverso peso sonoro, dall'infittirsi o dal rarefarsi del contrappunto orchestrale: l'omogeneità pensosa della prima variazione (quella "della moglie") è ottenuta da una movenza di danza condotta dagli archi; la seconda propende verso lo Scherzo sinfonico, che coinvolge gli strumentini; la terza introduce le movenze un po’ goffe di un quadretto pastorale; la quarta esplode clamorosamente con fanfare di ottoni; la quinta affida agli archi, in imitazione, l'avvio di un atteggiamento pensoso e un poco struggente; la sesta punta alla massima frammentazione, con incisi di corni, di flauti, di un violino solista, solo precariamente amalgamati verso la fine; la settima viene scatenata da una percussione ossessiva ed aggressiva: l'ottava rievoca le avvolgenti movenze della prima, ma inserisce - nella seconda parte - toni villerecci come la terza; la nona si distende nella più tenera cantabilità, in dialogo tra archi e strumentini; la decima rievoca le raffinatezze timbrico-ritmiche dello Schiaccianoci di Ciaikovski; l'undicesima punta sul virtuosismo orchestrale più tempestoso; la dodicesima si svolge su un'accorata melodia dei violoncelli; la Romanza (XIII) ritorna a miti cantabilità con l`uso romanticissimo del clarinetto; il Finale si scatena vitalisticamente (fanfare, piatti, grancassa) con una retorica fin troppo clamoroso per non svelare un tratto di bonomia ironica.
Anche da una sommaria elencazione dovrebbero emergere i punti di distacco rispetto al modello fin dichiarato delle Haydn-Variationen di Brahms: sconfinamenti verso gustosi quadretti idillici e verso inni e marce da cui Elgar proveniva e che - unite alle esperienze più “serie” del suo periodo maturo, ne rappresentano l'inconfondibile tratto “inglese”.
***
La Serenade for Strings op. 20, del 1892,appartiene a quella parte della vita di Elgar che era ancora immersa in una provincia avara di successi e di esecuzioni: solo nel 1896 fu eseguita integralmente ad Antwerp (dopo alcune esecuzioni del secondo movimento), e solo nel 1906 fu diretta a Londra, da Elgar stesso. Opera tutta e solo melodica, fragile nella costruzione e uniforme nel ritmo, fu tra le predilette dal suo autore e, per quanto tardivamente, dal pubblico europeo. Sembrò rappresentare una risposta molto persoriale (inglese!) al sinfonismo di Strauss e di Mahler: e fu infatti amata in anni in cui il ritorno alla chiarezza melodica si colorava già di significati anti-romantici e anti-gerrnanici. In realtà Elgar si collegava ad un "luogo" consolidato dell`ispirazione romantica: quello di coniugare atteggiamenti intimistici e raccolti a piccole forme (senza elaborazioni sonatistiche) e soprattutto a piccoli organici (come Brahms, come Dvořák, come Ciaikovski). Ed infatti nell’orchcstra d`archi introdusse soltanto sfumatissime varianti: passaggi con le parti "divise"; oppure - nell’arcuata seconda idea del primo movimento - parti "a solo". Non c'è, poi, alcun vero contrasto tra le diverse idee, tutte ampiamente cantabili e continue, appena increspate da pulsazioni ritmiche di diversa fluidità e pregnanza. Né c'è una vera differenza tra i tre movimenti: l`“Allegro piaccvole”. il “Larghetto”, l`“Allegretto”; ed è così che la seconda idea del primo movimento ritorna, senza che quasi ce ne accorgiamo, nel bel mezzo del terzo.
Il pensiero potrebbe anche correre al Siegfried Idyll, per via dell’intimismo familiare a cui entrambi appartengono; ma la Serenade non ne condivide per nulla il ricco tematismo e le avvolgenti elaborazioni tematiche. Qualche anno dopo Mahler avrebbe composto il famoso Adagietto (nella Quinta); il “suono” è in più punti simile, ma in Elgar è fuori discussione, assolutamente la confessione accorata e tragica, poiché misura e pudore tracciano limite ben precisi anche alla cantabilità melodica più appassionata. Eppure: i “limiti” della Serenade sono la ragione stessa della sua riuscita; è qui, tra l’altro, che l`autore cominciò a liberarsi dalle retoriche patriottiche e pseudo-storiche che fino ad allora - inspiegabilmente - lo avevano affascinato.
***
Elgar stesso ci informa che l'idea del Concert Overture In the South risale al primo viaggio in Italia, mell'inverno tra il 1903 e il 1904. Il momento magico è da lui descritto così: "Da una parte avevo le montagne, dall'altra il Mediterraneo blu; ed io ero su un'antica via romana. Un amabile pastore se ne stava presso un'antica rovina". In realtà l`Ouverture contiene, tra i tanti temi, anche una melodia annotata quattro anni prima da Elgar nel suo quaderno di appunti: tre note successive verso l'alto e cinque rapidamcnte discendenti. Ma certamente il quadretto pastorale è fedelmente rievocato quando, prima della Ricapitolazione conclusiva, una viola solista intona - ben memore dell'Aroldo in Italia di Berlioz e in particolare della Serenata d'un montanaro degli Abruzzi - un delizioso canto che Elgar per qualche tempo tentò di far crrdere autenticamente "italiano".
C'è, ancora, la "rievocazione dell'irresistibile avanzata delle armate romane", che Elgar sovrappone, nel ricordo, all'inerte pace del presente. Forse proprio a questa immagine di antiche battaglie si può riferire un altro degli episodi centrali (di poco precedente al quadretto pastorale): quello in cui il flusso sinfonico sembra arrestarsi per l'echeggiare da ogni dove di sonore squille, ognuna scolpita da un marmoreo intervallo di quinta discendente.
Ma, come sempre succede in Elgar, il riferimento biografico e le intenzioni programmatiche si collegano soltanto in parte alla composizione, presa nel suo complesso. Quella mattina sull’antica Aurelia, di fronte ai mari e ai monti, concepì - come dice - la sua Ouverture “nella sua interezza”; ma non è sicuramente vero che “poi si trattava solo di scriver|a”. Tra quella sensazione profonda e il lavoro sinfonico che noi oggi possiamo udire sta - decisiva - l'espressione sinfonica di quaell'entusiasmo secondo i modi più complessi e brillanti che Elgar nel 1904 poteva ormai attingere agevolmente da Wagner (Meistersinger, qui), da Strauss (Don Juan, Tod und Verklärung) e persino da Bruckner. Da qui il vitalistico scatto iniziale, davvero trascinante; le cantabilità accese; i soprassalti tellurici; la grande varietà e la grande brillantezza delle zone I timbrico-orchestrali.
Da un lato, quindi, Elgar aveva ben ragione quando faceva cancellare al compilatore del programma di sala un riferimento ai poemi sinfonici di Strauss. Poiché, diceva, “Strauss mette la musica in una posizione troppo bassa quando suggerisce di collegarla con le banalità della sua esistenza”. Si riferisce, Elgar, alle descrizioni di Pauline, dei nemici, ecc., contenute in Heldenleben; rna forse anche ai suoni scopertamenti onomatopeici con cui i pecoroni si sbandano agli attacchi dell’eroe folle, in Don Quixote. Certarnente, ad Elgar non appartiene in nessun caso una visione ironica, grottesca, comica, della propria musica. Ma, anche più in generale, In the South non è un poema sinfonico perché non pretende di riferirsi ad una vicenda, o a dei personaggi.
In questa composizione, che venne indicata umilmente come “ouverture per un concerto” - cioè proprio e soltanto brano iniziale per una serata musicale sinfonica -, ci sono però forti suggestioni: paesaggistiche, storiche, biografiche, che vengono filtrate in ricchezza di idee, libertà formale, ampiezza quasi teatrale del gesto. Era la grande lezione di “purezza musicale” ch’egli ammirava in Mendelssohn, in Schumann, in Brahms. Anche i riferimenti “familiari” di Enigma erano divenuti “musica” solo perché cifrati, filtrati dalla cabala, sublimati - in un certo senso - in un fiamminghismo che non ha nulla a che fare con una diretta espressione sentimentale o una precisa descrizione. L’importanza della forma e la ricchezza del sinfonismo potevano diventare così uno dei tanti mezzi perché la musica si oggettivasse ad una consistente lontananza dal momento biografico: Ancora, ma in modi raramente così entusiasmanti come In the South, il mitico “pudore” di Edward Elgar.
Guido Salvetti