Mussorgski
riusciva tanto poco a
padroneggiare i problerni
quotidiani della vita che la
sua scrivania era ingombra in
continuazione di lavori mezzo
incompiuti. Rimski-Korsakov
che, avendo un tempo condiviso
un appartamento con
Mussorgski, conosceva bene
quella scrivania, dopo la
morte dell’amico faticò molte
ore a rimetterne in ordine le
musiche e a limarne le
asperità per renderle più
accettabili al gusto del
pubblico; una missione portata
a termine con supremo
altruismo. Egli sottopose a
revisione anche dei lavori che
erano in effetti ultimati e
aggiunse il tocco della sua
peculiare brillantezza di
orchestrazione ad altri che in
generale parevano averne
bisogno.
Tra essi
figura Una notte sul Monte
Calvo. Alla creazione di
questo poema sinfonico dal
caratteristico sapore russo
concorsero svariati fattori
iniziali. Il giorno di Natale
del 1858 Mussorgski e suo
fratello schizzarono con
l’aiuto di Balakirev il piano
per un’opera teatrale sul
soggetto di una novella di
Gogol, La vigilia di San
Giovanni. Due anni dopo
egli faceva allusione ad
un’opera intitolata La
strega. Forse in nessuna
delle due occasioni fu
composta una sola nota di
musica. E tuttavia il rapporto
con Una notte sul Monte
Calvo, la cui
composizione fu rapidamente
portata a termine nel 1867,
risulta chiaramente da una
lettera scritta poco tempo
dopo a Rirnski-Korsakov: “In
testa alla mia partitura ne ho
presentato i contenuti: raduno
delle streghe, loro conversari
e pettegolezzi; processione di
Satana; osceno omaggio a
Satana; Sabba. La forma e il
carattere del mio lavoro sono
russi e originali. Il
tono generale è ardente e
disordinato.”
Mussorgski
non tentò mai di farla
eseguire, anche se continuò a
disseminare qua e là progetti
(invariabilmente abortiti) di
opere teatrali che avrebbero
potuto offrire una buona
occasione per inserirvela.
Egli morì lasciandola
ineseguita, e toccò a
Rimski-Korsakov recuperarla
nel 1886 nel quadro di un
concerto pietroburghese, in
forma notevolmente riveduta; è
in questa forma che essa
generalmente si ascolta ancora
oggi.
D’altra
parte lo stesso
Rimski-Korsakov si astenne
dall'intervenire su Quadri
di un’esposizione.
Questo lavoro era una suite
per pianoforte già compiuta,
talmente audace nelle sue
originali armonie e nel suo
vigoroso stile pianistico che
molti compositori ne hanno
tratto degli arrangiamenti
orchestrali. La versione di
Ravel, di gran lunga la più
conosciuta, fu composta nel
1922 dietro commissione di
Kussevitzki.
I quadri
messi in mostra in questa
galleria davvero unica erano
di Viktor Aleksandrovič
Hartmann, intirno amico di
Mussorgski e militante
entusiasta del movimento che
tentava di impegnare l’arte
russa nella rappresentazione e
nell’esaltazione della vita
russa conternporanea. Egli
morì nel 1873 all’eta di 39
anni, e l’anno successivo una
mostra commemorativa dei suoi
lavori ispirò a Mussorgski,
già fortemente stimolato dalla
recente prima esecuzione del
suo capolavoro Boris
Godunov, la composizione
di una serie di brani
evocativi che fungessero da
ricordo di questa occasione.
I quadri
di Hartmann sono spesso più
dei disegni che non dei
dipinti veri e propri, e
rivelano una propensione per
il decorativismo di gusto
orientale. Anche il ghetto
polacco costituiva per lui un
motivo ispiratore; inoltre
aveva viaggiato in Francia e
in Italia. Da parte sua
Mussorgski ebbe l’idea,
semplice ma vertiginosa, di
collegare una serie di brani
separati mediante una
“Passeggiata”, così da
suggerire l’idea del
visitatore che cammina da un
quadro all’altro. Il realismo
viene così raggiunto ad un
duplice livello: la vivida
rappresentazione di ciascun
quadro e la sua ambientazione
nella galleria d’arte.
“Gnomus”
rappresenta uno schiaccianoci
di legno, intagliato come le
mascelle di un grottesco volto
raggrinzito; “Il cecchio
castello” è un antico Castello
italiano, con un trovatore che
canta in primo piano;
“Tuileries” non evoca la pace
del famoso giardino parigino,
ma un frastuono di bimbi che
giocano; in “Bydlo” un pesante
carro polacco trainato da buoi
traballa lungo una strada
fangosa; il “Balletto
deipulcini nei loro gusci” è
danzato da due grottesche
figure incappucciate da gusci
d’uovo rotti, sotto i quali
sporgono le gambe e le
braccia. “Samuel Goldenberg e
Schmuyle” (un quadro in
possesso di Mussorgski) mostra
due ebrei, uno ricco e uno
povero; la melodia del ricco
Goldenberg racchiude alcuni
intervalli di sapore ebraico,
Schmuyle è avvilito e
piagnucoloso; ne “La piazza
del mercato di Limoges”
Mussorgski evoca il
chiacchiericcio della piazza
del mercato come se si
trattasse di un pollaio o di
un’aia, per poi passare senza
soluzione di continuità a
“Catacombae - Sepulchrum
Romanum”, dove Hartmann aveva
ritratto se stesso ed un amico
in visita alle antiche
catacombe di Parigi; “Con [!]
mortuis in lingua mortua”
rispecchia l’immagine, creata
dallo stesso Mussorgski, di
teschi fiocamente illuminati
dall’interno (e anche il suo
zoppicante latino); “La
capanna su zampe di gallina”
rappresenta la terrihile
strega russa Baba-Iaga, che si
nutre di ossa umane. Infine
l’orrore cede il posto allo
splendore del movimento
conclusivo, “La grande porta
di Kiev”, una porta di città
dalla forma esuberante, simile
ad una bambola russa,
pesantemente ornata in stile
paleoslavo, con un campanile e
una grande quantità di mosaici
colorati. La musica dipinge
una processione di penitenti
che sfilano sotto la porta, e
la gloria simbolica
dell`antica Russia.
*****
Nel 1911 si tenne a
Parigi un concerto, nel corso
del quale furono eseguiti
dodici brani, senza che
venissero rivelati i nomi dei
compositori. Quattro lavori,
compresi i Valses nobles
et sentirnentales di
Ravel, per pianoforte, furono
identificati correttamente
dalla rnaggioranza degli
spettatori, quantunque alcuni
avessero attribuito il pezzo a
Satie, ed altri a Kodaly.
L’esperimento risultò
divertente, se non addirittura
istruttivo. Un anno più tardi
Ravel orchestrò il lavoro per
un balletto intitolato Adelaïde,
ponendovi una tale maestria da
non lasciar mai sospettare
nella versione orchestrale le
sue origini pianistiche.
I Valses,
che risalgono al periodo più
fertile e maturo di Ravel,
risplendono nella loro
classica perfezione di stile e
di fattura. Il titolo allude
ai Valses sentimentales
e ai Valses nobles di
Schubert, profondamente
ammirati da Ravel. Sulla
semplicità del ritmo di valzer
Ravel dispiega tutte le
sottili sfumature del suo
progredito stile armonico.
Nemmeno Debussy possedeva una
tale sicura padronanza del
colorismo cromatico, e lo
stesso Ravel non sarebbe mai
riuscito a condurlo oltre
questo grado di perfetta
levigatezza.
Molti dei
valzer fanno uso della
semplice equivalenza 3x2 =
2x3, dando luogo a
sovrapposizioni e cambiamenti
di ritmo. Ogni valzer si
sviluppa direttamente dal
precedente, a volte con minimi
cambiamenti di tempo, e
tuttavia ciascuno conserva un
cljma e un carattere distinti.
Il settimo, il più lungo e il
più improntato all’esuberanza
viennese, è fornito di
un’introduzione e di una
sezione centrale,
contraddistinta da ritmi e
armonie piccanti. L’epilogo
riecheggia l’uno dopo l’altro
tutti i valzer, alcuni di essi
più di una volta.
Hugh Macdonald
(Traduzione:
Carlo Vitali)
|